Caduta sulle scale condominiali senza corrimano: quando scatta la responsabilità ex art. 2051 c.c.

La Corte d’Appello di Ancona chiarisce i presupposti della responsabilità oggettiva e il ruolo del concorso colposo nella quantificazione del danno La recente sentenza della Corte d’Appello di Ancona, Sez. II, n. 1001 del 29 luglio 2025, offre importanti chiarimenti sulla responsabilità civile del condominio per incidenti occorsi nelle parti comuni dell’edificio, con particolare riferimento all’applicazione dell’art. 2051 c.c. e alla valutazione del concorso di colpa ex art. 1227 c.c. La fattispecie: caduta sulle scale prive di corrimano La vicenda trae origine dalla caduta di una donna lungo le scale interne di un condominio. La danneggiata, recatasi presso uno studio professionale ubicato nell’edificio, nel discendere i gradini aveva perso l’equilibrio e, non trovando alcun sostegno cui aggrapparsi a causa dell’assenza del corrimano, era rovinata a terra riportando lesioni con invalidità permanente del 9%. Il Tribunale di primo grado aveva respinto la domanda risarcitoria, ritenendo che l’evento fosse imputabile esclusivamente alla condotta disattenta della vittima. La Corte d’Appello ha invece riformato tale pronuncia, applicando i consolidati principi in materia di responsabilità da cose in custodia. I principi giuridici applicati La Corte anconetana ha richiamato l’orientamento consolidato delle Sezioni Unite della Cassazione (Ordinanza n. 20943/2022), secondo cui la responsabilità ex art. 2051 c.c. richiede la dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, mentre grava sul custode l’onere della prova liberatoria del caso fortuito, caratterizzato da imprevedibilità e inevitabilità oggettive. Nel caso di specie, la mancanza del corrimano – pur non essendo obbligatoria per legge considerata l’epoca di costruzione dell’edificio – è stata ritenuta decisiva ai fini dell’accertamento del nesso eziologico. La presenza del presidio avrebbe infatti consentito alla danneggiata di evitare la rovinosa caduta, tanto più in considerazione della superficie liscia delle scale, prive di strisce antiscivolo. Tuttavia, la Corte ha rilevato un concorso di colpa della vittima pari al 60%, considerando che questa, nell’affrontare la discesa di scale che non conosceva bene e che erano visibilmente sfornite di corrimano, avrebbe dovuto adottare maggiore diligenza e attenzione. La quantificazione del danno: criteri e parametri Per la liquidazione del danno biologico, la Corte ha applicato le tabelle del Tribunale di Milano 2024, quantificando per un soggetto di 39 anni con invalidità del 9% un importo base di 16.765,79 Euro, aumentato del 10% ex art. 1226 c.c. per la cenestesi lavorativa accertata dalla consulenza tecnica, cui si aggiungono 6.766,90 Euro per l’invalidità temporanea. L’importo complessivo di 25.209,27 Euro è stato ridotto del 60% in conseguenza del concorso colposo, risultando in un risarcimento finale di 10.083,71 Euro, oltre a 760,00 Euro per spese mediche. La responsabilità dell’amministratore Un profilo di particolare interesse riguarda la responsabilità contrattuale dell’amministratore per l’omesso pagamento del premio assicurativo della polizza RC del condominio, scaduta da quasi un anno rispetto alla data del sinistro. La Corte ha chiarito che l’amministratore, nell’ambito del rapporto di mandato ex art. 1708 c.c., ha il dovere di informare tempestivamente i condomini della mancanza di fondi e di richiedere integrazioni per far fronte alle spese essenziali. L’omesso pagamento del premio assicurativo, prestazione di carattere prioritario per la corretta gestione condominiale, integra grave inadempimento contrattuale, con conseguente obbligo di manleva nei confronti del condominio. Le esclusioni assicurative: clausole claims made e rischi esclusi La sentenza affronta anche complesse questioni assicurative, chiarendo l’inefficacia delle polizze professionali dell’amministratore per diverse ragioni. In primo luogo, le polizze erano state stipulate dall’amministratore in proprio e non quale legale rappresentante della società che svolgeva le funzioni amministrative, determinando un difetto soggettivo di copertura. Inoltre, la polizza “claims made” escludeva la copertura per richieste di risarcimento pervenute successivamente alla cessazione del contratto, mentre specifiche clausole di esclusione riguardavano proprio i “ritardi nel pagamento dei relativi premi”. Implicazioni pratiche per condomini e amministratori La pronuncia offre importanti indicazioni operative per la gestione condominiale. I condomini devono prestare particolare attenzione alla sicurezza delle parti comuni, valutando l’opportunità di installare presidi di sicurezza anche quando non obbligatori per legge, considerando che la loro assenza può configurare responsabilità oggettiva in caso di sinistri. Gli amministratori, dal canto loro, devono assicurare il tempestivo pagamento delle polizze assicurative, informando immediatamente i condomini di eventuali difficoltà economiche e adottando tutte le misure necessarie per garantire la continuità della copertura assicurativa. La stipula di polizze professionali adeguate risulta inoltre essenziale per tutelare la propria responsabilità. La sentenza conferma altresì l’importanza di un’attenta valutazione delle clausole assicurative, con particolare riferimento alle polizze “claims made” e alle esclusioni specifiche, che possono determinare l’inoperatività della copertura proprio nei casi di maggiore necessità. 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L’uso personale delle parti comuni condominiali: tra diritti individuali e tutela collettiva

La gestione delle parti comuni rappresenta uno degli aspetti più delicati della vita condominiale, spesso fonte di conflitti tra l’esigenza del singolo di migliorare il godimento della propria unità immobiliare e la necessità di preservare i diritti della collettività. Una recente pronuncia del Tribunale di Milano (sentenza n. 4981/2025 del 18 giugno 2025) offre l’occasione per approfondire i principi che regolano questa materia. Il caso: un lucernario sul tetto condominiale La vicenda trae origine dalla realizzazione di un lucernario sul tetto condominiale da parte del proprietario dell’ultimo piano di un edificio storico milanese sottoposto a vincolo culturale. L’opera, eseguita senza preventiva autorizzazione assembleare ma munita di SCIA e autorizzazione della Soprintendenza, viene contestata dal condominio che ne chiede la rimozione invocando la violazione del regolamento condominiale e il pregiudizio al decoro architettonico. Il Tribunale, tuttavia, rigetta la domanda condominiale riconoscendo la legittimità dell’intervento quale modificazione consentita ai sensi dell’art. 1102 c.c., non richiedente alcuna delibera assembleare. Il quadro normativo: modificazioni e innovazioni La disciplina dell’uso delle parti comuni trova il suo fondamento nell’art. 1102 c.c., che riconosce a ciascun condomino il diritto di servirsi della cosa comune per trarne la migliore utilità, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Diversa è la fattispecie delle innovazioni disciplinate dall’art. 1120 c.c., che richiedono invece una deliberazione assembleare con maggioranza qualificata. La distinzione assume rilevanza cruciale poiché mentre le modificazioni rientrano nella sfera di autonomia del singolo condomino, le innovazioni coinvolgono l’interesse collettivo e necessitano del consenso assembleare. La Corte di Cassazione ha chiarito con consolidata giurisprudenza che per innovazione deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria. I criteri distintivi secondo la giurisprudenza La giurisprudenza di legittimità ha individuato criteri precisi per distinguere le due fattispecie. Dal punto di vista oggettivo, le innovazioni consistono in opere di trasformazione che incidono sull’essenza della cosa comune, alterandone la funzione originaria, mentre le modificazioni si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino per ottenere una migliore e più comoda utilizzazione del bene. Dal punto di vista soggettivo, nelle innovazioni rileva l’interesse collettivo espresso attraverso una delibera assembleare, mentre nelle modificazioni viene perseguito l’interesse del singolo condomino. La sentenza milanese applica tali principi con particolare attenzione al caso concreto. Il giudice ha rilevato che l’apertura del lucernario non ha determinato alcuna alterazione sostanziale della destinazione del tetto, che continua a svolgere la sua funzione di copertura. L’intervento si configura quale modificazione volta a rendere più intenso e proficuo l’uso del bene comune, rientrando pienamente nelle facoltà riconosciute dall’art. 1102 c.c. I limiti all’uso delle parti comuni L’esercizio del diritto di uso della cosa comune incontra limiti precisi. Il condomino non può alterare la destinazione del bene né impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Nel caso esaminato, il Tribunale ha verificato che il lucernario, per le sue dimensioni ridotte e le modalità costruttive adottate, non compromette né la funzione di copertura del tetto né il potenziale uso da parte degli altri condomini. Particolare rilevanza assume il rispetto del decoro architettonico dell’edificio. Come recentemente ribadito dalla Cassazione nella sentenza n. 917/2024 , il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente. Il ruolo del regolamento condominiale Il regolamento di condominio può introdurre limiti più stringenti rispetto a quelli previsti dal codice civile. La clausola regolamentare che vieta modifiche all’architettura e all’estetica del fabbricato va interpretata nel senso di tutelare il decoro architettonico secondo una nozione più rigorosa di quella codicistica. Tuttavia, come precisato dal Tribunale di Milano, non sono ammissibili clausole che introducano un divieto generalizzato di utilizzazione delle parti comuni, poiché ciò contrasterebbe con i principi fondamentali del diritto condominiale. La sentenza evidenzia come il divieto assoluto di “ogni innovazione o modificazione delle cose comuni” contenuto nel regolamento sia inapplicabile proprio perché configurerebbe un’inammissibile compressione del diritto di uso dei condomini. Resta invece pienamente operante la clausola che vieta opere che modifichino l’architettura e l’estetica dell’edificio, la cui violazione va però valutata caso per caso. Profili pratici e operativi La distinzione tra modificazioni e innovazioni assume rilevanza pratica fondamentale. Mentre per le prime il condomino può procedere autonomamente nel rispetto dei limiti di legge, per le seconde è necessaria una delibera assembleare con le maggioranze qualificate previste dall’art. 1136, quinto comma, c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno i due terzi del valore dell’edificio). Il caso del lucernario rappresenta un esempio paradigmatico di come l’applicazione rigorosa dei principi giurisprudenziali possa condurre a soluzioni equilibrate. L’intervento, pur modificando fisicamente il tetto, non ne altera la funzione essenziale e risponde a un’esigenza legittima del condomino di migliorare l’illuminazione e l’aerazione della propria unità immobiliare. L’evoluzione giurisprudenziale La giurisprudenza più recente mostra un orientamento favorevole a riconoscere maggiori spazi di autonomia al singolo condomino nell’uso delle parti comuni. La Cassazione, con ordinanza n. 35957/2021, ha escluso il carattere di innovazione per interventi che, pur modificando l’aspetto della cosa comune, ne lasciano immutate consistenza e destinazione. Tale orientamento si inserisce in una visione moderna del condominio che, pur tutelando gli interessi collettivi, riconosce l’importanza di consentire ai singoli di valorizzare al meglio le proprie unità immobiliari attraverso un uso più intenso delle parti comuni, purché ciò avvenga nel rispetto dei diritti altrui. Conclusioni La sentenza del Tribunale di Milano offre un contributo significativo alla comprensione dei limiti e delle possibilità dell’uso personale delle parti comuni condominiali. L’equilibrio tra diritti individuali e tutela collettiva passa attraverso un’applicazione ragionata delle norme che tenga conto delle concrete caratteristiche dell’intervento e del contesto in cui si inserisce. Per i condomini che intendano realizzare opere sulle parti