Giusto sanzionare la prof che punisce la vittima di bullismo

Risanamento danni all’amministratore condominiale revocato anzitempo

Tempo di lettura: < 1 minuti Con l’interessante ordinanza n. 7874 del 19 marzo 2021 la Corte di Cassazione si è espressa sulle conseguenze economiche, a carico del condominio, in ipotesi di revoca dell’amministratore prima della scadenza dell’incarico. A rivolgersi alla suprema corte era stato l’amministratore di un condominio palermitano che si era visto revocare l’incarico anzitempo, e che pertanto aveva richiesto il risarcimento del danno per la cessazione anticipata del rapporto, ai sensi dell’art. 1725 del codice civile. I giudici di merito avevano rigettato la domanda dell’amministratore revocato, sul presupposto della natura libero-professionale dell’incarico di amministratore, e della sua conseguente ordinaria revocabilità senza conseguenze. L’ordinanza della Cassazione ha invece ribaltato tale interpretazione, affermando che il contratto tra il condominio e l’amministratore non è assimilabile a quello di opera intellettuale, quanto invece a quello tipico del mandato oneroso. Conseguentemente, secondo la Corte, in ipotesi di revoca deliberata dall’assemblea prima della scadenza prevista nell’atto di nomina, l’amministratore condominiale ha diritto al risarcimento dei danni in applicazione dell’art. 1725 del codice civile.
DISTACCO DALL’IMPIANTO CONDOMINIALE E RELATIVE SPESE

Tempo di lettura: 3 minuti In condominio accade di frequente che un comproprietario intenda distaccarsi da un servizio centralizzato – spesso quelli di riscaldamento o di antenna televisiva – per ottenere una maggiore comodità da un impianto singolo, o per realizzare una migliore economia di gestione. Per anni la giurisprudenza si è confrontata sull’esistenza del diritto al distacco in capo ad ogni condomino, e sulle conseguenze di tale distacco relativamente alle spese di gestione e manutenzione dell’impianto centralizzato. Ci si è chiesto per anni se il distacco del singolo condomino dovesse essere necessariamente autorizzato dagli altri condomini, e se, soprattutto, il condomino, una volta sganciatosi dall’impianto, fosse tenuto o meno a contribuire, ed in che misura, alle spese del servizio. Dopo alcune oscillazioni interpretative, si è consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui il distacco corrisponde ad un diritto soggettivo del singolo condomino, sottoposto non già all’assenso degli altri condomini, ma alla sola condizione che da esso non derivi un significativo ostacolo alla fruizione del servizio da parte degli altri comproprietari. Per tale ragione, in un primo momento è stato ritenuto che tale diritto del singolo doveva essere subordinato alla condizione che egli provasse che il distacco non avrebbe determinato aggravi di spese per coloro che avrebbero continuato ad utilizzare l’impianto, né disservizi nella erogazione del servizio (Cass. n. 5974/2004; Cass. n. 6923/2001). In applicazione di tale orientamento, i giudici di legittimità hanno così sostenuto che il distacco esenterebbe il condomino dalle spese correnti di gestione, ma non già da quelle di manutenzione necessarie per tenere in efficienza il servizio comune (Cass. n. 10214/1996; Cass. n. 11152/1997), né dalle maggiori spese di gestione determinate, proprio dal distacco, a carico degli altri condomini (Cass. n. 11152/1997; Cass. n. 1775/1998). In ogni caso è stata ritenuta valida e legittima la clausola del regolamento condominiale che ponga comunque, a carico del condomino rinunciante o distaccato, l’obbligo di contribuzione sia alle spese per la conservazione del servizio condominiale che a quelle per la sua gestione ordinaria, attesa la disponibilità del diritto (Cass. n. 12580/2017) e tenuto quindi conto che il criterio legale di ripartizione delle spese di gestione di cui all’art. 1123 c.c. è derogabile per volontà delle parti (Cass. n. 32441/2019). D’altra parte con la legge n. 102/2014 è stata imposta la contabilizzazione dei consumi di ogni unità immobiliare, in modo da procedere alla attribuzione delle spese sulla base dei consumi reali, sicché è intenzione del legislatore – in mancanza di accordi di diverso tenore tra le parti – affermare il principio secondo cui il pagamento delle spese del servizio di riscaldamento deve essere ripartito secondo l’effettivo consumo di ogni unità immobiliare. In definitiva, se è vero che il distacco dal servizio comune corrisponde sempre ad un diritto del condomino ogni qualvolta tale separazione non infici o aggravi sensibilmente il godimento degli altri condomini, resta intatto l’obbligo del distaccante di contribuire alle spese di conservazione del servizio e della sua funzionalità, restando sempre in sua facoltà di richiedere il riallaccio – a propria cura e spese – qualora egli lo ritenesse.
L’AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE E’ ONERE OCCULTO DEL MUTUO

Tempo di lettura: 2 minuti Con la recentissima pronuncia n. 2188 dell’ 8.2.2021 il Tribunale di Roma è tornato ad esprimersi sull’ammortamento dei mutui con il sistema di calcolo “alla francese”, condannando l’istituto di credito mutuante alla restituzione della somma di circa 13.000 euro, pari agli interessi illegittimamente pagati dai mutuatari. I mutuatari avevano convenuto in giudizio la banca chiedendo la restituzione dell’indebito, determinato dall’indebita applicazione di tassi anatocistici, lamentando la non corrispondenza tra il tasso effettivamente applicato e il tasso nominale, tra il TAEG effettivo e quello convenzionalmente pattuito, ed infine il superamento del tasso soglia da parte del TEG (tasso globale annuo), che definisce i limiti oltre i quali il mutuo viene definito usurario. Secondo il Tribunale capitolino, e con riferimento all’ammortamento “alla francese”, ai fini della valutazione di usurarietà di un finanziamento occorre considerare, nel calcolo del costo complessivo, anche il costo “occulto” insito nell’utilizzo del regime composto. Il Consulente Tecnico d’Ufficio nominato dal giudice ha confermato la sussistenza di tale onere occulto, individuandolo nella differenza tra la rata contrattuale che il mutuante ha adottato e quella risultante dall’applicazione del regime finanziario della capitalizzazione semplice. Ai fini della determinazione del TEG, tale onere nascosto è stato sommato agli altri costi del finanziamento, facendo così emergere che il tasso effettivamente applicato al rapporto risultava superiore al tasso soglia, e conseguentemente la sussistenza dell’usura. Il Tribunale di Roma ha precisato che, ai fini del calcolo del TEG, così come sancito dall’art. 644, IV, co. c.p., per la determinazione del tasso di interesse usurario si deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Tra i costi e le spese direttamente collegati all’erogazione del finanziamento va incluso anche quello occulto a carico del mutuatario. Tale maggiore onere va comunque calcolato “ai fini del calcolo del tasso effettivo globale annuo (TEG) al pari di tutti gli altri costi, spese e remunerazioni collegate al finanziamento, incluso il vero e proprio effetto anatocistico di cui all’art. 1283 c.c.” a prescindere dall’accettazione, esplicita o tacita, del regime di capitalizzazione composta da parte del mutuatario. In sintesi, secondo la tesi esposta nella sentenza n. 2188/2021, quando l’ammortamento di un finanziamento è stato progettato secondo il regime composto, si deve procedere alla disapplicazione di tale regime e all’applicazione del regime semplice, ottenendo, a parità di tasso, durata e somma prestata, un valore della rata semplice più bassa di quella che si ottiene in regime composto. Tale maggiore onere va inserito nel calcolo TEG in quanto costituisce un “costo occulto” che incide sulla determinazione del tasso reale ed affettivo del mutuo. All’esito del ragionamento svolto, il Tribunale di Roma ha dichiarato, ai sensi dell’art. 1815, co.2, c.c. (“ Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”), la nullità della clausola relativa alla pattuizione degli interessi corrispettivi e la conseguente gratuità del finanziamento.
LA CONVIVENZA STABILE FA PERDERE L’ASSEGNO DIVORZILE

Tempo di lettura: 2 minuti Due coniugi si separano, con obbligo del marito di corrispondere il mantenimento alla moglie. All’atto della pronuncia del divorzio, tuttavia, il Tribunale di Salerno dispone la revoca del mantenimento, e nega quindi la sua trasformazione in assegno divorzile, poiché lei, nel frattempo, aveva avviato una relazione di convivenza stabile con un altro uomo. A nulla è valso l’appello di lei, che si è rivolta così ai giudici di legittimità. Con l’ordinanza n. 12335 del 10 maggio 2021, la Corte di Cassazione ha rigettato definitivamente la richiesta della ricorrente, ribadendo il principio secondo cui la costituzione di una nuova famiglia, anche “di fatto”, da parte del coniuge separato o divorziato, tronca definitivamente ogni legame con la precedente convivenza, e quindi anche con i ruoli, le condizioni ed il tenore di vita che avevano caratterizzato quel rapporto. Secondo i giudici di legittimità, se va riconosciuta alla famiglia “di fatto” la tutela di cui all’art. 2 della Costituzione italiana, poiché la sua costituzione è dettata dalla libera scelta dell’individuo ed è esplicazione del diritto di realizzazione esistenziale, deve riconoscersi anche che essa comporta la cessazione di ogni connessione con il precedente legame coniugale. La conseguenza, sul piano processuale, pone a carico del coniuge che chiede la revoca dell’assegno l’onere di dimostrare che l’altro ha avviato una stabile relazione di convivenza con altra persona, mentre spetta al beneficiario che non voglia perdere l’assegno di provare che l’avvio del nuovo legame affettivo non può essere configurato come una formazione familiare. Una prova spesso difficile per le parti, tant’è che, nel caso preso in esame dalla Cassazione, la prova della formazione di una nuova famiglia “di fatto” era stata ricavata dal fatto che il nuovo compagno di lei aveva prestato la garanzia personale per il pagamento del canone di locazione dell’appartamento in cui si era trasferita la donna dopo la separazione.
LA MEDIAZIONE ESCLUDE L’OBBLIGO DI NEGOZIAZIONE ASSISTITA

Tempo di lettura: 2 minuti Immaginiamo una controversia per cui è previsto l’obbligo di esperire la negoziazione assistita, ma non già quello di mediazione, e poniamo il caso che, ciò nonostante, venga proposta la seconda. Nel caso di specie, una domanda di risarcimento danni di valore inferiore a cinquantamila euro. Secondo una recente decisione resa dal Tribunale di Roma (ordinanza 12.4.2021 – dott. Moriconi) la proposizione della mediazione non obbligatoria consente di assolvere l’obbligo di esperire la negoziazione assistita preventiva. La pronuncia conferma le precedenti valutazioni con cui altri giudici di merito avevano già ritenuto che la mediazione può offrire maggiori tutele alle parti, grazie alla presenza di un terzo imparziale, al punto da soddisfare in maniera quanto meno equivalente l’intento del legislatore di deflazionare l’accesso alla giustizia ordinaria con il ricorso alle procedure di composizione negoziata delle controversie. Il Tribunale capitolino muove il proprio ragionamento dalla constatazione che, nelle materie per cui v’è conflitto tra gli obblighi di mediazione e di negoziazione assistita, l’art. 3 del decreto legge n. 132 del 2014 riconosce espressamente che va esperita solo la prima e non già la seconda. Richiamando poi i principi espressi dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 97 del 2019, l’ordinanza sottolinea che, per le sue caratteristiche e le sue garanzie, la mediazione assicura maggiori possibilità di far ottenere alle parti un accordo di composizione della controversia. Non sfugge, infine, come l’ordinanza del Tribunale romano si pone, nel quadro giurisprudenziale italiano e comunitario, come un ulteriore elemento del progressivo depotenziamento della negoziazione assistita, sulla cui obbligatorietà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e numerose corti di merito italiane hanno già reso pronunce di disapplicazione.
L’ATTIVITA’ ANTIECONOMICA NON GIUSTIFICA DA SOLA L’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO

Tempo di lettura: < 1 minuti Importante affermazione per un imprenditore difeso dallo studio TMC Avvocati Associati, innanzi la Corte di Cassazione, contro due diversi accertamenti tributari, ciascuno per svariate decine di migliaia di euro, notificati in ragione della dichiarazione di ricavi inferiori ai costi di acquisto delle merci per due anni di imposta consecutivi. Il contribuente aveva impugnato gli accertamenti documentando l’esecuzione, a cavallo dei due anni incriminati, di lavori di ristrutturazione dei locali dell’esercizio commerciale, e deducendo che l’attività di vendita era stata penalizzata proprio dalla contemporanea esecuzione dei lavori appaltati. Dopo gli esiti contrastanti dei giudizi delle due fasi di merito, la vicenda è giunta all’attenzione della Corte di Cassazione, che le ha definite con due distinte ordinanze decisorie (n. 19211 e 19212/2021 depositate il 7.7.2021).I giudici di legittimità hanno sposato appieno le tesi difensive dell’imprenditore, affermando il principio secondo cui la adeguata documentazione dei fatti che hanno ostacolato l’attività di impresa può giustificare il fatto che il risultato dell’esercizio possa anche essere “antieconomico”, e quindi con ricavi inferiori ai costi di acquisto delle merci. Con particolare riferimento all’IVA, la Suprema Corte ha affermato che l’inerenza dei costi non può essere esclusa in base ad un mero giudizio di congruità della spesa, poiché in tal caso è onere dell’Agenzia delle Entrate dimostrare che l’antieconomicità è elemento indiziario di operazioni inesistenti o di fatturazioni false.
TMC AVVOCATI ASSOCIATI IN CAMPO PER L’EUTANASIA LEGALE

Tempo di lettura: 2 minuti Da oggi i cittadini possono apporre presso lo studio TMC Avvocati Associati la propria firma per la indizione del referendum popolare con cui si intende legalizzare nel nostro paese dell’eutanasia legale. Gli avvocati Pasquale Tarricone e Roberto D’Andrea hanno dichiarato al comitato organizzatore la propria disponibilità ad autenticare le firme, che tutti i maggiorenni potranno apporre prendendo appuntamento con email all’indirizzo segreteria@studiolegaletmc.it o telefonando allo 0824-25743. Lo studio TMC Avvocati Associati condivide l’iniziativa referendaria, finalizzata a rimuovere un ostacolo legislativo che impedisce ad ogni individuo di realizzare una fondamentale espressione della propria libertà. Con la storica pronuncia con cui la Corte Costituzionale ha deciso il “Caso Cappato”, invocando l’urgente intervento del legislatore a regolamentare l’aiuto nell’esecuzione del suicidio consapevole. Ad oggi, però, nessuna norma è stata più varata sul tema, ed il referendum vuole perciò abrogare parzialmente la norma penale che impedisce l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia. L’ordinamento italiano prevede e punisce oggi, assieme al reato di omicidio (art. 575 c.p.), la fattispecie speciale dell’omicidio del consenziente (art. 579 c.p.), con cui è stata impedita di fatto la pratica dell’eutanasia. Con la consultazione referendaria si mira ad abolire proprio la punibilità dell’eutanasia attiva, che sarà consentita nelle forme previste dalla legge sul consenso informato e il testamento biologico, e in presenza dei requisiti introdotti dalla Sentenza della Consulta sul “Caso Cappato”. Resterà invece punita la fattispecie nel caso in cui il fatto venisse commesso nei confronti di una persona incapace, o di una persona il cui consenso sia stato estorto con violenza, minaccia, o infine contro un minore di diciotto anni. Allo stato attuale della legislazione penale l’eutanasia attiva è vietata sia se v’è una condotta diretta (è il medico a somministrare il farmaco eutanasico alla persona che ne faccia richiesta: art. 579 c.p.), sia se la condotta è indiretta (il soggetto agente prepara il farmaco eutanasico che viene assunto in modo autonomo dalla persona: art. 580 c.p.). E’ vero però che le forme di eutanasia c.d. passiva, ovvero praticata in forma omissiva, cioè astenendosi dall’intervenire per tenere in vita il paziente in preda alle sofferenze, sono già ritenute penalmente lecite, soprattutto quando l’interruzione delle cure ha come scopo di evitare il c.d. “accanimento terapeutico”.
FIRMA REFERENDUM LEGALIZZAZIONE EUTANASIA

Tempo di lettura: < 1 minuti PRESSO LO STUDIO TMC AVVOCATI ASSOCIATI E’ POSSIBILE FIRMARE PER L’INDIZIONE DEL REFERENDUM Nonostante l’imminente periodo feriale, sono numerosissimi i cittadini italiani che stanno sottoscrivendo la richiesta di indizione del referendum per la legalizzazione dell’eutanasia legale. Più esattamente, per “eutanasia” si intendono quegli interventi medici che prevedono la possibilità – attentamente regolamentata – che il medico possa somministrare direttamente un farmaco letale al paziente che glie ne abbia fatto consapevole richiesta. Al momento, per effetto della sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale, nel nostro Paese è invece possibile richiedere il suicidio medicalmente assistito, ossia l’aiuto indiretto a morire da parte di un medico. L’eutanasia costituisce invece reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 (Omicidio del consenziente) o dall’articolo 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale. Il suicidio medicalmente assistito, in determinati casi, e la sospensione delle cure – intesa come eutanasia passiva – costituisce un diritto inviolabile in base all’articolo 32 della Costituzione e alla legge 219/2017.Per sottoscrivere è possibile telefonare al numero 0824.25743 e prendere contatto con i responsabili della campagna Avv. Pasquale Tarricone ed Avv. Roberto D’Andrea.
PAGAMENTI NON CONTABILIZZATI: ORDINE DI RIPRISTINO DELL’EROGAZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Tempo di lettura: 2 minuti Mentre le temperature di questa estate rovente raggiungevano i quaranta gradi all’ombra, una famiglia beneventana doveva subire la riduzione di potenza dell’erogazione dell’energia elettrica da parte del proprio gestore. L’incredibile decisione veniva presa per effetto della segnalazione di mancato pagamento, emessa dal precedente fornitore Enel Energia ad Optima Italia, per poche centinaia di euro. Ma la intestataria dell’utenza, pur se da tempo in difficoltà economiche, aveva estinto il debito sin dal mese di marzo, con un pagamento che il precedente gestore aveva omesso di contabilizzare correttamente; di qui la ingiusta segnalazione di insoluto e la conseguente riduzione della erogazione di elettricità, proprio nel bel mezzo della eccezionale calura estiva. Dopo aver invano chiesto la riattivazione della fornitura, l’intestataria dell’utenza ha conferito il mandato difensivo all’avvocato Tarricone dello studio TMC Avvocati Associati, con il cui ausilio ha formalizzato immediatamente una denunzia penale. Il 30 luglio è stato poi proposto un ricorso d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c. per ottenere la riattivazione del servizio. Il 2 agosto il Tribunale di Benevento, preso atto della documentazione allegata dalla ricorrente, e della grave esposizione al rischio di incolumità fisica dei componenti del nucleo familiare, con decreto reso fuori udienza, ha ordinato quindi ad Enel energia ed Optima Italia di ripristinare immediatamente l’erogazione elettrica, cosa che è avvenuta poche ore dopo la notifica del provvedimento. Il giudice dott.ssa Floriana Consolante, investita della questione nel periodo feriale, ha evidenziato la “sussistenza dei presupposti per provvedere inaudita altera parte alla luce della documentazione allegata al ricorso e considerata l’urgenza di assicurare la piena abitabilità all’immobile”. Il contegno illegittimo delle società fornitrici ha causato intuibili danni e disagi ai componenti del nucleo familiare, i quali hanno già conferito mandato allo studio TMC Avvocati Associati perché, una volta ottenuta la conferma del decreto inaudita altera parte, si agisca in sede giudiziaria per ottenere il giusto risarcimento, tanto in sede civile che innanzi al giudice penale.