IRAP e Professionisti: la Cassazione chiarisce quando l’autonoma organizzazione esclude l’imposta

La Suprema Corte ribadisce che per essere soggetti a IRAP non basta utilizzare una struttura organizzata: occorre esserne titolari e responsabili. Importante pronuncia per professionisti che operano all’interno di società La recente ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione V Civile-Tributaria, n. 27056 del 8 ottobre 2025, rappresenta un’importante conferma giurisprudenziale in tema di presupposti impositivi dell’IRAP per i lavoratori autonomi. La pronuncia interviene su una questione che interessa migliaia di professionisti italiani: quando un consulente che opera nell’ambito di una società è tenuto al versamento dell’Imposta Regionale sulle Attività Produttive? La vicenda processuale Un professionista che svolgeva attività di consulenza come socio di una primaria società di revisione aveva richiesto il rimborso dell’IRAP versata per le annualità 2012 e 2013. La sua tesi era chiara: pur essendo formalmente un lavoratore autonomo, egli operava esclusivamente all’interno della struttura organizzativa della società, senza disporre di una propria autonoma organizzazione. La società di revisione era il suo unico committente e tutti i compensi professionali provenivano da tale collaborazione. Il professionista non aveva dipendenti, non disponeva di beni strumentali propri e utilizzava esclusivamente le strutture, il personale e l’organizzazione della società per cui lavorava. Formatosi il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente aveva impugnato il diniego davanti alle Commissioni Tributarie, ottenendo però esito negativo sia in primo che in secondo grado. La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia aveva infatti ritenuto sussistente il presupposto impositivo dell’IRAP, valorizzando il fatto che il professionista si avvalesse di personale e strutture organizzative, sebbene queste fossero riferibili alla società committente. Il quadro normativo di riferimento Il fulcro della questione risiede nell’interpretazione dell’art. 2 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che individua il presupposto impositivo dell’IRAP nell’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. La norma non definisce però con precisione cosa debba intendersi per “autonoma organizzazione”, lasciando alla giurisprudenza il compito di delinearne i contorni applicativi. La questione assume particolare rilevanza pratica perché l’IRAP, pur essendo un tributo regionale, rappresenta un costo fiscale significativo per i professionisti, applicandosi sul valore della produzione netta con aliquote che variano generalmente tra il 3,9% e il 4,65% a seconda delle Regioni e delle attività svolte. Il principio di diritto affermato dalla Cassazione La Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, ha accolto il ricorso del contribuente, cassando le sentenze di merito e decidendo la causa nel merito con l’accoglimento della domanda di rimborso. Il Collegio, richiamando il consolidato orientamento delle Sezioni Unite civili (Cass. S.U. n. 9451/2016), ha ribadito che il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità e interesse. Inoltre, è necessario che il professionista impieghi beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile o si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia di un collaboratore con mansioni di segreteria o meramente esecutive. La Corte ha affermato con chiarezza che affinché un lavoratore autonomo sia assoggettato all’IRAP, non è sufficiente che egli sia inserito in un’autonoma organizzazione, ma è necessario che egli sia anche titolare di questa organizzazione e ne sia responsabile, richiamando sul punto Cass. n. 19397/2022. Nel caso specifico, risultava pacifico che il professionista non occupasse alcun collaboratore alle proprie dipendenze e non disponesse di una propria organizzazione, essendo invece stabilmente inserito nell’organizzazione della società di consulenza, che ne era l’unica responsabile sotto il profilo organizzativo. La pronuncia si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato che ha trovato plurime applicazioni proprio con riferimento a professionisti che svolgono attività per società di revisione e consulenza. La Cassazione ha richiamato, tra le altre, le sentenze n. 11238/2023, n. 19397/2022, n. 11140/2021, n. 3632/2024, n. 22266/2023 e n. 11924/2023, tutte convergenti nell’affermare che l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito dell’organizzazione costituita da una società di cui il professionista è socio o dipendente non realizza il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione ai fini IRAP. L’irrilevanza della partecipazione societaria Un aspetto particolarmente significativo della pronuncia riguarda l’irrilevanza, ai fini della sussistenza del presupposto impositivo, della circostanza che il professionista detenga una quota di partecipazione nel capitale sociale della società per cui lavora. La Corte ha chiarito che, anche in presenza di una quota societaria, la titolarità e la responsabilità dell’organizzazione fanno comunque capo ad un soggetto (la società) diverso dal singolo professionista. Questa precisazione assume particolare importanza per tutti quei professionisti che sono contestualmente soci di società di servizi professionali, una situazione estremamente diffusa nel panorama delle grandi realtà di consulenza e revisione. Il ragionamento della Suprema Corte si fonda sulla considerazione che ciò che rileva, ai fini dell’assoggettabilità all’IRAP, non è il mero utilizzo di una struttura organizzata, ma la titolarità e la responsabilità di tale struttura. Non essendo il professionista a sostenere i costi per i collaboratori e i dipendenti, egli non può assumere decisioni sulla gestione di tale personale, se non nell’ambito delle specifiche direttive operative impartite per il singolo incarico di volta in volta affidato, come evidenziato nelle precedenti pronunce Cass. n. 6439/2018 e n. 17566/2016. Le implicazioni pratiche per professionisti e imprese Questa pronuncia ha rilevanti conseguenze pratiche per diverse categorie di professionisti. In primo luogo, essa conferma che i professionisti inseriti stabilmente in strutture societarie organizzate da terzi, pur essendo formalmente autonomi, non sono tenuti al versamento dell’IRAP quando non siano titolari e responsabili dell’organizzazione. Questo principio si applica non soltanto ai consulenti delle grandi società di revisione, ma potenzialmente a tutti i professionisti che operano in contesti analoghi: medici che lavorano presso cliniche private organizzate da altri, avvocati che operano nell’ambito di studi legali associati dove l’organizzazione fa capo alla struttura e non al singolo professionista, architetti e ingegneri inseriti in società di progettazione, e così via. La sentenza offre quindi argomenti solidi per richiedere il rimborso dell’IRAP versata negli anni precedenti, nei limiti dei termini di prescrizione e decadenza. È importante ricordare che il termine per la presentazione dell’istanza di rimborso è di quarantotto mesi dalla data del versamento, come previsto