La recente pronuncia della Corte d’Appello di Napoli, Seconda Sezione Civile, sentenza del 30 aprile 2025 (RG nn. 3146/2021 e 3475/2021) offre l’occasione per un approfondimento sistematico sui rapporti tra azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. e procedure concorsuali, con particolare riguardo alla legittimazione della curatela fallimentare ai sensi dell’art. 66 L.F.
La decisione in esame conferma orientamenti giurisprudenziali consolidati, dirimendo questioni di particolare rilevanza pratica che frequentemente si presentano nei rapporti tra procedimenti individuali e collettivi.
La fattispecie e il quadro normativo di riferimento
I fatti di causa
La vicenda trae origine da un’azione revocatoria ordinaria promossa da due creditori nei confronti di un notaio per ottenere la dichiarazione di inefficacia di due distinti atti di donazione immobiliare, rispettivamente del 18 ottobre 2012 e del 31 ottobre 2012, con i quali il debitore aveva trasferito ai propri figli la proprietà di numerosi cespiti immobiliari.
Nel corso del giudizio sopravveniva la dichiarazione di fallimento del debitore, con conseguente interruzione del processo ex art. 43, comma 3, L.F. La curatela fallimentare, assistita nell’occasione dall’Avv. Pasquale Tarricone dello studio TMC Avvocati Associati, riassumeva il giudizio manifestando la volontà di subentrare nell’azione revocatoria.
Il quadro normativo
L’art. 66, comma 1, L.F. attribuisce al curatore del fallimento la legittimazione all’esercizio dell’azione revocatoria ordinaria, stabilendo che “il curatore può esercitare l’azione revocatoria secondo le norme del codice civile”. Tale disposizione si coordina con l’art. 2901 c.c., che disciplina l’azione revocatoria ordinaria volta a rendere inopponibili al creditore gli atti dispositivi pregiudizievoli.
Le questioni giuridiche controverse
La legittimazione esclusiva della curatela fallimentare
Il Tribunale di Benevento, con sentenza n. 1107/2021, aveva erroneamente ritenuto procedibile l’azione revocatoria promossa dai singoli creditori, fondando la propria decisione su un travisamento dei principi affermati dalla Suprema Corte con la pronuncia Cass. Sez. Un. n. 29420/2008.
La Corte d’Appello di Napoli ha invece correttamente chiarito che, quando sopravviene il fallimento del debitore durante la pendenza di un’azione revocatoria ordinaria, “ricorre la legittimazione esclusiva della curatela appellante a proseguire nell’azione revocatoria originariamente promossa”, con conseguente improcedibilità della domanda proposta dagli originari attori.
Tale principio trova il proprio fondamento nella considerazione che l’azione revocatoria ordinaria, pur non essendo propriamente un’azione esecutiva, “è naturalmente orientata a finalità esecutive” e, quando il debitore sia un imprenditore commerciale dichiarato fallito, “il pregiudizio che giustifica l’esercizio dell’azione revocatoria si riflette necessariamente sulla posizione dell’intera massa dei creditori”.
Il subentro processuale ex art. 66 L.F.
La Corte ha ribadito che il curatore, subentrando nell’azione revocatoria, “accetta la causa nello stato in cui si trova” ed esercita “un’azione che già esiste nella massa fallimentare; non quindi un’azione nuova, ma un’azione che si identifica con quella che lo stesso creditore ha esperito prima del fallimento”.
Questo subentro comporta una modifica oggettiva limitata dei termini della causa, poiché “la domanda d’inopponibilità dell’atto di disposizione compiuto dal debitore, inizialmente proposta a vantaggio soltanto del singolo creditore che ha proposto l’azione, viene ad essere estesa a beneficio della più vasta platea costituita dalla massa di tutti i creditori concorrenti”.
L’irrilevanza dell’ammissione al passivo
Una delle questioni più significative affrontate dalla pronuncia riguarda la rilevanza dell’ammissione o meno al passivo fallimentare del credito degli originari attori in revocatoria.
La Corte, in adesione al recente orientamento della Suprema Corte (Cass. Sez. I, ord. n. 6795/2023), ha chiarito che “la prosecuzione del giudizio in corso da parte della curatela, secondo la legittimazione concessa dall’art. 66 l.fall., comporta sul piano probatorio che il curatore costituitosi debba soltanto dimostrare il pregiudizio derivante dall’atto dispositivo, a prescindere dall’insinuazione al passivo fallimentare del credito inizialmente dedotto nel giudizio dall’attore originario”.
Tale principio trova la propria ratio nella considerazione che il curatore “assume la stessa posizione dell’originario attore, in quanto l’azione revocatoria ordinaria, proposta ai sensi dell’art. 66 legge fall., non nasce col fallimento”.
I profili processuali
La tempestività della riassunzione
La sentenza ha anche affrontato la questione della tempestività della riassunzione dopo l’interruzione per fallimento, chiarendo che “il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione è portata a conoscenza del curatore o delle parti processuali”, secondo quanto stabilito dalla recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Sez. III, sent. n. 322/2024).
I requisiti dell’azione revocatoria ordinaria
Quanto ai presupposti sostanziali dell’azione, la Corte ha confermato che l’art. 2901 c.c. “accoglie una nozione molto ampia di credito, comprensiva della ragione od aspettativa”, con conseguente irrilevanza dei normali requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità.
In particolare, “anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare l’insorgere della qualità di creditore abilitato all’esperimento dell’azione revocatoria ordinaria”, purché non si tratti di “un credito manifestamente pretestuoso”.
Le implicazioni pratiche
Per i curatori fallimentari
La pronuncia conferma che i curatori fallimentari possono efficacemente subentrare nelle azioni revocatorie ordinarie pendenti, anche quando:
- La curatela sia decaduta dalla possibilità di esperire autonoma azione revocatoria ex art. 66 L.F. per decorso del termine quinquennale
- Il credito degli originari attori non sia stato ammesso al passivo fallimentare
- L’azione sia stata promossa da creditori titolari di crediti eventuali o litigiosi
Per i creditori
I creditori che abbiano promosso azione revocatoria prima del fallimento del debitore devono essere consapevoli che il sopravvenuto fallimento determina:
- La perdita della legittimazione a proseguire l’azione
- L’improcedibilità delle domande da essi proposte
- L’estensione automatica degli effetti dell’eventuale accoglimento a favore dell’intera massa creditoria
Per i terzi acquirenti
I terzi che abbiano acquisito beni dal debitore successivamente dichiarato fallito devono considerare che l’eventuale subentro della curatela in azioni revocatorie pendenti non modifica i presupposti sostanziali dell’azione, ma estende gli effetti dell’eventuale pronuncia di inefficacia a favore di tutti i creditori concorrenti.
Conclusioni
La sentenza in commento si inserisce nel solco di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, offrendo ulteriori chiarimenti su aspetti di particolare rilevanza pratica. La par condicio creditorum che governa le procedure concorsuali impone che, una volta dichiarato il fallimento, le azioni conservative del patrimonio del debitore siano esercitate nell’interesse della collettività dei creditori, secondo le regole del concorso.
L’affermazione della legittimazione esclusiva della curatela a proseguire l’azione revocatoria, indipendentemente dall’ammissione al passivo del credito degli originari attori, rappresenta un approdo ermeneutico coerente con i principi generali della procedura fallimentare e con le finalità conservative proprie dell’istituto revocatorio.
La pronuncia costituisce quindi un utile punto di riferimento per la prassi, confermando principi consolidati e dirimendo questioni controverse che spesso si presentano nel rapporto tra procedimenti individuali e collettivi.