La Corte Suprema conferma che non è ammissibile richiedere al giudice di verificare la legittimità delle malattie dei dipendenti in funzione di un ipotetico futuro provvedimento disciplinare
La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con ordinanza n. 3518 del 16 ottobre 2025, depositata in esito all’udienza camerale del 10 luglio 2025, ha affrontato una questione di particolare rilievo nella gestione dei rapporti di lavoro: può un datore di lavoro richiedere in giudizio l’accertamento della gravità e dell’idoneità delle patologie che hanno determinato le assenze per malattia dei propri dipendenti, al fine di valutare successivamente l’avvio di un procedimento disciplinare?
La vicenda trae origine da una situazione piuttosto peculiare: due lavoratori coniugi si erano assentati dal lavoro per malattia per un periodo complessivo di centosessantasette giorni nell’arco di quattro anni e mezzo, con assenze sovrapposte e coincidenti tra loro. Il datore di lavoro, ritenendo anomale tali assenze anche sulla base di indagini investigative che avevano documentato normali attività della vita quotidiana durante i periodi di malattia, aveva proposto ricorso giudiziario per ottenere l’accertamento della natura, gravità ed effettiva idoneità delle patologie a giustificare l’astensione dal lavoro.
Tanto il Tribunale in primo grado quanto la Corte d’Appello di Bologna avevano dichiarato inammissibile la domanda per carenza di interesse ad agire ai sensi dell’articolo 100 del codice di procedura civile. La società datrice di lavoro ha quindi proposto ricorso per cassazione, sostenendo che l’incertezza oggettiva sulla legittimità delle assenze le impedisse di esercitare il proprio potere disciplinare senza un previo accertamento giudiziale.
Il principio dell’interesse ad agire nel processo civile
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, richiamando un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato. Come ribadito dalla pronuncia in esame e confermato da precedenti quali Cassazione civile n. 11730/2024, n. 17026/2006, n. 4496/2008, n. 13556/2008, n. 12893/2015 e n. 16262/2015, l’interesse ad agire con un’azione di mero accertamento non richiede necessariamente l’attuale verificarsi della lesione di un diritto o una contestazione formale. È sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico o sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi che ne scaturiscono, purché la rimozione di tale incertezza costituisca un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile senza l’intervento del giudice.
Tuttavia, come hanno precisato anche le Sezioni Unite con sentenza n. 27187/2006, la tutela giurisdizionale è tutela di diritti: il processo può essere utilizzato solo come strumento per far valere un diritto e non di per sé, per effetti possibili e futuri. Non sono quindi proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti che costituiscano mere frazioni di una fattispecie più ampia. L’interesse ad agire deve riguardare uno stato di diritto e non di fatto, e la sua attualità deve consentire di conseguire un risultato concretamente rilevante in vista della tutela di una lesione non meramente potenziale.
L’inammissibilità dell’accertamento preventivo in funzione disciplinare
Nel caso specifico, la Cassazione ha rilevato che la domanda della società datrice di lavoro era rivolta proprio a ottenere un accertamento di meri fatti: l’esistenza della malattia, la sua gravità, la sua incidenza sulla capacità lavorativa e l’idoneità a giustificare l’assenza. Tali elementi costituiscono presupposti di fatto di un eventuale diritto, ma non un diritto in sé. Come già affermato da Cassazione n. 5074/2007 e n. 27151/2009, l’interesse ad agire ai sensi dell’articolo 100 del codice di procedura civile deve avere per oggetto un diritto o un interesse legittimo, non un fatto che costituisca soltanto uno dei presupposti del diritto.
La Corte ha inoltre richiamato il precedente di Cassazione n. 4587/2014, che aveva già escluso l’ammissibilità di un’azione preventiva di mero accertamento intesa a verificare se la condotta del lavoratore fosse tale da ledere l’elemento fiduciario alla base del rapporto di lavoro e quindi da giustificare il licenziamento. L’interesse ad agire sussiste solo quando ricorra una situazione d’incertezza relativa a diritti o rapporti giuridici non eliminabile senza l’intervento del giudice. Nel caso dell’accertamento preventivo della legittimità di un futuro provvedimento disciplinare, invece, l’esito del giudizio non risolverebbe la questione, poiché resterebbe comunque rimessa alla successiva valutazione discrezionale del datore di lavoro la decisione se procedere o meno alla contestazione degli addebiti, con evidente violazione dei principi di immediatezza della contestazione e di tempestività del recesso datoriale, che rispondono alle esigenze di buona fede e correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro.
Gli strumenti già a disposizione del datore di lavoro
Un aspetto particolarmente significativo della pronuncia riguarda la confutazione dell’argomento secondo cui, senza l’accertamento giudiziale preventivo, il datore di lavoro non potrebbe esercitare il proprio potere disciplinare. La Corte ha sottolineato che il potere disciplinare è conferito in via unilaterale al datore di lavoro e la sua attivazione non è subordinata ad alcuna autorizzazione né a sindacati preventivi secondo l’ordinamento vigente.
L’imprenditore dispone infatti di numerosi strumenti per verificare la legittimità delle assenze per malattia: può richiedere la visita fiscale, può far accertare l’idoneità fisica del lavoratore da parte del medico aziendale, può attivare accertamenti investigativi sulla compatibilità del comportamento tenuto durante la malattia e sul rispetto delle fasce orarie di reperibilità. All’esito di tali verifiche, può attivare la procedura disciplinare prevista dall’articolo 7 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori), che consente di verificare la realtà dei fatti anche nel contraddittorio delle parti e non deve necessariamente concludersi con l’irrogazione della sanzione.
Ciò che il datore di lavoro pretendeva con l’azione proposta era piuttosto di ottenere la certezza di non sbagliare nel valutare i fatti, auspicando un controllo preventivo sulla conformità a legge di un successivo e ipotetico atto giuridico di contestazione dell’illecito e irrogazione della sanzione disciplinare. Tale risultato, tuttavia, non può essere conseguito attraverso il processo, per evidenti esigenze di economia processuale e di indispensabilità della giurisdizione, nonché di autoresponsabilità nell’esercizio di un potere giuridico regolato dalla legge.
Il principio di attualità dell’interesse ad agire
La Suprema Corte ha concluso richiamando Cassazione n. 12532/2024, secondo cui l’interesse ad agire deve essere identificato in una situazione di carattere oggettivo derivante da un fatto lesivo, in senso ampio, del diritto e consistente nel danno che l’attore soffrirebbe senza il processo e l’esercizio della giurisdizione. Tale interesse deve avere necessariamente carattere attuale, poiché solo in tal caso trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva assurgendo a consistenza giuridica e oggettiva. Resta invece escluso quando il giudizio sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche.
Il ricorso è stato quindi rigettato con condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro quattromila per compensi ed euro duecento per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del quindici percento e agli altri oneri di legge. La Corte ha inoltre dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.
Implicazioni pratiche per datori di lavoro e lavoratori
Questa pronuncia riveste notevole importanza pratica per la gestione delle assenze per malattia in ambito aziendale. Conferma che il datore di lavoro non può utilizzare il processo come strumento di consultazione preventiva per ottenere una sorta di “autorizzazione giudiziale” prima di esercitare i propri poteri disciplinari. La tutela giurisdizionale è rivolta alla composizione di controversie attuali su diritti ed obblighi, non alla risoluzione di questioni ipotetiche o future.
Per i datori di lavoro, ciò significa che devono esercitare con piena autonomia e responsabilità la propria discrezionalità nel valutare la legittimità delle assenze e nell’eventuale avvio di procedimenti disciplinari, utilizzando gli strumenti già previsti dall’ordinamento: visite fiscali, accertamenti medici, verifiche sul rispetto delle fasce di reperibilità e, quando sussistano elementi concreti di illecito, contestazione disciplinare secondo le garanzie procedurali dello Statuto dei Lavoratori. L’eventuale errore di valutazione potrà essere sindacato successivamente dal giudice in caso di impugnazione del provvedimento disciplinare da parte del lavoratore.
Per i lavoratori, la decisione conferma che le assenze per malattia sono tutelate dal sistema normativo e che non possono essere sottoposte a sindacato giudiziale preventivo “a richiesta” del datore di lavoro. Resta naturalmente ferma la possibilità per il datore di esercitare i controlli previsti dalla legge e di contestare eventuali comportamenti illegittimi attraverso la procedura disciplinare, con tutte le garanzie difensive che tale procedura comporta.
Hai dubbi sulla gestione delle assenze per malattia o sull’esercizio del potere disciplinare nel tuo contesto lavorativo? Il nostro studio legale è a tua disposizione per una consulenza personalizzata. Contattaci per analizzare la tua situazione specifica e ricevere un supporto qualificato nella tutela dei tuoi diritti, sia che tu sia un datore di lavoro sia che tu sia un lavoratore.

