La Cassazione annulla una condanna per mancata prova della collocazione temporale delle distrazioni patrimoniali
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 38791/2025 della Quinta Sezione Penale, depositata il 1° dicembre 2025, ha annullato con rinvio una condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale, richiamando un principio fondamentale in tema di responsabilità degli amministratori societari: quando si succedono più amministratori nella gestione di un’impresa poi fallita, non è sufficiente constatare la mancanza di beni patrimoniali al momento del fallimento per attribuire automaticamente la responsabilità all’amministratore cessato. Occorre invece dimostrare con precisione in quale periodo temporale siano avvenute le condotte distrattive.
Il caso analizzato dalla Suprema Corte nasce dal fallimento di una società a responsabilità limitata, dichiarato nel maggio 2013, che si occupava di commercio di veicoli. Durante le indagini preliminari era emersa la distrazione di tredici autoveicoli appartenenti al patrimonio sociale, oltre alla sottrazione dell’intera documentazione contabile. La peculiarità della vicenda risiedeva nella successione di ben tre soggetti nella gestione societaria: un’amministratrice di diritto che aveva ricoperto la carica per oltre tre anni fino ad aprile 2012, il coniuge ritenuto amministratore di fatto, e un successivo amministratore formale subentrato circa un anno prima del fallimento.

La Corte territoriale aveva confermato la condanna della prima amministratrice esclusivamente per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, assolvendo invece tutti gli imputati dal delitto di bancarotta documentale. La motivazione dell’assoluzione per quest’ultimo reato si basava sull’impossibilità di stabilire chi, tra l’amministratrice cessata e il successore, avesse materialmente sottratto i libri contabili, non essendo stato dimostrato alcun concorso tra i due.
Questo ragionamento della Corte d’appello conteneva però un’evidente contraddizione logica che la Cassazione ha prontamente rilevato. Il principio giuridico consolidato, richiamato nella sentenza n. 38791/2025, stabilisce che in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale è illegittima l’affermazione di responsabilità dell’amministratore fondata esclusivamente sul mancato rinvenimento di determinati beni all’atto della redazione dell’inventario fallimentare, quando tali beni erano nella disponibilità della società in epoca anteriore e prossima al fallimento. Questa presunzione viene meno quando sia subentrato un nuovo amministratore con completa estromissione del precedente dalla gestione dell’impresa.
In simili circostanze, la responsabilità dell’amministratore cessato può essere affermata soltanto a due condizioni alternative: deve risultare dimostrata la collocazione cronologica degli atti di distrazione specificamente nel corso della sua gestione, oppure deve emergere l’esistenza di un accordo con l’amministratore subentrato finalizzato al compimento di tali atti illeciti. Si tratta di un principio giurisprudenziale ormai sedimentato, già affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza Sez. V, n. 172 del 2007 (dep., caso Vianello) e di recente ribadito dalla sentenza n. 31691 del 30 maggio 2024.
La Suprema Corte ha rilevato che la ricostruzione dei giudici di merito presentava una caduta di linearità già in partenza. Infatti, mentre il coniuge dell’amministratrice era stato ritenuto del tutto estraneo alla gestione sociale, e il successore era stato qualificato come mero prestanome, non emergeva affatto chi avesse concretamente gestito l’impresa nel periodo successivo alle dimissioni della prima amministratrice e fino al fallimento. Questa lacuna risultava particolarmente grave considerando che il Tribunale aveva espressamente escluso qualsiasi ipotesi di concorso tra gli imputati nei reati contestati.
L’aspetto più contraddittorio della motivazione riguardava proprio il diverso trattamento riservato ai due reati. Per la bancarotta documentale, i giudici avevano assolto sia l’amministratrice cessata sia il successore formale proprio perché non era stato possibile stabilire chi dei due avesse sottratto la contabilità e in quale momento temporale fosse avvenuta la sottrazione. Applicando lo stesso ragionamento logico alle distrazioni patrimoniali, sarebbe stato necessario accertare con precisione quando fossero stati distratti i tredici veicoli: se durante la gestione della prima amministratrice oppure nel periodo successivo.
Questo accertamento temporale risultava ancora più necessario considerando un elemento probatorio emerso nel processo: dopo il fallimento, l’amministratore subentrato era stato trovato in possesso di almeno uno dei veicoli oggetto di contestazione. Questo dato avrebbe dovuto indurre i giudici a maggiore cautela nell’attribuire automaticamente la responsabilità delle distrazioni all’amministratrice cessata, senza verificare la cronologia effettiva delle condotte.
La sentenza della Cassazione sottolinea come lo sviluppo logico del ragionamento seguito dai giudici di merito richiedesse necessariamente di ricondurre le condotte distrattive alla responsabilità dell’amministratrice soltanto a condizione che esse ricadessero temporalmente nel periodo coperto dalla sua amministrazione. In caso contrario, avrebbe dovuto valere il medesimo principio applicato per la bancarotta documentale, con conseguente assoluzione di tutti gli imputati per impossibilità di individuare l’autore delle distrazioni.
Questo passaggio fattuale cruciale sulla collocazione temporale delle condotte distrattive, pur essendo necessariamente implicato dal complessivo ordito argomentativo delle decisioni di merito, risultava invece completamente assente dalla motivazione. La Cassazione ha quindi annullato la sentenza con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, affinché il giudizio venga rinnovato colmando questa lacuna motivazionale.
La pronuncia n. 38791/2025 offre importanti spunti di riflessione sul tema della responsabilità penale degli amministratori societari nelle procedure concorsuali. In primo luogo, ribadisce che la semplice constatazione della mancanza di beni patrimoniali al momento del fallimento non è sufficiente per fondare una condanna quando vi sia stata successione nella carica amministrativa. Il passaggio di consegne tra amministratori costituisce una sorta di “momento di frattura” che impone al giudice un onere probatorio rafforzato circa la cronologia delle condotte illecite.
In secondo luogo, la sentenza evidenzia l’importanza della coerenza logica nell’impianto motivazionale. Non è ammissibile che i giudici applichino criteri valutativi differenti a situazioni sostanzialmente analoghe all’interno dello stesso procedimento. Se l’incertezza sulla collocazione temporale di una condotta determina l’assoluzione per un reato, lo stesso principio deve essere applicato anche agli altri reati contestati che presentino identica problematica probatoria.
Dal punto di vista pratico, questa pronuncia assume particolare rilevanza per gli amministratori che decidono di dismettere la carica in situazioni di difficoltà economica dell’impresa. La semplice cessazione formale dalla carica può non essere sufficiente a escludere responsabilità penali future, qualora non sia possibile dimostrare con precisione quando siano avvenute eventuali distrazioni patrimoniali. Diventa quindi fondamentale documentare in modo puntuale lo stato patrimoniale dell’impresa al momento delle dimissioni, attraverso verbali assembleari dettagliati, inventari e consegne formali al successore.
Per i curatori fallimentari e gli organi inquirenti, la sentenza impone un maggiore rigore nell’attività investigativa finalizzata a ricostruire la cronologia delle condotte distrattive. Non è più sufficiente limitarsi a constatare quali beni risultino mancanti dall’inventario: occorre svolgere accertamenti specifici volti a stabilire in quale periodo temporale tali beni siano usciti dalla disponibilità della società, acquisendo documenti, testimonianze e riscontri oggettivi che consentano di collocare con ragionevole certezza le condotte illecite in un determinato arco temporale.
La decisione della Cassazione conferma inoltre che la qualifica di “prestanome” attribuita a un amministratore formale non risolve automaticamente il problema dell’individuazione del responsabile effettivo. Se da un lato tale qualificazione può escludere la responsabilità del prestanome stesso, dall’altro non può fungere da scorciatoia per attribuire tutte le condotte illecite all’amministratore precedente, in assenza di specifici elementi probatori che colleghino tali condotte al periodo di gestione di quest’ultimo.
Un aspetto particolarmente delicato riguarda la gestione di fatto dell’impresa. Nel caso esaminato, il coniuge dell’amministratrice era stato inizialmente coinvolto nelle indagini quale presunto amministratore di fatto, ma poi era stato assolto per mancanza di prove circa l’effettivo esercizio di poteri gestori. Questa circostanza contribuiva ulteriormente a rendere incerta l’individuazione del soggetto che aveva concretamente diretto l’impresa nel periodo intercorso tra le dimissioni della prima amministratrice e la dichiarazione di fallimento.
La pronuncia ricorda infine che in materia di bancarotta fraudolenta vale il principio della personalità della responsabilità penale: non è ammissibile una responsabilità oggettiva o presunta degli amministratori basata sulla sola carica ricoperta. Ogni addebito deve fondarsi su elementi probatori concreti che colleghino specificamente l’imputato alle condotte distrattive contestate, con precisione sia sotto il profilo temporale sia sotto quello della materiale realizzazione delle condotte.
Il rinvio disposto dalla Cassazione offrirà alla Corte territoriale l’occasione di colmare le lacune probatorie evidenziate, procedendo a una ricostruzione cronologica puntuale delle distrazioni patrimoniali e verificando effettivamente in quale periodo temporale i tredici veicoli siano usciti dal patrimonio sociale. Solo all’esito di questo accertamento sarà possibile individuare con certezza il responsabile delle condotte illecite e valutare l’eventuale sussistenza di un concorso tra i diversi soggetti che si sono succeduti nella gestione dell’impresa.
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