La Sezione Tributaria conferma che l’impugnazione di ruoli e cartelle non notificati richiede la prova di uno specifico pregiudizio concreto, applicando la disciplina introdotta dal decreto fiscale 2021 anche ai giudizi pendenti
Con ordinanza n. 27137 depositata il 9 ottobre 2025, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sull’impugnabilità dell’estratto di ruolo e delle cartelle di pagamento asseritamente non notificate o invalidamente notificate, confermando l’applicazione ai processi pendenti della disciplina introdotta dal decreto legge n. 146/2021. La pronuncia ribadisce che il contribuente che intende contestare la mancata o invalida notificazione della cartella deve dimostrare che da tale iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio concreto, rientrante in una delle specifiche ipotesi tassativamente individuate dal legislatore.
La vicenda trae origine dall’impugnazione da parte di una società di tre cartelle di pagamento emesse per maggiori imposte IRES, IVA e IRAP relative a diversi anni di imposta. La contribuente contestava l’autonoma impugnabilità dell’estratto di ruolo per effetto dell’omessa ed irrituale notifica delle cartelle sottostanti, deducendo anche nel merito l’illegittimità della pretesa tributaria. Il contenzioso attraversava tutti i gradi di giudizio con esiti alterni, fino a giungere in Cassazione dove sia l’Agenzia delle Entrate che l’Agenzia delle Entrate Riscossione proponevano ricorso, cui resisteva la contribuente con controricorso e ricorso incidentale.
L’intervento normativo del 2021: una svolta nel contenzioso tributario
Per comprendere la portata della decisione è necessario inquadrare l’intervento normativo che ha profondamente modificato le regole del giudizio tributario in materia di impugnazione di ruoli e cartelle. Il legislatore, con l’art. 3-bis del decreto legge n. 146 del 2021, inserito in sede di conversione dalla legge n. 215 del 2021, ha novellato l’art. 12 del DPR n. 602 del 1973 introducendo il comma 4-bis, successivamente modificato dall’art. 12, comma 1, del D.Lgs. n. 110/2024 con decorrenza dall’8 agosto 2024.
La nuova disposizione ha stabilito due principi fondamentali. In primo luogo, ha sancito espressamente che l’estratto di ruolo non è impugnabile. In secondo luogo, ha previsto che il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione solo nei casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio concreto.
Il legislatore ha quindi individuato tassativamente le ipotesi di pregiudizio rilevante, che comprendono situazioni specifiche e verificabili: il pregiudizio derivante da quanto previsto dal codice dei contratti pubblici; il pregiudizio per la riscossione di somme dovute dai soggetti pubblici, anche per effetto delle verifiche previste dall’art. 48-bis del DPR 602/1973; la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione; le situazioni che si verificano nell’ambito delle procedure previste dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; le operazioni di finanziamento da parte di soggetti autorizzati; la cessione dell’azienda, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997.
Le Sezioni Unite e l’applicabilità ai processi pendenti
La questione dell’applicabilità della nuova disciplina ai processi già pendenti al momento dell’entrata in vigore della riforma è stata risolta in modo definitivo dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26283 del 6 settembre 2022, che ha enunciato principi di diritto vincolanti ai sensi dell’art. 363 del codice di procedura civile.
Le Sezioni Unite hanno affermato che l’art. 3-bis del decreto legge n. 146/2021 si applica ai processi pendenti, poiché la norma specifica e concretizza l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata. La Corte ha inoltre dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113 e 117 della Costituzione, quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione.
Sul piano tecnico-processuale, le Sezioni Unite hanno chiarito che la disposizione, selezionando specifici casi in cui l’invalida notificazione della cartella ingenera di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale, ha plasmato l’interesse ad agire, condizione dell’azione avente natura dinamica che, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, fino al momento della decisione. La norma incide quindi sulla pronuncia della sentenza e si applica anche nei processi pendenti.
La dimostrazione dell’interesse ad agire: oneri e modalità
Un aspetto particolarmente rilevante della pronuncia delle Sezioni Unite attiene alle modalità attraverso le quali il contribuente può dimostrare la sussistenza dello specifico interesse ad agire richiesto dalla nuova disciplina. La Corte ha stabilito che tale dimostrazione deve avvenire attraverso percorsi diversi a seconda della fase processuale in cui ci si trovi.
Nelle fasi di merito, il contribuente può assolvere all’onere di prova attraverso il tempestivo ricorso all’istituto della rimessione nei termini, che le Sezioni Unite hanno espressamente riconosciuto come applicabile anche al processo tributario. Nel grado di legittimità, invece, la dimostrazione può avvenire mediante deposito di documentazione ex art. 372 del codice di procedura civile, oppure fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione, oppure fino all’adunanza camerale.
Qualora occorrano accertamenti di fatto che non possono essere compiuti in sede di legittimità, la Corte può disporre il rinvio al giudice di merito affinché proceda alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’impugnazione. Questo meccanismo consente di bilanciare l’esigenza di applicare immediatamente la nuova disciplina anche ai giudizi pendenti con la necessità di non pregiudicare il diritto di difesa del contribuente che si trovi nell’impossibilità materiale di produrre la documentazione comprovante il pregiudizio.
L’applicazione al caso concreto: la declaratoria di inammissibilità
Nel caso esaminato dalla Cassazione, la società contribuente aveva impugnato l’iscrizione a ruolo e le cartelle di pagamento sottostanti deducendo l’omessa ed irrituale notifica delle stesse e contestando nel merito la pretesa tributaria. Il giudizio aveva attraversato tutti i gradi con esiti parzialmente favorevoli e parzialmente sfavorevoli per entrambe le parti, fino a giungere in Cassazione dove sia l’Agenzia delle Entrate che l’Agenzia delle Entrate Riscossione proponevano ricorso, cui resisteva la contribuente con controricorso e ricorso incidentale.
La Suprema Corte ha preliminarmente evidenziato che nelle more del giudizio la società era stata dichiarata fallita dal Tribunale di Napoli. Tuttavia, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo, trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio. Il curatore del fallimento non è quindi legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacità di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti previsti dall’art. 302 del codice di procedura civile.
Esaminando quindi il merito della questione, la Cassazione ha rilevato che la causa aveva oggetto l’impugnativa di ruolo e degli atti presupposti non notificati. Applicando i principi enunciati dalle Sezioni Unite, la Corte ha constatato che nel caso di specie la ricorrenza di uno degli elementi specificativi dell’interesse ad agire non risultava dagli atti, né alcunché aveva dedotto il contribuente in tal senso.
La società, infatti, si era limitata a contestare la mancata o invalida notificazione delle cartelle e a dedurre nel merito l’illegittimità della pretesa tributaria, senza però allegare e dimostrare che dall’iscrizione a ruolo le fosse derivato uno dei pregiudizi specificamente individuati dal comma 4-bis dell’art. 12 del DPR 602/1973. Non aveva quindi provato di trovarsi in una delle situazioni tassativamente previste dalla legge: partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici, crediti verso pubbliche amministrazioni soggetti a verifica, perdita di benefici nei rapporti con pubbliche amministrazioni, procedure concorsuali, operazioni di finanziamento o cessione di azienda.
Le conseguenze processuali: cassazione senza rinvio
In assenza della dimostrazione di uno degli elementi specificativi dell’interesse ad agire richiesti dalla legge, la Cassazione ha adottato una decisione particolarmente incisiva: ha cassato senza rinvio la sentenza impugnata, dichiarando inammissibile il ricorso originario proposto dalla contribuente in primo grado.
Questa soluzione processuale merita particolare attenzione. La Corte non ha ritenuto necessario rinviare la causa al giudice di merito per accertamenti ulteriori, avendo constatato che dagli atti non emergeva alcun elemento idoneo a configurare l’interesse ad agire e che il contribuente non aveva neppure dedotto circostanze potenzialmente rilevanti sotto tale profilo. La cassazione senza rinvio con declaratoria di inammissibilità del ricorso originario comporta quindi il venir meno dell’intero processo sin dall’origine, con la conseguenza che le cartelle di pagamento impugnate divengono definitive e non più contestabili.
Si tratta di una conseguenza processuale particolarmente gravosa per il contribuente, che si trova privato della possibilità di contestare la pretesa tributaria per difetto di un presupposto processuale sopravvenuto. Tuttavia, tale soluzione risponde alla ratio della riforma legislativa, che ha inteso scoraggiare le impugnazioni meramente dilatorie basate sulla contestazione della notificazione delle cartelle, concentrando la tutela giurisdizionale sui casi in cui dalla mancata notificazione derivi un pregiudizio concreto e attuale per il contribuente.
La compensazione delle spese: equità per il mutamento normativo
Un aspetto significativo della pronuncia attiene alla regolamentazione delle spese processuali. La Cassazione ha disposto l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio, motivando tale decisione con il sopravvenuto intervento normativo e con la sentenza delle Sezioni Unite che ha definito l’interpretazione della nuova disciplina.
Questa soluzione rappresenta un temperamento equitativo rispetto alla declaratoria di inammissibilità del ricorso originario. La Corte ha infatti riconosciuto che il contribuente, quando ha proposto il ricorso in primo grado, agiva in un contesto normativo diverso, nel quale la contestazione della mancata notificazione della cartella attraverso l’impugnazione dell’estratto di ruolo era ammessa senza particolari limitazioni. Il successivo intervento del legislatore, pur legittimamente applicabile ai processi pendenti, ha modificato le regole del gioco in corso d’opera, rendendo inammissibile un ricorso che in origine era invece ammissibile.
La compensazione integrale delle spese costituisce quindi un riconoscimento della buona fede processuale del contribuente e un bilanciamento tra l’esigenza di dare immediata applicazione alla riforma e l’equità nei confronti di chi aveva intrapreso il giudizio confidando nella vigenza di regole diverse. Si tratta di una soluzione che la giurisprudenza ha costantemente adottato nei casi di sopravvenienza normativa che incida sui presupposti processuali.
Il consolidamento giurisprudenziale post-riforma
La pronuncia in esame si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato che ha fatto seguito alla sentenza delle Sezioni Unite n. 26283/2022. La Cassazione richiama espressamente numerose decisioni successive che hanno applicato i medesimi principi: le sentenze nn. 3400 e 3425 del 3 febbraio 2023, le sentenze nn. 8330, 8374 e 8377 del 23 marzo 2023, la sentenza n. 9765 del 12 aprile 2023.
Anche la Corte Costituzionale è intervenuta sulla questione con la sentenza n. 190 del 2023, nella quale ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 12, comma 4-bis, del DPR n. 602 del 1973, confermando quindi la piena legittimità costituzionale della riforma. La Consulta ha escluso che la disciplina introdotta dal legislatore violi i principi costituzionali di tutela giurisdizionale, ragionevolezza, uguaglianza o le norme convenzionali europee.
Questo consolidamento giurisprudenziale offre ormai un quadro di certezza interpretativa sulla portata della riforma. I principi affermati dalle Sezioni Unite trovano costante applicazione da parte delle sezioni semplici della Cassazione, con la conseguenza che il contribuente che intenda impugnare un estratto di ruolo o una cartella asseritamente non notificata deve necessariamente allegare e dimostrare di trovarsi in una delle situazioni di pregiudizio tipizzate dalla legge, pena l’inammissibilità del ricorso.
Implicazioni pratiche: cosa devono fare i contribuenti
La pronuncia ha rilevanti implicazioni operative per i contribuenti e per i professionisti che assistono nelle controversie tributarie. In primo luogo, occorre verificare attentamente, prima di proporre ricorso avverso un estratto di ruolo o una cartella non notificata, se ricorra effettivamente uno dei presupposti di impugnabilità previsti dalla legge.
Il contribuente che si trovi nella condizione di partecipare a una gara pubblica e tema che l’iscrizione a ruolo possa comportare l’esclusione dalla procedura ha certamente interesse ad agire. Analogamente, chi vanti crediti verso pubbliche amministrazioni che potrebbero essere oggetto di compensazione o di blocco dei pagamenti ai sensi dell’art. 48-bis del DPR 602/1973 può legittimamente impugnare la cartella non notificata per evitare tale pregiudizio.
Lo stesso vale per il contribuente che rischi di perdere un beneficio, una sovvenzione o un’agevolazione nei rapporti con una pubblica amministrazione a causa dell’iscrizione a ruolo, o per l’imprenditore coinvolto in procedure di composizione della crisi o di insolvenza, per il quale l’esistenza di debiti tributari iscritti a ruolo può avere conseguenze rilevanti sull’ammissibilità o sull’esito delle procedure. Anche chi necessiti di accedere a finanziamenti bancari o chi stia trattando la cessione della propria azienda può subire un pregiudizio concreto dalla presenza di iscrizioni a ruolo contestate.
In tutti questi casi, tuttavia, non è sufficiente la mera allegazione del pregiudizio: occorre fornirne la prova documentale. Chi partecipa a una gara dovrà produrre la documentazione di gara e dimostrare che l’iscrizione a ruolo costituisce causa di esclusione; chi vanti crediti verso pubbliche amministrazioni dovrà documentarne l’esistenza e la possibilità che vengano bloccati; chi sia coinvolto in procedure concorsuali dovrà produrre la relativa documentazione.
Cosa fare per chi ha già proposto ricorso
Per i contribuenti che abbiano già proposto ricorso prima della riforma del 2021, contestando la mancata notificazione di cartelle senza allegare uno dei pregiudizi tipizzati, la situazione è particolarmente delicata. Come chiarito dalle Sezioni Unite e confermato dalla pronuncia in esame, la nuova disciplina si applica anche ai processi pendenti, con la conseguenza che il ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile se non viene integrato con la dimostrazione del pregiudizio.
La giurisprudenza ha tuttavia offerto alcuni strumenti per salvaguardare le posizioni dei contribuenti che si trovino in questa situazione. Nelle fasi di merito è possibile ricorrere all’istituto della rimessione nei termini per integrare il ricorso con la documentazione comprovante il pregiudizio. Si tratta di uno strumento eccezionale che consente di superare la decadenza da un termine processuale quando la parte dimostri di non aver potuto rispettarlo per causa a sé non imputabile.
Nel giudizio di legittimità, invece, il contribuente può depositare documentazione ex art. 372 del codice di procedura civile fino all’udienza di discussione o all’adunanza camerale. Qualora la documentazione prodotta richieda accertamenti di fatto che non possono essere compiuti in sede di legittimità, la Cassazione può disporre il rinvio al giudice di merito per le verifiche necessarie.
È quindi fondamentale che i contribuenti e i loro difensori verifichino tempestivamente se ricorrano i presupposti per l’impugnazione e, in caso affermativo, producano la documentazione necessaria nei termini e con le modalità consentite dalla fase processuale in corso. L’inerzia o il ritardo nella produzione documentale comportano inevitabilmente la declaratoria di inammissibilità del ricorso originario, con la definitività dell’iscrizione a ruolo.
Considerazioni conclusive: il nuovo equilibrio tra tutela del contribuente e deflazione del contenzioso
La riforma del 2021 e la sua interpretazione giurisprudenziale rappresentano un significativo mutamento di equilibrio nel sistema del contenzioso tributario in materia di riscossione. Prima della riforma, la giurisprudenza ammetteva ampiamente l’impugnazione dell’estratto di ruolo da parte del contribuente che lamentasse la mancata o invalida notificazione della cartella, senza richiedere la dimostrazione di un pregiudizio concreto.
Questo orientamento, pur garantendo un’ampia tutela del diritto di difesa del contribuente, aveva generato un notevole contenzioso spesso utilizzato in chiave dilatoria, con l’obiettivo di procrastinare il più possibile l’esecuzione forzata. Il legislatore ha quindi ritenuto necessario intervenire per ridurre il contenzioso tributario in materia di riscossione, concentrando la tutela giurisdizionale sui casi in cui dalla mancata notificazione derivi un pregiudizio attuale e concreto per il contribuente.
La soluzione adottata risponde a un’esigenza di ragionevolezza ed efficienza del sistema: non ha senso consentire l’impugnazione della cartella non notificata al contribuente che non subisca alcun pregiudizio dall’iscrizione a ruolo, potendo egli attendere l’eventuale atto esecutivo per far valere in quella sede i propri diritti. Al contrario, merita tutela immediata chi dall’iscrizione a ruolo subisca conseguenze pregiudizievoli nei rapporti con terzi o nell’accesso a procedure o benefici.
La giurisprudenza, pur applicando rigorosamente la nuova disciplina anche ai processi pendenti, ha tuttavia temperato il rigore della riforma attraverso la compensazione delle spese nei casi di declaratoria di inammissibilità per sopravvenienza normativa, riconoscendo così l’equità della posizione di chi aveva intrapreso il giudizio confidando in regole diverse.
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