Autovelox non omologati: la Cassazione conferma l’illegittimità delle multe

La Suprema Corte ribadisce che la sola approvazione ministeriale non equivale all’omologazione richiesta per legge: un orientamento ormai consolidato che tutela gli automobilisti

Con l’ordinanza n. 26521 del 1° ottobre 2025, la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su una questione di rilevante portata pratica per milioni di automobilisti italiani: la validità delle sanzioni per eccesso di velocità rilevate mediante dispositivi autovelox che, pur essendo stati approvati dal Ministero competente, non hanno ricevuto la necessaria omologazione ministeriale.

La vicenda processuale trae origine da una multa elevata per violazione dei limiti di velocità. Un automobilista era stato sanzionato per aver percorso una strada statale alla velocità di 88,40 chilometri orari, superando il limite consentito di 70 chilometri orari. L’accertamento era avvenuto mediante un’apparecchiatura elettronica VELOCAR RED & SPEED installata in postazione fissa, dispositivo che risultava approvato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ma privo della prescritta omologazione.

Dopo aver perso sia in primo grado davanti al Giudice di Pace sia in appello presso il Tribunale, l’automobilista ha deciso di adire la Corte di Cassazione, sollevando una questione di diritto fondamentale: può un’apparecchiatura autovelox semplicemente approvata, ma non omologata, costituire fonte di prova legittima per l’accertamento di una violazione del codice della strada?

Il quadro normativo di riferimento è chiaramente delineato dall’art. 142, comma 6, del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Codice della Strada), il quale stabilisce che per determinare l’osservanza dei limiti di velocità possono essere utilizzate solo “apparecchiature debitamente omologate”, le cui risultanze costituiscono “fonti di prova”. La norma utilizza un’espressione inequivocabile che non lascia spazio a interpretazioni estensive o analogiche: solo gli strumenti debitamente omologati possono fornire dati probatori validi in giudizio.

A completamento del quadro normativo interviene l’art. 192 del d.P.R. n. 495 del 1992 (Regolamento di esecuzione del Codice della Strada), che disciplina i controlli e le omologazioni in attuazione della norma programmatica contenuta nell’art. 45, comma 6, del Codice della Strada. Quest’ultima disposizione regolamentare distingue con precisione le attività e le funzioni dei procedimenti di approvazione da quelli di omologazione, attribuendo a ciascuno di essi effetti giuridici differenti.

In particolare, il secondo comma dell’art. 192 del regolamento prevede che l’Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale accerti, anche mediante prove e avvalendosi del parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici, la rispondenza e l’efficacia dell’oggetto per il quale si richiede l’omologazione alle prescrizioni stabilite dal regolamento stesso, procedendo all’omologazione del prototipo solo quando gli accertamenti abbiano dato esito favorevole. Il terzo comma della medesima disposizione stabilisce invece che, quando si tratta di richieste relative a elementi per i quali il regolamento non stabilisce caratteristiche fondamentali o particolari prescrizioni, il Ministero approva il prototipo seguendo, per quanto possibile, la procedura prevista per l’omologazione.

Da questa articolata disciplina emerge con evidenza che il procedimento di approvazione costituisce un passaggio propedeutico, dotato di una propria autonomia funzionale, rispetto alla successiva e distinta attività di omologazione. Si tratta, in sostanza, di due fasi procedimentali caratterizzate da presupposti, modalità e finalità differenti, che non possono essere considerate equivalenti sul piano giuridico.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha accolto il ricorso dell’automobilista e cassato la sentenza del Tribunale che aveva invece ritenuto sufficiente la sola approvazione ministeriale. Nel motivare la decisione, il Collegio ha richiamato un orientamento giurisprudenziale che, sebbene relativamente recente nella sua prima formulazione, si è rapidamente consolidato attraverso una serie di pronunce successive.

L’orientamento ha preso avvio con l’ordinanza n. 10505 del 18 aprile 2024, nella quale la Suprema Corte ha affermato per la prima volta il principio secondo cui, in tema di violazioni del codice della strada per superamento dei limiti di velocità, è illegittimo l’accertamento eseguito con apparecchio autovelox approvato ma non debitamente omologato, atteso che la preventiva approvazione dello strumento di rilevazione elettronica della velocità non può ritenersi equipollente, sul piano giuridico, all’omologazione ministeriale prescritta dalla legge.

Tale statuizione è stata successivamente ribadita con una serie di decisioni che hanno conferito all’orientamento carattere di indirizzo consolidato. La Corte richiama espressamente le ordinanze n. 20913 del 2024, n. 2857 del 2025, n. 12924 del 2025 e n. 13966 del 26 maggio 2025, dimostrando come la giurisprudenza di legittimità abbia ormai raggiunto una posizione univoca e stabile sulla questione.

Il ragionamento della Corte si fonda su una lettura sistematica e letterale delle norme applicabili. Il Collegio evidenzia come l’espressione “debitamente omologate” contenuta nell’art. 142, comma 6, del Codice della Strada imponga necessariamente la preventiva sottoposizione del mezzo di rilevamento elettronico alla procedura di omologazione, procedura che, solo se positivamente conclusa, rende lo strumento idoneo a costituire fonte di prova per il riscontro del superamento dei limiti di velocità.

La Cassazione richiama inoltre il principio interpretativo dell’in claris non fit interpretatio, sottolineando come la chiarezza letterale della norma non consenta operazioni ermeneutiche volte a equiparare l’approvazione all’omologazione. L’art. 45, comma 6, del Codice della Strada, ove si pone riferimento ai mezzi tecnici atti all’accertamento e al rilevamento automatico delle violazioni, distingue nettamente i due termini, riferendosi a una pluralità di dispositivi, alcuni dei quali destinati a essere necessariamente omologati e altri per i quali risulta sufficiente la semplice approvazione.

Tra i dispositivi per i quali l’omologazione costituisce requisito inderogabile rientrano certamente gli strumenti di rilevazione della velocità, in considerazione del chiaro precetto normativo contenuto nell’art. 142, comma 6, del Codice della Strada. Per altri mezzi tecnici di accertamento automatico delle violazioni, invece, può risultare sufficiente la sola approvazione ministeriale. La distinzione normativa risponde a logiche di proporzionalità e ragionevolezza, riservando il procedimento più rigoroso dell’omologazione agli strumenti che incidono maggiormente sulla libertà di circolazione e sui diritti degli automobilisti.

Le implicazioni pratiche di questo orientamento giurisprudenziale sono di notevole rilievo e riguardano potenzialmente un numero elevato di sanzioni amministrative già irrogate o in corso di contestazione. Gli automobilisti che abbiano ricevuto verbali di accertamento per eccesso di velocità rilevato mediante dispositivi autovelox solamente approvati, ma non omologati, possono infatti contestare la legittimità della sanzione sia in sede di opposizione amministrativa sia attraverso il ricorso giurisdizionale al Giudice di Pace.

La verifica dello stato di omologazione dell’apparecchiatura utilizzata costituisce un elemento essenziale della difesa, dal momento che l’assenza di omologazione determina l’illegittimità dell’accertamento e, conseguentemente, l’annullamento della sanzione. È opportuno che gli automobilisti interessati richiedano all’autorità accertante la documentazione comprovante non solo l’approvazione ministeriale del dispositivo, ma specificamente il decreto di omologazione, con l’indicazione del numero, della data e dell’autorità emanante.

Va sottolineato che l’orientamento della Cassazione non mette in discussione l’affidabilità tecnica degli strumenti di rilevazione né la loro idoneità a misurare correttamente la velocità dei veicoli. La questione si colloca esclusivamente sul piano della legittimità formale dell’accertamento: un dispositivo tecnicamente accurato ma privo del prescritto decreto di omologazione non può essere utilizzato quale fonte di prova in sede sanzionatoria, indipendentemente dalla sua affidabilità metrologica.

Questo aspetto merita particolare attenzione perché evidenzia come il diritto amministrativo sanzionatorio sia caratterizzato da un rigoroso formalismo procedurale, volto a garantire certezza dei rapporti giuridici e tutela effettiva dei diritti dei cittadini. Il rispetto delle procedure di omologazione non costituisce un mero adempimento burocratico, ma rappresenta una garanzia fondamentale che assicura la conformità degli strumenti di rilevazione a standard tecnici definiti e verificati dall’autorità competente.

L’ordinanza in commento si inserisce in un contesto giurisprudenziale caratterizzato da una crescente attenzione verso le garanzie procedimentali in materia di sanzioni amministrative. La giurisprudenza di legittimità ha progressivamente elaborato una serie di principi volti a garantire il rispetto del contraddittorio, la trasparenza degli accertamenti e l’effettiva possibilità di difesa per i destinatari delle sanzioni. In questa prospettiva, l’esigenza che gli strumenti di rilevazione automatica siano debitamente omologati si configura come un corollario del principio di legalità sostanziale che permea l’intero diritto amministrativo sanzionatorio.

Un ulteriore profilo di interesse riguarda le conseguenze per le amministrazioni comunali che abbiano fatto affidamento su dispositivi semplicemente approvati. Qualora emerga che le apparecchiature utilizzate non risultino omologate, le sanzioni già irrogate potrebbero essere oggetto di impugnazione con fondate prospettive di accoglimento. Questo scenario impone agli enti locali di verificare con attenzione lo stato degli strumenti di rilevazione in uso e, ove necessario, di procedere alla sostituzione con dispositivi regolarmente omologati.

Dal punto di vista processuale, l’automobilista che intenda contestare una sanzione per eccesso di velocità può proporre opposizione davanti al Giudice di Pace entro il termine di trenta giorni dalla notifica del verbale, ovvero di sessanta giorni se la notifica è avvenuta in forma diretta mediante contestazione immediata. Nel ricorso è opportuno dedurre l’assenza di omologazione dell’apparecchiatura utilizzata e richiedere all’amministrazione, anche in via istruttoria, la produzione del decreto di omologazione. In mancanza di tale documentazione, o qualora risulti che lo strumento è stato solo approvato ma non omologato, il ricorso potrà essere accolto con conseguente annullamento della sanzione e delle eventuali sanzioni accessorie.

La consolidazione dell’orientamento giurisprudenziale favorevole agli automobilisti rappresenta un importante segnale di tutela dei diritti individuali di fronte all’esercizio del potere sanzionatorio pubblico. La Cassazione, attraverso una lettura rigorosa della normativa vigente, ha ribadito che il rispetto delle garanzie procedimentali non costituisce un optional ma un requisito inderogabile per la legittimità dell’azione amministrativa. In un settore, come quello delle sanzioni stradali, caratterizzato da un’elevata automazione degli accertamenti, questa impostazione assume particolare rilievo per evitare che l’efficienza tecnica prevalga sulle garanzie di legalità.

È ragionevole attendersi che, alla luce di questo consolidato orientamento giurisprudenziale, le amministrazioni competenti procederanno con tempestività alla verifica dello stato di omologazione dei dispositivi installati sul territorio nazionale e, ove necessario, all’adeguamento degli strumenti di rilevazione ai requisiti normativi. Nel frattempo, gli automobilisti che abbiano ricevuto sanzioni per eccesso di velocità accertato mediante autovelox non omologati dispongono di solidi argomenti giuridici per contestare la legittimità dei provvedimenti sanzionatori.

L’ordinanza della Cassazione offre anche spunti di riflessione più ampi sul rapporto tra innovazione tecnologica e garanzie giuridiche. L’utilizzo crescente di sistemi automatizzati di accertamento delle violazioni amministrative solleva interrogativi sulla necessità di bilanciare l’efficienza operativa con la tutela dei diritti individuali. Il diritto vivente, attraverso pronunce come quella in esame, dimostra di saper fornire risposte adeguate, ancorandosi ai principi fondamentali di legalità, proporzionalità e trasparenza che caratterizzano lo Stato di diritto.

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