LA MEDIAZIONE ESCLUDE L’OBBLIGO DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA

Tempo di lettura: 2 minuti Immaginiamo una controversia per cui è previsto l’obbligo di esperire la negoziazione assistita, ma non già quello di mediazione, e poniamo il caso che, ciò nonostante, venga proposta la seconda. Nel caso di specie, una domanda di risarcimento danni di valore inferiore a cinquantamila euro. Secondo una recente decisione resa dal Tribunale di Roma (ordinanza 12.4.2021 – dott. Moriconi) la proposizione della mediazione non obbligatoria consente di assolvere l’obbligo di esperire la negoziazione assistita preventiva. La pronuncia conferma le precedenti valutazioni con cui altri giudici di merito avevano già ritenuto che la mediazione può offrire maggiori tutele alle parti, grazie alla presenza di un terzo imparziale, al punto da soddisfare in maniera quanto meno equivalente l’intento del legislatore di deflazionare l’accesso alla giustizia ordinaria con il ricorso alle procedure di composizione negoziata delle controversie. Il Tribunale capitolino muove il proprio ragionamento dalla constatazione che, nelle materie per cui v’è conflitto tra gli obblighi di mediazione e di negoziazione assistita, l’art. 3 del decreto legge n. 132 del 2014 riconosce espressamente che va esperita solo la prima e non già la seconda. Richiamando poi i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 97 del 2019, l’ordinanza sottolinea che, per le sue caratteristiche e le sue garanzie, la mediazione assicura maggiori possibilità di far ottenere alle parti un accordo di composizione della controversia. Non sfugge, infine, come l’ordinanza del Tribunale romano si pone, nel quadro giurisprudenziale italiano e comunitario, come un ulteriore elemento del progressivo depotenziamento della negoziazione assistita, sulla cui obbligatorietà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e numerose corti di merito italiane hanno già reso pronunce di disapplicazione.
L’ATTIVITA’ ANTIECONOMICA NON GIUSTIFICA DA SOLA L’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

Tempo di lettura: < 1 minuti Importante affermazione per un imprenditore difeso dallo studio TMC Avvocati Associati, innanzi la Corte di Cassazione, contro due diversi accertamenti tributari, ciascuno per svariate decine di migliaia di euro, notificati in ragione della dichiarazione di ricavi inferiori ai costi di acquisto delle merci per due anni di imposta consecutivi. Il contribuente aveva impugnato gli accertamenti documentando l’esecuzione, a cavallo dei due anni incriminati, di lavori di ristrutturazione dei locali dell’esercizio commerciale, e deducendo che l’attività di vendita era stata penalizzata proprio dalla contemporanea esecuzione dei lavori appaltati. Dopo gli esiti contrastanti dei giudizi delle due fasi di merito, la vicenda è giunta all’attenzione della Corte di Cassazione, che le ha definite con due distinte ordinanze decisorie (n. 19211 e 19212/2021 depositate il 7.7.2021).I giudici di legittimità hanno sposato appieno le tesi difensive dell’imprenditore, affermando il principio secondo cui la adeguata documentazione dei fatti che hanno ostacolato l’attività di impresa può giustificare il fatto che il risultato dell’esercizio possa anche essere “antieconomico”, e quindi con ricavi inferiori ai costi di acquisto delle merci. Con particolare riferimento all’IVA, la Suprema Corte ha affermato che l’inerenza dei costi non può essere esclusa in base ad un mero giudizio di congruità della spesa, poiché in tal caso è onere dell’Agenzia delle Entrate dimostrare che l’antieconomicità è elemento indiziario di operazioni inesistenti o di fatturazioni false.
TMC AVVOCATI ASSOCIATI IN CAMPO PER L’EUTANASIA LEGALE

Tempo di lettura: 2 minuti Da oggi i cittadini possono apporre presso lo studio TMC Avvocati Associati la propria firma per la indizione del referendum popolare con cui si intende legalizzare nel nostro paese dell’eutanasia legale. Gli avvocati Pasquale Tarricone e Roberto D’Andrea hanno dichiarato al comitato organizzatore la propria disponibilità ad autenticare le firme, che tutti i maggiorenni potranno apporre prendendo appuntamento con email all’indirizzo segreteria@studiolegaletmc.it o telefonando allo 0824-25743. Lo studio TMC Avvocati Associati condivide l’iniziativa referendaria, finalizzata a rimuovere un ostacolo legislativo che impedisce ad ogni individuo di realizzare una fondamentale espressione della propria libertà. Con la storica pronuncia con cui la Corte Costituzionale ha deciso il “Caso Cappato”, invocando l’urgente intervento del legislatore a regolamentare l’aiuto nell’esecuzione del suicidio consapevole. Ad oggi, però, nessuna norma è stata più varata sul tema, ed il referendum vuole perciò abrogare parzialmente la norma penale che impedisce l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia. L’ordinamento italiano prevede e punisce oggi, assieme al reato di omicidio (art. 575 c.p.), la fattispecie speciale dell’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.), con cui è stata impedita di fatto la pratica dell’eutanasia. Con la consultazione referendaria si mira ad abolire proprio la punibilità dell’eutanasia attiva, che sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”. Resterà invece punita la fattispecie nel caso in cui il fatto venisse commesso nei confronti di una persona incapace, o di una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia, o infine contro un minore di diciotto anni. Allo stato attuale della legislazione penale l’eutanasia attiva è vietata sia se v’è una condotta diretta (è il medico a somministrare il farmaco eutanasico alla persona che ne faccia richiesta: art. 579 c.p.), sia se la condotta è indiretta (il soggetto agente prepara il farmaco eutanasico che viene assunto in modo autonomo dalla persona: art. 580 c.p.). E’ vero però che le forme di eutanasia c.d. passiva, ovvero praticata in forma omissiva, cioè astenendosi dall’intervenire per tenere in vita il paziente in preda alle sofferenze, sono già ritenute penalmente lecite, soprattutto quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare il c.d. “accanimento terapeutico”.
FIRMA REFERENDUM LEGALIZZAZIONE EUTANASIA

Tempo di lettura: < 1 minuti PRESSO LO STUDIO TMC AVVOCATI ASSOCIATI E’ POSSIBILE FIRMARE PER L’INDIZIONE DEL REFERENDUM Nonostante l’imminente periodo feriale, sono numerosissimi i cittadini italiani che stanno sottoscrivendo la richiesta di indizione del referendum per la legalizzazione dell’eutanasia legale. Più esattamente, per “eutanasia” si intendono quegli interventi medici che prevedono la possibilità – attentamente regolamentata – che il medico possa somministrare direttamente un farmaco letale al paziente che glie ne abbia fatto consapevole richiesta. Al momento, per effetto della sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale, nel nostro Paese è invece possibile richiedere il suicidio medicalmente assistito, ossia l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico. L’eutanasia costituisce invece reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale. Il suicidio medicalmente assistito, in determinati casi, e la sospensione delle cure – intesa come eutanasia passiva – costituisce un diritto inviolabile in base all’articolo 32 della Costituzione e alla legge 219/2017.Per sottoscrivere è possibile telefonare al numero 0824.25743 e prendere contatto con i responsabili della campagna Avv. Pasquale Tarricone ed Avv. Roberto D’Andrea.
PAGAMENTI NON CONTABILIZZATI: ORDINE DI RIPRISTINO DELL’EROGAZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Tempo di lettura: 2 minuti Mentre le temperature di questa estate rovente raggiungevano i quaranta gradi all’ombra, una famiglia beneventana doveva subire la riduzione di potenza dell’erogazione dell’energia elettrica da parte del proprio gestore. L’incredibile decisione veniva presa per effetto della segnalazione di mancato pagamento, emessa dal precedente fornitore Enel Energia ad Optima Italia, per poche centinaia di euro. Ma la intestataria dell’utenza, pur se da tempo in difficoltà economiche, aveva estinto il debito sin dal mese di marzo, con un pagamento che il precedente gestore aveva omesso di contabilizzare correttamente; di qui la ingiusta segnalazione di insoluto e la conseguente riduzione della erogazione di elettricità, proprio nel bel mezzo della eccezionale calura estiva. Dopo aver invano chiesto la riattivazione della fornitura, l’intestataria dell’utenza ha conferito il mandato difensivo all’avvocato Tarricone dello studio TMC Avvocati Associati, con il cui ausilio ha formalizzato immediatamente una denunzia penale. Il 30 luglio è stato poi proposto un ricorso d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c. per ottenere la riattivazione del servizio. Il 2 agosto il Tribunale di Benevento, preso atto della documentazione allegata dalla ricorrente, e della grave esposizione al rischio di incolumità fisica dei componenti del nucleo familiare, con decreto reso fuori udienza, ha ordinato quindi ad Enel energia ed Optima Italia di ripristinare immediatamente l’erogazione elettrica, cosa che è avvenuta poche ore dopo la notifica del provvedimento. Il giudice dott.ssa Floriana Consolante, investita della questione nel periodo feriale, ha evidenziato la “sussistenza dei presupposti per provvedere inaudita altera parte alla luce della documentazione allegata al ricorso e considerata l’urgenza di assicurare la piena abitabilità all’immobile”. Il contegno illegittimo delle società fornitrici ha causato intuibili danni e disagi ai componenti del nucleo familiare, i quali hanno già conferito mandato allo studio TMC Avvocati Associati perché, una volta ottenuta la conferma del decreto inaudita altera parte, si agisca in sede giudiziaria per ottenere il giusto risarcimento, tanto in sede civile che innanzi al giudice penale.
IL GENITORE SEPARATO HA DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI UNIVERSITARI DEL FIGLIO

Tempo di lettura: 2 minuti Il genitore separato è tenuto a contribuire alle spese di mantenimento del figlio, anche se maggiorenne ma non autosufficiente, che dimora presso l’abitazione dell’altro coniuge. Tra le più rilevanti vi sono le spese per la frequenza universitaria, che oltre al costo di iscrizione annuale ai corsi di frequente comprendono anche quelle di residenza fuori sede e di viaggio per lo spostamento ed il periodico ritorno a casa. Il diritto al sostegno economico della prole è sancito dall’art. 315 bis del codice civile, e prima ancora dall’art. 30 della Costituzione Italiana, ed è riconosciuto, al raggiungimento della maggiore età, finché egli non abbia raggiunto l’indipendenza economica, o sia stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. Nelle più recenti interpretazioni fornite dalla Corte di Cassazione si afferma che, una volta raggiunta la maggiore età, si presume che il figlio sia idoneo a produrre un proprio reddito, sicché, per prolungare il mantenimento, è necessario che egli provi di avere curato, con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato la ricerca di un lavoro. Nel caso affidato ai legali dello studio TMC Avvocati Associati, il figlio maggiorenne di una coppia separata, studente universitario fuori sede, aveva rifiutato più volte di comunicare l’andamento degli studi al padre non convivente, che però era stato onerato dal Tribunale del pagamento delle ingenti spese. Di qui la decisione del genitore di rivolgere la richiesta di accesso agli atti direttamente alla facoltà universitaria presso la quale il giovane era iscritto da diversi anni, che però era stata rigettata dall’ateneo sul presupposto della riservatezza dei dati richiesti. Gli avvocati hanno perciò diffidato l’università a consentire al padre l’accesso al fascicolo degli studi del figlio, evidenziando che i dati richiesti non possono attenere alla sfera personale dello studente (e quindi non rilasciabili senza suo specifico consenso). A sostegno della diffida veniva richiamata la giurisprudenza che ha da tempo chiarito come il padre abbia, nei confronti del figlio, sia pure maggiorenne, non solo dei doveri, comprensivi anche dell’obbligo di contribuire alle spese per gli studi universitari, ma anche dei diritti, compreso quello di conoscere anche gli elementi salienti della vita universitaria del figlio stesso, ai sensi dell’art. 30 della Costituzione, che sancisce il diritto-dovere dei genitori di istruire ed educare i figli (TAR Trieste sent. N. 559/2014 – TAR Puglia sent. 872/2012). In accoglimento della diffida proposta dai legali dello studio TMC Avvocati Associati, ed al fine di evitare un contenzioso giudiziario, l’ateneo ha così rilasciato al padre separato l’attestazione completa ed aggiornata del corso degli studi del figlio maggiorenne.
CONDOMINO MOROSO ? POSSONO ESSERE STACCATI I SERVIZI ESSENZIALI

Tempo di lettura: 2 minuti Capita spesso che qualche proprietario ometta di versare le quote mensili, provocando così le ire degli altri condomini che, oltre a sostenere economicamente la gestione del condominio, subiscono la inevitabile riduzione dei servizi per la ridotta disponibilità di cassa. Proprio per prevenire la ampia diffusione del problema, la riforma del condominio in vigore dal giugno 2012 ha stabilito che, anche se il regolamento condominiale nulla prevede al riguardo, l’amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, nel caso che la morosità nel pagamento dei contributi si sia protratta per un semestre. Ma un condominio può gestire svariati servizi comuni, come un impianto di riscaldamento centralizzato, una zona parcheggio chiusa da un cancello elettrico, o una piscina ad uso interno.Da allora si è registrato perciò un ampio dibattito in giurisprudenza sulla individuazione dei servizi comuni passibili di distacco: per alcuni giudici i servizi distaccabili si potrebbero interrompere tutti quelli gestiti dal condominio, mentre per altri potrebbero essere distaccati solo quelli definiti come non essenziali. Le conseguenze delle due diverse interpretazioni della norma sono di notevole impatto.Infatti, se si ritiene che i servizi essenziali, come il riscaldamento, l’erogazione dell’acqua o dell’energia elettrica, non possono essere mai interrotti, si finirebbe per limitare l’applicazione della nuova disciplina ai soli casi di servizi comuni probabilmente marginali e non particolarmente rilevanti. Per questo motivo, dopo alcuni ondeggiamenti, è divenuto prevalente l’orientamento secondo cui possono essere distaccati al condomino moroso tutti i servizi condominiali, nessuno escluso. L’argomentazione della giurisprudenza più recente considera che la morosità di un proprietario determina una compressione dei diritti di quelli che, viceversa, adempiono diligentemente alle proprie obbligazioni, e che, paradossalmente, potrebbero dover subire a loro volta l’interruzione del servizio somministrato a causa del comportamento del condomino moroso. Una tale interpretazione della legge pone però in capo all’amministratore, già tenuto alla verifica delle morosità dei condomini, l’obbligo di procedere al distacco di tutti i servizi erogati dal condominio, quando tecnicamente possibile, una volta maturati i sei mesi di mora.
IL LAVORATORE IN MALATTIA CHE PARTECIPA AD UN CONCORSO NON PUO’ ESSERE LICENZIATO

Tempo di lettura: < 1 minuti Era in congedo per malattia, ma durante l’assenza dal lavoro aveva partecipato alle prove preselettive di un concorso. Il datore di lavoro aveva contestato l’illecito disciplinare al dipendente, per poi licenziarlo perché aveva simulato la malattia o comunque per averla aggravata con il suo comportamento. Il lavoratore aveva impugnato però il licenziamento innanzi al giudice del lavoro, sostenendo che la partecipazione al concorso non era incompatibile con la patologia da cui era affetto. Il Tribunale di Reggio Emilia, investito della causa, ha ritenuto di disporre una consulenza tecnica d’ufficio, dalla quale è risultato che effettivamente il lavoratore era affetto dalla patologia risultante dalla certificazione medica, e che la condotta tenuta dal dipendente in costanza del congedo non era incompatibile con lo stato della malattia, né poteva avere aggravato la sua condizione fisica o frenato il recupero delle energie psico-fisiche del lavoratore. In considerazione delle conclusioni esposte dal consulente medico – legale, il Tribunale ha perciò accolto il ricorso del dipendente con sentenza dell’11 maggio 2021, per l’insussistenza del fatto contestato. Secondo quanto previsto dall’art. 3, comma 2, del D.Lgs. n. 23/2015, il Giudice ha dichiarato perciò l’illegittimità del licenziamento ed ordinato la reintegrazione del lavoratore sul luogo di lavoro, condannando il datore al pagamento del risarcimento nella misura prevista dalla legge.
NESSUN PERMESSO DI COSTRUIRE PER IL BARBECUE

Tempo di lettura: 2 minuti Lo ha affermato il 20 settembre 2021 il Tribunale Amministrativo della Campania (sezione di Salerno), annullando l’ordine di demolizione della struttura in muratura edificata da un cittadino nel giardino sovrastante la propria abitazione. Il manufatto era stato costruito utilizzando elementi in cemento prefabbricato fissati su di una piazzola anche essa in cemento, e nel corso di un sopralluogo operato dai tecnici comunali era emerso che per esso non era stata presentata né la richiesta del permesso di costruire (PDC), né una comunicazione di inizio lavori (CILA). Di qui l’emanazione, da parte del funzionario competente, dell’ordine di abbattimento del barbecue. L’ordine veniva tuttavia impugnato innanzi il giudice amministrativo dal cittadino, il quale sosteneva – tra l’altro – che per quel manufatto non è previsto alcun obbligo di acquisire il preventivo PDC. In accoglimento dell’impugnazione, con l’ordinanza citata il T.A.R. Campania di Salerno ha dichiarato la illegittimità dell’ordine di demolizione, chiarendo che tutti gli interventi finalizzati al miglior godimento – senza scopo di lucro – delle aree pertinenziali degli edifici privati costituiscono opere realizzabili liberamente, per le quali non è necessario un titolo abilitativo dell’ente competente. Quindi non è necessaria alcuna formalità amministrativa (PDC o CILA) se si intende installare nel giardino di casa altalene, scivoli, dondoli, panche, tavoli da picnic, o anche barbecue, vasi e fioriere mobili, quando essi non siano ancorati al suolo e siano quindi rimovibili.Se invece gli arredi esterni vengono ancorati in maniera stabile e permanente al suolo, tanto da non essere rimovibili agevolmente, è sufficiente comunicare all’ente competente l’inizio dei lavori (CILA). Nel caso di specie, mancando finanche la CILA, il funzionario comunale avrebbe dovuto irrogare certamente la sanzione pecuniaria prevista dalla legge, ma non poteva ordinare l’abbattimento di un’opera ricompresa tra quelle di edilizia libera, per la quale non è richiesto il PDC.
L’AMANTE NON E’ TENUTO A RISARCIRE IL CONIUGE TRADITO

Tempo di lettura: 2 minuti Una singolare vicenda ha dato offerto al Tribunale di Padova l’occasione di pronunciarsi sulle possibili conseguenze risarcitorie del tradimento di un coniuge, e di escludere che si possa chiedere il ristoro dei danni all’amante.La moglie tradita aveva convenuto in giudizio un’altra donna, assumendo che ella avesse intrecciato una relazione amorosa con suo marito, e chiedendo all’amante il risarcimento dei danni sofferti a causa della infedeltà. Per la moglie il tradimento le aveva causato sofferenze e conseguenze personali, poiché la presunta amante era dipendente dell’impresa di cui anch’ella era titolare, tanto che la relazione aveva fatto scalpore nell’ambiente lavorativo e le aveva arrecato danno alla immagine di moglie e di imprenditrice. La dipendente si era difesa negando la relazione affettiva, ed attribuendo gli episodi contestati al corteggiamento subito da parte del marito, che lei assumeva di non aver ricambiato.La presunta amante aveva poi sostenuto che l’eventuale rapporto affettivo non avrebbe potuto arrecare danni per essere tale condotta l’esplicazione della personalità dell’individuo, anche in campo sentimentale, e perciò corrispondente all’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto. Nel risolvere la controversia, il Tribunale ha precisato che la violazione di un obbligo scaturente dal matrimonio, compreso quello della fedeltà coniugale, non determina automaticamente la possibilità di ottenere un risarcimento del danno per il semplice fatto che sia stato provato l’adulterio. Secondo i giudici veneti, la violazione del dovere di fedeltà è risarcibile solo quando l’afflizione provocata superi la soglia della tollerabilità e si traduca nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primo tra tutti il diritto alla salute ovvero alla dignità personale e all’onore. L’amante però non ha l’obbligo di rispettare la fedeltà coniugale, e non può essere chiamato a rispondere per la violazione di tale dovere; al più può essere ritenuto corresponsabile del tradimento quando, a causa della propria condotta e avuto riguardo alle modalità con cui si è svolta la relazione extraconiugale, abbia direttamente leso diritti inviolabili quali la dignità e l’onore del coniuge tradito (come quando egli si sia ad esempio vantato della propria conquista nel comune ambiente di lavoro o ne abbia diffuso le immagini nei confronti di terzi). Nel caso deciso dal Tribunale di Padova era risultato che, senza compiere alcun atto particolarmente censurabile, l’amante si era limitata ad esercitare il diritto, costituzionalmente garantito, alla libera espressione della propria personalità, che si concretizza anche nella libertà di scelta del partner amoroso. La richiesta di risarcimento è stata così rigettata con sentenza n. 1308 del 2021, e la moglie tradita condannata al pagamento di rilevanti spese legali a favore dell’altra donna.