L’onere della prova nella qualificazione del rapporto di lavoro subordinato: principi consolidati e limiti degli accertamenti amministrativi

L’eterno dilemma della corretta qualificazione giuridica dei rapporti di lavoro costituisce questione di primario interesse Una recente pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Sent. n. 1067/2025 del 22 maggio 2025) offre l’occasione per un approfondimento sui principi fondamentali che governano l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro. La decisione riveste particolare interesse per l’analisi della distribuzione dell’onere probatorio e per la chiarificazione del rapporto tra accertamenti ispettivi e valutazione giudiziale nei contenziosi giuslavoristici. La subordinazione quale elemento qualificante secondo l’art. 2094 c.c. Il concetto di subordinazione rappresenta il fulcro dell’intera disciplina giuslavoristica e richiede una comprensione approfondita dei suoi elementi costitutivi. Il giudice ha richiamato i principi consolidati della giurisprudenza di legittimità secondo cui elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Tale subordinazione deve intendersi quale vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore ad un potere datoriale che si manifesta attraverso direttive concernenti le modalità di svolgimento delle mansioni e che si traduce in una limitazione della libertà del lavoratore. La Suprema Corte ha precisato che questo vincolo di dipendenza emerge chiaramente quando la relazione di supremazia si concreta nell’emanazione di ordini specifici, nell’esercizio di una assidua e costante attività di vigilanza e controllo nell’esecuzione delle prestazioni, nello stabile e continuativo inserimento nell’organizzazione produttiva dell’impresa. Tuttavia, quando l’accertamento diretto dell’elemento essenziale della subordinazione risulta difficoltoso, la giurisprudenza consente il ricorso ad elementi dal carattere sussidiario e con funzione indiziaria, come chiarito da Cass. lav. 19.11.98, n. 11711. Questi elementi sintomatici comprendono l’eterodirezione delle modalità della prestazione sia sotto il profilo temporale che spaziale, l’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione produttiva dell’impresa, l’utilizzo di locali e mezzi forniti dal datore di lavoro, l’assenza di rischio imprenditoriale, l’obbligo di osservanza di un orario predeterminato con relativi obblighi di giustificazione, la continuità della collaborazione e la retribuzione predeterminata a cadenza fissa. Il procedimento logico di valutazione globale di tali elementi è stato espressamente legittimato dalle Sezioni Unite con la storica pronuncia Cass. n. 379/99, che ha chiarito come, pur non potendo ciascuno di questi elementi singolarmente considerato fondare l’accertamento della natura del rapporto, nella valutazione complessiva essi possano costituire concordanti, gravi e precisi indizi rivelatori della sussistenza effettiva della subordinazione. L’onere probatorio a carico del lavoratore secondo l’art. 2697 c.c. La comprensione della distribuzione dell’onere probatorio rappresenta un aspetto cruciale per la corretta gestione del contenzioso giuslavoristico. Il Tribunale ha ribadito con chiarezza che, secondo i principi generali sanciti dall’art. 2697 c.c., grava sul lavoratore che agisce per il riconoscimento del rapporto subordinato l’onere di fornire la prova della sussistenza di tale rapporto secondo le modalità dedotte nell’atto introduttivo. Questo significa che il lavoratore deve dimostrare in maniera specifica e circostanziata la propria soggezione al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che si estrinseca nell’emanazione di ordini specifici oltre che nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa, così come disposto dall’art. 2094 c.c.. Nella fattispecie esaminata, il giudice ha evidenziato come l’istruttoria svolta non abbia consentito di confermare le prospettazioni della parte ricorrente. Le dichiarazioni testimoniali sono state ritenute insufficienti perché caratterizzate da genericità e risultanti del tutto equivoche o comunque compatibili anche con la prospettazione di parte resistente. Il primo teste, pur avendo dichiarato di aver visto il ricorrente lavorare per la società resistente, si è limitato a riferire circostanze generiche senza specificare alcunché in ordine alle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro. Analogamente, la testimonianza della madre del ricorrente è stata valutata rigorosamente anche in ragione del rapporto di parentela intercorrente, rilevando come le circostanze riferite fossero generiche e prive di ogni riferimento specifico al rapporto di lavoro ed al potere direttivo, organizzativo e sanzionatorio del datore di lavoro. Il giudice ha inoltre sottolineato come tale teste non potesse validamente riferire in ordine al rapporto di lavoro, avendo dichiarato di essersi limitata ad accompagnare il ricorrente a lavoro tutte le mattine. Il principio dell’incertezza probatoria e i suoi effetti Un aspetto fondamentale emerso dalla pronuncia riguarda l’applicazione del principio dell’incertezza probatoria nel diritto del lavoro. Il giudice ha richiamato il consolidato orientamento della Cass., sez. lav., 28 settembre 2006, n. 21028 secondo cui qualora vi sia una situazione oggettiva di incertezza probatoria, il giudice deve ritenere che l’onere della prova a carico dell’attore non sia stato assolto e non già propendere per la natura subordinata del rapporto. Tale principio assume particolare rilevanza pratica poiché esclude ogni automatismo presuntivo in favore del lavoratore, confermando l’approccio rigoroso della giurisprudenza nell’accertamento della subordinazione. La decisione ribadisce come sia necessaria una dimostrazione positiva e specifica degli elementi costitutivi del vincolo di dipendenza, non potendo il giudice supplire con presunzioni alla carenza probatoria dell’attore. L’autonomia del giudice civile rispetto agli accertamenti ispettivi Uno degli aspetti più significativi della pronuncia concerne la delimitazione del rapporto tra accertamenti amministrativi e valutazione giudiziale. Il Tribunale ha chiarito con precisione che le risultanze del verbale ispettivo non privano il giudice del potere-dovere di accertamento e valutazione dei fatti posti a fondamento della domanda, né depotenzia l’esercizio della cognizione devoluta. Ne consegue che il giudice non può ritenersi vincolato dalla qualificazione del rapporto operata dagli Ispettori del Lavoro, atteso che le valutazioni effettuate dagli ispettori e la conseguente qualificazione giuridica del rapporto non sono assistiti da fede privilegiata. Questo principio assume particolare rilevanza strategica nella gestione del contenzioso giuslavoristico, evidenziando come gli accertamenti amministrativi, pur costituendo elementi di valutazione, mantengano carattere meramente indiziario e non abbiano efficacia preclusiva rispetto alla valutazione giudiziale della natura del rapporto. La precisazione operata dal giudice è di fondamentale importanza poiché chiarisce definitivamente che l’amministrazione del lavoro e l’autorità giudiziaria operano su piani distinti e con finalità diverse. Mentre la prima persegue obiettivi di vigilanza e controllo amministrativo, la seconda è chiamata ad un accertamento giuridico definitivo che richiede l’applicazione rigorosa dei principi sostanziali e processuali. La discontinuità della prestazione e l’inserimento organizzativo Il giudice ha affrontato anche la delicata questione della discontinuità della prestazione lavorativa, richiamando

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