La Cassazione conferma: dopo la sentenza costituzionale del 2014, per i lavoratori autonomi la presunzione sui movimenti bancari vale solo per i versamenti, non per i prelievi
Quando l’Agenzia delle Entrate effettua un controllo sui conti correnti di un professionista o di un lavoratore autonomo, quali movimenti possono essere ritenuti automaticamente “sospetti” e quali invece richiedono ulteriori verifiche? La risposta a questa domanda è tutt’altro che scontata e ha generato nel tempo orientamenti contrastanti tra le Commissioni tributarie.
A fare chiarezza definitiva è intervenuta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29739/2025, pubblicata l’11 novembre 2025, che ha precisato i confini della presunzione legale prevista dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 quando si tratta di attività professionale.

La vicenda esaminata dalla Suprema Corte riguardava un lavoratore autonomo che aveva ricevuto un avviso di accertamento per maggiori imposte (IRPEF, IRAP e IVA) relative all’anno 2011. L’Amministrazione finanziaria aveva ricostruito i ricavi sulla base delle indagini bancarie, rilevando versamenti e prelievi non giustificati. Il contribuente aveva impugnato l’atto davanti alla Commissione tributaria provinciale di Siracusa, che aveva accolto parzialmente il ricorso. In appello, la Commissione tributaria regionale aveva invece annullato integralmente l’accertamento, ritenendo che, dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, la presunzione dell’art. 32 non fosse più applicabile né ai versamenti né ai prelievi dei professionisti.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso in Cassazione, contestando l’interpretazione data dai giudici di merito. Ed è proprio su questo punto che la Suprema Corte ha fornito un chiarimento fondamentale.
Il quadro normativo: l’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973
L’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 disciplina le indagini finanziarie che l’Amministrazione può effettuare presso banche e altri intermediari finanziari. Secondo questa norma, i versamenti su conti correnti bancari costituiscono una presunzione legale di ricavi non dichiarati. In altre parole, quando il Fisco rileva versamenti che non trovano corrispondenza nei ricavi dichiarati, può automaticamente presumere che si tratti di compensi o introiti non fatturati.
La norma originaria faceva riferimento agli “imprenditori”, ma nel 2004 il legislatore aveva esteso questa presunzione anche ai lavoratori autonomi e ai professionisti, equiparando di fatto le due categorie. Questa equiparazione, tuttavia, è stata messa in discussione dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 228 del 2014, che ha censurato il trattamento identico riservato a situazioni oggettivamente diverse.
La svolta della Corte costituzionale
La sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 ha infatti dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui estendeva ai professionisti e ai lavoratori autonomi la presunzione relativa ai prelevamenti bancari. La ratio della decisione è chiara: mentre per un’impresa commerciale i prelievi dal conto corrente possono ragionevolmente essere ricondotti a operazioni commerciali non documentate (acquisti in nero, pagamenti non registrati), per un professionista o un lavoratore autonomo questa connessione non è altrettanto automatica. I prelievi possono infatti essere destinati a spese personali, investimenti privati o altre finalità estranee all’attività professionale.
La questione interpretativa: cosa resta dopo la sentenza costituzionale?
Dopo la pronuncia della Corte costituzionale, nelle aule delle Commissioni tributarie si è aperto un dibattito interpretativo. Alcune decisioni, come quella del caso in esame, hanno ritenuto che la sentenza costituzionale avesse eliminato del tutto la presunzione dell’art. 32 per i professionisti, sia per i prelievi che per i versamenti. Altre pronunce, invece, hanno sostenuto che la decisione della Consulta riguardasse esclusivamente i prelievi, lasciando inalterata la presunzione sui versamenti.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 29739/2025, ha aderito al secondo orientamento, confermando quanto già affermato dalla precedente sentenza n. 22931 del 26 settembre 2018. I giudici di legittimità hanno chiarito che la presunzione legale posta dall’art. 32 resta invariata per quanto riguarda i versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo. La modifica introdotta dalla Corte costituzionale ha inciso esclusivamente sui prelevamenti, per i quali non opera più alcuna presunzione automatica di acquisti o costi non registrati.
Le conseguenze pratiche: cosa deve fare il professionista
Questa distinzione ha rilevanti implicazioni operative. Quando l’Agenzia delle Entrate rileva versamenti sul conto corrente di un professionista che non corrispondono ai compensi dichiarati, scatta automaticamente la presunzione che si tratti di ricavi non fatturati. Spetta quindi al contribuente l’onere di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili.
La prova deve essere rigorosa e documentale: non è sufficiente una generica giustificazione, ma occorre dimostrare con precisione la natura e l’origine di ciascun versamento contestato. Ad esempio, il professionista potrà fornire evidenza che il versamento deriva da un prestito personale, dalla vendita di un bene privato, da un regalo, da un rimborso spese non imponibile o da altre operazioni estranee all’attività professionale. La documentazione necessaria può comprendere contratti di mutuo, atti di vendita, liberalità documentate, estratti conto che dimostrano il transito di somme, e così via.
Al contrario, per quanto riguarda i prelievi, la presunzione non opera più. Se l’Amministrazione finanziaria intende contestare che un prelievo sia stato utilizzato per acquisti non registrati o per pagamenti in nero, dovrà essere l’ufficio a fornire elementi probatori concreti, non potendo basarsi sulla sola movimentazione bancaria.
Nel caso esaminato dalla Cassazione, il contribuente non aveva fornito alcuna giustificazione in merito ai versamenti contestati per un importo di euro 41.360. Per questa ragione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza della Commissione tributaria regionale e rinviando gli atti per un nuovo esame. I giudici di rinvio dovranno quindi valutare nuovamente la posizione del contribuente, applicando correttamente il principio per cui la presunzione sui versamenti resta valida e operante.
I principi affermati dalla Cassazione
L’ordinanza n. 29739/2025 fissa alcuni punti fermi di fondamentale importanza per tutti i professionisti e lavoratori autonomi:
In primo luogo, la presunzione legale dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 continua a operare pienamente per i versamenti bancari effettuati da professionisti e lavoratori autonomi. Quando l’Amministrazione rileva versamenti non giustificati, questi vengono automaticamente presunti come ricavi non dichiarati.
In secondo luogo, il professionista o lavoratore autonomo è onerato di provare in modo analitico che i versamenti contestati non derivano da attività imponibile. Non è ammessa una prova generica o presuntiva: occorre documentazione specifica per ciascun versamento.
In terzo luogo, la sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014 ha eliminato l’equiparazione tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti bancari. Per questi ultimi, quindi, non opera più alcuna presunzione automatica a carico dei professionisti.
In quarto luogo, la Cassazione supera definitivamente l’orientamento espresso dalla precedente sentenza n. 23041 del 2015, che aveva ritenuto la presunzione inapplicabile tout court ai professionisti, e conferma invece la linea interpretativa tracciata dalla sentenza n. 22931 del 2018.
Implicazioni operative per professionisti e studi
Questa pronuncia offre alcune indicazioni pratiche di grande rilevanza. I professionisti e i lavoratori autonomi devono prestare particolare attenzione alla tracciabilità e documentazione dei versamenti sul conto corrente dedicato all’attività. Ogni versamento che non derivi direttamente da un compenso professionale dovrebbe essere supportato da idonea documentazione che ne provi l’origine e la natura.
È consigliabile, quando possibile, separare nettamente i conti correnti personali da quelli professionali, evitando commistioni che possono generare contestazioni. Se un versamento di natura personale viene effettuato sul conto professionale (ad esempio, un rimborso da parte di un familiare o la vendita di un bene privato), è opportuno conservare tutta la documentazione probatoria sin dal momento dell’operazione.
In caso di accertamento basato su indagini bancarie, è fondamentale fornire all’Amministrazione una prova analitica e documentale per ciascun versamento contestato. La genericità delle giustificazioni o la mancanza di riscontri oggettivi comporterà inevitabilmente la conferma della presunzione fiscale.
Infine, i professionisti devono essere consapevoli che, mentre per i prelievi l’onere probatorio è a carico dell’Amministrazione, per i versamenti la situazione si ribalta completamente: è il contribuente che deve dimostrare l’estraneità delle somme versate rispetto all’attività imponibile.
Conclusioni
L’ordinanza n. 29739/2025 della Corte di Cassazione rappresenta un importante punto di riferimento nella gestione delle indagini bancarie a carico dei professionisti. La distinzione tra versamenti e prelievi, con regimi probatori radicalmente diversi, impone una pianificazione attenta e una gestione rigorosa della documentazione bancaria. Gli studi professionali devono essere consapevoli di questi meccanismi per evitare contestazioni e, quando queste arrivano, per difendersi efficacemente fornendo le prove necessarie.
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