Licenziamento per superamento del comporto: la Cassazione valorizza le comunicazioni WhatsApp come prova della gravità della malattia

La Corte Suprema ribalta la decisione d’appello riconoscendo valore probatorio alle conversazioni informali tra lavoratore e datore per dimostrare la natura delle patologie escluse dal computo delle assenze La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 14471 del 2023 (numero sezionale 3841/2025, pubblicata il 7 ottobre 2025), ha affrontato una questione di rilevante interesse pratico in materia di licenziamento per superamento del periodo di comporto, con particolare riferimento all’interpretazione delle clausole contrattuali collettive che escludono dal computo delle assenze le malattie particolarmente gravi. La vicenda trae origine dal licenziamento intimato a un lavoratore del settore logistica in data 3 giugno 2021 per avvenuto superamento del periodo massimo di conservazione del posto previsto dal contratto collettivo nazionale applicabile. Il dipendente aveva impugnato il provvedimento espulsivo sostenendo che la propria patologia rientrasse tra quelle “particolarmente gravi” che, ai sensi dell’art. 63, comma 8, del CCNL Logistica, Trasporto merci e Spedizioni, devono essere escluse dal calcolo dei giorni di assenza utili ai fini del licenziamento. Il quadro normativo di riferimento L’art. 63 del CCNL Logistica stabilisce che i lavoratori non in prova hanno diritto alla conservazione del posto per 245 giorni di calendario se aventi anzianità di servizio non superiore a cinque anni, oppure per 365 giorni se aventi anzianità superiore. Il comma 8 della medesima disposizione prevede tuttavia una deroga significativa: sono escluse dal computo “le malattie particolarmente gravi occorse al lavoratore durante un arco temporale di 24 mesi”. La norma collettiva precisa che tale arco temporale deve essere calcolato coincidendo con i 24 o 30 mesi consecutivi immediatamente precedenti qualsiasi momento considerato come concomitante con lo stato di malattia in corso e con l’esclusione del periodo di prova. La formulazione della clausola ha generato nel tempo non poche difficoltà interpretative, soprattutto in ordine all’individuazione dei criteri per stabilire quando una malattia possa considerarsi “particolarmente grave” e su chi gravi l’onere di dimostrare tale particolare gravità. Le decisioni dei giudici di merito Il Tribunale di primo grado aveva accolto le domande del lavoratore, riconoscendo la nullità del licenziamento. La Corte d’Appello di Ancona, con sentenza n. 71 del 2023 depositata il 20 febbraio 2023, aveva invece ribaltato la decisione riformando integralmente la pronuncia di primo grado e respingendo le pretese del ricorrente. Secondo la Corte territoriale, risultava pacifico che l’art. 63 del CCNL prevedeva la conservazione del posto in caso di malattia fino a 245 giorni di calendario. I giudici di appello avevano rilevato che il lavoratore aveva superato tale soglia e che doveva ritenersi provato che lo stesso aveva comunicato al datore di lavoro, durante le assenze, notizie concernenti la natura e il decorso della patologia. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva escluso che ricorresse la previsione del comma 8 dell’art. 63, che esclude dal conteggio le malattie particolarmente gravi. A sostegno di tale conclusione, la sentenza impugnata evidenziava che la clausola contrattuale andava interpretata nel senso di far riferimento a patologie che richiedevano la sottoposizione a terapie salvavita e non era stato allegato né provato che la malattia sofferta dal dipendente fosse stata particolarmente grave, avesse richiesto una terapia salvavita o assimilabile. I motivi del ricorso per cassazione Avverso tale decisione, il lavoratore proponeva ricorso per cassazione articolato su tre motivi, ciascuno dei quali meritevole di attenta considerazione per le implicazioni sistematiche che ne derivano. Con il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 del codice di procedura civile, comma primo, numero 3, si denunciava violazione degli artt. 63 del CCNL Logistica, 5 della legge n. 604 del 1966, 1175 e 2687 del codice civile. Il ricorrente lamentava che la Corte territoriale avesse erroneamente ritenuto di addossare al lavoratore la prova della particolare gravità della malattia che consente di escludere dal periodo di comporto le assenze. Il secondo motivo, anch’esso dedotto per violazione di legge ai sensi dell’art. 360 codice di procedura civile, comma primo, numeri 3 e 5, contestava l’interpretazione data dalla Corte territoriale alla clausola negoziale che fa riferimento a malattie particolarmente gravi, limitando erroneamente il campo di applicazione alle terapie salvavita. Il ricorrente sosteneva che il datore di lavoro fosse stato costantemente informato della terapia somministrata e che la circostanza risultasse anche dalla mancata barratura, da parte del medico, della relativa casella nei certificati medici. Con il terzo motivo si deduceva omessa valutazione di un fatto decisivo, con riguardo ai messaggi inviati dal lavoratore al responsabile di filiale, tramite i quali veniva indicata la patologia per cui era stato ricoverato in ospedale e si ipotizzava l’accesso ai benefici della legge n. 104 del 1992. La decisione della Suprema Corte La Cassazione, nel rigettare i primi due motivi, ha innanzitutto fornito importanti chiarimenti interpretativi in tema di contrattazione collettiva e di onere probatorio nel processo del lavoro. In particolare, con riferimento al primo motivo, la Corte ha affermato che, in tema di interpretazione della contrattazione collettiva, trovano applicazione i criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 e seguenti del codice civile. Seguendo un percorso circolare, occorrerà tenere conto, in modo equiordinato, di tutti i canoni previsti dal legislatore, sia di quelli tradizionalmente definiti soggettivi che di quelli oggettivi, confrontando il significato desumibile dall’utilizzo del criterio letterale con quello promanante dall’intero atto negoziale e dal comportamento complessivo delle parti, coordinando tra loro le singole clausole alla ricerca di un significato coerente con tutte le regole interpretative. La Corte richiama in proposito la propria giurisprudenza consolidata, come da sentenza n. 30141 del 2022. Quanto alla nozione di “malattia particolarmente grave”, la Suprema Corte ha riconosciuto che essa ha natura elastica, essendo ascrivibile alla tipologia delle clausole generali. Nell’esprimere il relativo giudizio di valore, il giudice deve integrare il parametro generale contenuto nella clausola attraverso la valorizzazione sia del senso letterale della disposizione sia di principi richiamati nell’intero atto negoziale, oltre che di fattori esterni relativi all’evoluzione della scienza medica. Il Collegio ha precisato che occorre dare concretezza a quella parte mobile della medesima che le parti sociali hanno voluto includere per adeguarla a un dato contesto storico-sociale, ovvero a determinate situazioni non esattamente ed efficacemente specificabili a priori. La