La Cassazione chiarisce che per l’esecuzione specifica del preliminare è sufficiente la dichiarazione di conformità, anche se non veritiera, salvo falsità evidenti
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27531 del 15 ottobre 2025, ha affrontato una questione di grande rilevanza pratica per chi acquista o vende immobili: qual è il ruolo della conformità catastale nell’esecuzione specifica del contratto preliminare? Quando una difformità tra lo stato di fatto dell’immobile e le planimetrie catastali impedisce realmente il trasferimento della proprietà per via giudiziale?
La vicenda trae origine da un contratto preliminare di compravendita stipulato alla fine degli anni Novanta. L’acquirente, di fronte all’inadempimento degli eredi del venditore originario, aveva chiesto al giudice di disporre il trasferimento coattivo dell’immobile ai sensi dell’articolo 2932 del codice civile, quella norma che consente al promissario acquirente di ottenere con sentenza lo stesso effetto che avrebbe prodotto il contratto definitivo mai concluso.
Durante il giudizio era emerso un ostacolo: la conformità catastale dell’immobile. Il Tribunale di Verona, dopo aver sollevato d’ufficio la questione, aveva richiesto e ottenuto sia una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da parte dell’attore, sia un’attestazione di conformità firmata da un architetto. Tuttavia, una consulenza tecnica d’ufficio successivamente disposta aveva rilevato difformità tra lo stato di fatto e le planimetrie catastali. La Corte d’Appello di Venezia, basandosi proprio su queste risultanze tecniche, aveva rigettato la domanda di trasferimento, ritenendo che l’incoerenza catastale impedisse l’emissione della sentenza prevista dall’articolo 2932 del codice civile.
La Suprema Corte ha però ribaltato questa impostazione, accogliendo il ricorso dell’acquirente e fornendo importanti chiarimenti sui requisiti della conformità catastale e sulla natura della nullità prevista dalla normativa di settore.
La natura formale della nullità catastale
Il punto di partenza dell’analisi della Cassazione è l’articolo 29, comma 1-bis, della legge n. 52 del 1985, come modificato nel 2010. Questa disposizione stabilisce che gli atti pubblici e le scritture private autenticate aventi ad oggetto il trasferimento di diritti reali su fabbricati già esistenti devono contenere, a pena di nullità, tre elementi: l’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione degli intestatari di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. In alternativa alla dichiarazione di parte, la norma consente che venga prodotta un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato.
La Corte ha qualificato questa nullità come “formale e testuale”, secondo la categoria prevista dall’articolo 1418, terzo comma, del codice civile. Questa precisazione non è un mero esercizio di teoria giuridica, ma ha conseguenze pratiche decisive. Una nullità formale, infatti, è collegata alla mancata osservanza di prescrizioni che attengono alle modalità redazionali dell’atto, non alla sostanza del rapporto o alla conformità effettiva tra dichiarazione e realtà.
In parole più semplici: la legge sanziona con la nullità l’assenza della dichiarazione o dell’attestazione di conformità catastale, non l’eventuale falsità o inesattezza di tale dichiarazione. Come ha sottolineato la sentenza, si tratta di un’invalidità collegata a un “an” (la presenza o assenza della dichiarazione) e non a un “quomodo” (la verifica dell’effettiva conformità).
Perché questa distinzione è così importante
La distinzione operata dalla Cassazione risponde innanzitutto alla ratio della normativa introdotta nel 2010. L’obiettivo del legislatore era principalmente di carattere fiscale: contrastare l’evasione attraverso l’emersione dei cosiddetti fabbricati “fantasma”, cioè immobili mai dichiarati in catasto o dichiarati con caratteristiche diverse da quelle reali. Lo strumento individuato è stato quello di imporre ai disponenti di dichiarare formalmente la conformità catastale, responsabilizzandoli sotto il profilo civile e penale.
La norma non intende invece attribuire al notaio o al giudice il compito di verificare materialmente lo stato degli immobili. Questo sarebbe oltretutto tecnicamente complesso e rallenterebbe enormemente sia le compravendite volontarie sia i giudizi di esecuzione specifica. La legge si accontenta quindi della dichiarazione formale, lasciando che eventuali difformità sostanziali vengano accertate e sanzionate in altra sede dall’amministrazione finanziaria.
La Cassazione ha inoltre chiarito che, per determinare se esista o meno una difformità rilevante, occorre fare riferimento alle disposizioni vigenti in materia catastale. Non tutte le difformità, infatti, richiedono l’aggiornamento catastale. Come precisato dalla Circolare dell’Agenzia del Territorio n. 2 del 2010, le modifiche più lievi non compromettono la conformità. Rilevano soltanto le variazioni che incidono sullo stato, sulla consistenza, sull’attribuzione della categoria e della classe, ossia su quegli elementi dai quali dipende la rendita catastale.
Per esempio, lo spostamento di una porta interna o di un tramezzo che non modifica il numero di vani né la loro funzionalità non costituisce una difformità rilevante. Analogamente, per le unità immobiliari la cui consistenza si calcola in metri quadrati o cubi, le modifiche interne di modesta entità che non incidono sulla consistenza o sulla destinazione degli ambienti non richiedono l’aggiornamento catastale. Al contrario, sono rilevanti gli interventi di ristrutturazione, ampliamento, frazionamento, cambio di destinazione d’uso o rilevante redistribuzione degli spazi interni.
Le implicazioni per il giudizio di esecuzione specifica
Nel contesto specifico del giudizio ex articolo 2932 del codice civile, la Cassazione ha affermato che la conformità catastale oggettiva costituisce una “condizione dell’azione” e non un presupposto sostanziale del trasferimento. Questa qualificazione tecnica significa che il giudice deve verificare la presenza della dichiarazione o dell’attestazione di conformità al momento della decisione, ma non è tenuto a compiere un’indagine tecnica per accertare se tale dichiarazione sia veritiera.
È sufficiente, quindi, che nel giudizio venga prodotta la dichiarazione del promittente venditore o l’attestazione di un tecnico abilitato perché si realizzi la condizione necessaria all’accoglimento della domanda. Il giudice può e deve disporre il trasferimento coattivo anche qualora emergano elementi istruttori che facciano dubitare dell’effettiva conformità, purché non si tratti di una falsità talmente evidente da essere rilevabile “ictu oculi”, cioè a prima vista anche da un soggetto tecnicamente inesperto.
Questo principio garantisce una sostanziale parificazione tra il trasferimento volontario (che avviene con atto notarile sulla base della dichiarazione di conformità) e quello coattivo (che avviene con sentenza). In entrambi i casi, è la dichiarazione formale a legittimare l’effetto traslativo, non la verifica sostanziale della conformità.
La posizione del dichiarante e le possibili conseguenze
La sentenza chiarisce però che l’impostazione descritta non lascia prive di tutela le parti né l’amministrazione finanziaria. Chi rende una dichiarazione di conformità mendace si espone infatti a molteplici forme di responsabilità.
Sul piano civile, il dichiarante risponde dei danni eventualmente cagionati alla controparte. Se per esempio l’acquirente, dopo il trasferimento, dovesse sostenere spese per la regolarizzazione catastale resa necessaria dalle difformità non dichiarate, potrebbe chiedere il risarcimento al venditore che aveva falsamente attestato la conformità.
Sul piano penale, poi, la dichiarazione mendace può integrare il reato di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, previsto dall’articolo 483 del codice penale. Questo reato si configura quando il privato attesta falsamente al pubblico ufficiale (il notaio o il giudice) fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità. Le conseguenze penali possono quindi essere significative.
Sul piano tributario, infine, l’amministrazione finanziaria mantiene tutti i suoi poteri di accertamento. L’assenza di conformità effettiva non rende l’immobile incommerciabile, ma espone le parti agli accertamenti fiscali e alle eventuali sanzioni previste dalla legge.
Il meccanismo di conferma dell’atto nullo
La normativa ha previsto anche uno strumento di sanatoria per i casi in cui la dichiarazione o l’attestazione manchino del tutto. L’articolo 29, comma 1-ter, della legge n. 52 del 1985 consente infatti che l’atto nullo per difetto dei requisiti formali possa essere confermato anche da una sola delle parti mediante atto successivo, redatto nella stessa forma del precedente, che contenga gli elementi originariamente omessi.
Questa possibilità di conferma, anche unilaterale, è però subordinata a una condizione: che la mancanza della dichiarazione o dell’attestazione non dipenda dall’inesistenza delle planimetrie o dalla loro difformità dallo stato di fatto. In altre parole, se dopo la stipula del primo atto le parti accertano che le planimetrie erano difformi e procedono alla loro sostituzione con altre nuove, le planimetrie originarie non possono considerarsi “esistenti” al momento della stipula dell’atto da confermare, e quindi il meccanismo della conferma non opera.
Anche questa disposizione conferma l’impostazione generale: la sanatoria è ammessa quando mancava la dichiarazione formale ma le planimetrie esistevano ed erano conformi; non è invece ammessa quando la difformità sostanziale era già presente al momento del primo atto.
I riflessi pratici della decisione
Le conseguenze pratiche di questa sentenza sono significative per diversi soggetti. Per gli acquirenti che abbiano stipulato un preliminare e si trovino a dover agire giudizialmente per ottenere il trasferimento, la pronuncia chiarisce che non è necessario attendere la perfetta regolarizzazione catastale prima di avviare o proseguire il giudizio. Sarà sufficiente produrre una dichiarazione o un’attestazione di conformità, anche se tecnicamente discutibile, per ottenere la sentenza di trasferimento. Naturalmente, resta l’interesse concreto dell’acquirente a verificare preventivamente la situazione catastale per evitare successive problematiche e costi di regolarizzazione.
Per i venditori, la decisione conferma che la dichiarazione di conformità è un adempimento formale imprescindibile, ma al tempo stesso evidenzia le responsabilità civili e penali connesse a dichiarazioni false o inesatte. Sarà quindi opportuno, prima di dichiarare la conformità, verificare attentamente la situazione dell’immobile, eventualmente avvalendosi di un tecnico di fiducia.
Per i notai, la sentenza ribadisce che il loro ruolo nella verifica della conformità catastale oggettiva è limitato all’acquisizione della dichiarazione o dell’attestazione prescritta dalla legge. Non è richiesta, né sarebbe tecnicamente possibile nella maggior parte dei casi, una verifica materiale dello stato degli immobili. Resta però l’obbligo di individuare gli intestatari catastali e verificare la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari, profilo che attiene alla cosiddetta conformità soggettiva.
Per i giudici, infine, la pronuncia fornisce un parametro chiaro per decidere i giudizi di esecuzione specifica: va verificata la presenza della dichiarazione o dell’attestazione di conformità, ma non va disposta una consulenza tecnica volta ad accertare l’effettiva corrispondenza tra stato di fatto e planimetrie catastali, salvo che la falsità emerga in modo evidente e immediato dagli atti di causa.
Uno sguardo al sistema complessivo
La sentenza si inserisce in un quadro normativo più ampio, quello della cosiddetta anagrafe immobiliare integrata, che mira a garantire la corrispondenza tra catasto, conservatoria e realtà fisica degli immobili. Questo obiettivo risponde a esigenze di certezza dei traffici giuridici, di equità fiscale e di tutela del territorio.
Il sistema è costruito su un equilibrio delicato. Da un lato, si vuole evitare che la circolazione immobiliare sia eccessivamente complicata o rallentata da adempimenti troppo gravosi. Dall’altro, si intende responsabilizzare i proprietari e favorire l’emersione delle irregolarità. La nullità formale, con i suoi corollari in termini di responsabilità civile e penale del dichiarante, rappresenta il punto di mediazione tra queste esigenze.
La giurisprudenza della Cassazione ha nel tempo consolidato questa impostazione, distinguendo chiaramente tra conformità urbanistica e conformità catastale. Mentre per la prima il controllo si estende alla verifica dell’esistenza e riferibilità del titolo edilizio (anche se non necessariamente alla conformità della costruzione al titolo), per la seconda il controllo rimane sul piano formale della presenza della dichiarazione.
Un confronto utile: il parallelo con la conformità urbanistica
Vale la pena approfondire brevemente questo parallelo, perché aiuta a comprendere meglio la ratio della decisione. Nel campo urbanistico-edilizio, la norma di riferimento è l’articolo 46 del Testo Unico dell’Edilizia, che prescrive a pena di nullità la menzione negli atti di trasferimento degli estremi del titolo abilitativo. La giurisprudenza, consolidata dalle Sezioni Unite nel 2019, ha chiarito che è sufficiente la menzione di un titolo esistente e riferibile all’immobile, indipendentemente dalla conformità o difformità della costruzione rispetto a quel titolo.
Analogamente, in materia catastale è sufficiente la dichiarazione di conformità, indipendentemente dalla sua veridicità sostanziale. In entrambi i casi, la nullità sanziona un vizio formale (l’assenza della menzione o della dichiarazione), non un vizio sostanziale (la difformità effettiva). Questa simmetria di disciplina è coerente con la natura e la funzione dei due tipi di controlli: quello urbanistico mira a garantire la legalità delle costruzioni, quello catastale la corretta determinazione della base imponibile ai fini fiscali.
Guardando al futuro: possibili sviluppi
La sentenza del 2025 si colloca in un momento di progressiva digitalizzazione degli archivi catastali e di sempre maggiore integrazione tra le diverse banche dati pubbliche. In prospettiva, è possibile che questi sviluppi tecnologici rendano più semplice e immediata la verifica della conformità catastale, eventualmente anche in tempo reale al momento della stipula dell’atto.
Tuttavia, fino a quando il sistema non sarà completamente automatizzato e affidabile, l’impostazione tracciata dalla Cassazione appare equilibrata e ragionevole. Evita di bloccare le transazioni immobiliari e i giudizi di esecuzione specifica a fronte di ogni piccola incertezza o discrepanza, pur mantenendo strumenti sanzionatori adeguati per chi consapevolmente dichiari il falso.
Inoltre, la possibilità di conferma dell’atto nullo prevista dal comma 1-ter dell’articolo 29 offre una via d’uscita per le situazioni in cui la dichiarazione sia stata originariamente omessa per errore o disattenzione. Questa flessibilità è importante in un settore, quello immobiliare, caratterizzato da normative stratificate e in continua evoluzione, nelle quali anche i professionisti più esperti possono talvolta incontrare difficoltà interpretative.
La chiarezza fornita dalla Suprema Corte aiuterà sicuramente a prevenire contenziosi futuri e a orientare correttamente l’attività di notai, avvocati e giudici. Resta fondamentale, però, che tutti i soggetti coinvolti nelle transazioni immobiliari siano consapevoli dell’importanza della conformità catastale, non solo come adempimento formale ma come elemento di trasparenza e correttezza nei rapporti contrattuali.
In conclusione
La sentenza della Cassazione n. 27531 del 2025 rappresenta un importante punto fermo in materia di conformità catastale e trasferimenti immobiliari. I messaggi chiave che se ne ricavano possono essere così sintetizzati.
La nullità prevista per la mancanza della dichiarazione o attestazione di conformità catastale è una nullità formale, che si verifica solo quando questi documenti manchino del tutto, non quando siano presenti ma inesatti. Nel giudizio di esecuzione specifica del preliminare, il giudice deve verificare la presenza della dichiarazione o dell’attestazione al momento della decisione, ma non è tenuto a compiere indagini tecniche sull’effettiva conformità dell’immobile.
Chi dichiara la conformità si assume responsabilità civili e penali in caso di falsità, ma l’eventuale mendacità della dichiarazione non impedisce il trasferimento né determina la nullità dell’atto. La conformità catastale rilevante va valutata secondo le disposizioni vigenti in materia catastale, che non impongono l’aggiornamento per modifiche minori che non incidano su categoria, classe, consistenza e rendita.
Questi principi offrono certezza e prevedibilità alle transazioni immobiliari, pur mantenendo adeguati presidi contro comportamenti scorretti o fraudolenti. Si tratta di un equilibrio delicato, ma necessario in un sistema giuridico che deve contemperare esigenze di sicurezza dei traffici, tutela delle parti e corretto adempimento degli obblighi fiscali.
Per chi si trova ad affrontare questioni legate alla vendita o all’acquisto di immobili, o per chi debba valutare la opportunità di agire giudizialmente per l’esecuzione di un preliminare, questa pronuncia offre coordinate interpretative chiare. Naturalmente, ogni situazione concreta presenta le sue specificità e richiede un’analisi attenta di tutti gli elementi in gioco.
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