NESSUN PERMESSO DI COSTRUIRE PER IL BARBECUE

Tempo di lettura: 2 minuti Lo ha affermato il 20 settembre 2021 il Tribunale Amministrativo della Campania (sezione di Salerno), annullando l’ordine di demolizione della struttura in muratura edificata da un cittadino nel giardino sovrastante la propria abitazione. Il manufatto era stato costruito utilizzando elementi in cemento prefabbricato fissati su di una piazzola anche essa in cemento, e nel corso di un sopralluogo operato dai tecnici comunali era emerso che per esso non era stata presentata né la richiesta del permesso di costruire (PDC), né una comunicazione di inizio lavori (CILA). Di qui l’emanazione, da parte del funzionario competente, dell’ordine di abbattimento del barbecue. L’ordine veniva tuttavia impugnato innanzi il giudice amministrativo dal cittadino, il quale sosteneva – tra l’altro – che per quel manufatto non è previsto alcun obbligo di acquisire il preventivo PDC. In accoglimento dell’impugnazione, con l’ordinanza citata il T.A.R. Campania di Salerno ha dichiarato la illegittimità dell’ordine di demolizione, chiarendo che tutti gli interventi finalizzati al miglior godimento – senza scopo di lucro – delle aree pertinenziali degli edifici privati costituiscono opere realizzabili liberamente, per le quali non è necessario un titolo abilitativo dell’ente competente. Quindi non è necessaria alcuna formalità amministrativa (PDC o CILA) se si intende installare nel giardino di casa altalene, scivoli, dondoli, panche, tavoli da picnic, o anche barbecue, vasi e fioriere mobili, quando essi non siano ancorati al suolo e siano quindi rimovibili.Se invece gli arredi esterni vengono ancorati in maniera stabile e permanente al suolo, tanto da non essere rimovibili agevolmente, è sufficiente comunicare all’ente competente l’inizio dei lavori (CILA). Nel caso di specie, mancando finanche la CILA, il funzionario comunale avrebbe dovuto irrogare certamente la sanzione pecuniaria prevista dalla legge, ma non poteva ordinare l’abbattimento di un’opera ricompresa tra quelle di edilizia libera, per la quale non è richiesto il PDC.
MULTE TUTOR: CHI DEVE PROVARE IL REGOLARE FUNZIONAMENTO DELL’APPARECCHIO?

Tempo di lettura: 3 minuti Erano ben quattro i verbali di accertamento con cui la Polizia stradale aveva contestato il ripetuto superamento dei limiti di velocità, rilevato con il sistema “Tutor”, ma la società proprietaria dell’autoveicolo aveva proposto ricorso al Giudice di Pace sostenendo l’illegittimità delle contravvenzioni. I motivi di impugnazione dedotti erano stati molteplici, in linea con quanto si verifica nelle tante vertenze promosse in materia, moltiplicatesi ormai esponenzialmente negli ultimi anni in risposta al fiorire degli apparecchi di rilevazione della velocità, spesso al servizio delle casse degli enti locali Sia il Giudice di Pace, sia il tribunale adito in grado di appello, avevano però rigettato tutti i motivi addotti dalla opponente a sostegno del ricorso proposto. In particolare, il Tribunale di Roma aveva disatteso, tra le altre, le doglianze sollevate dall’opponente in ordine alla mancata prova della omologazione dell’apparecchio di rilevazione della velocità utilizzato per l’elevazione delle contravvenzioni. Il giudice del secondo grado aveva ritenuto, infatti, che la presunzione di legittimità dell’azione pubblica avrebbe imposto al destinatario delle contravvenzioni di provare l’inattendibilità dell’apparecchio per non essere stato omologato o sottoposto a taratura. Nei verbali, peraltro, erano stati indicati gli estremi del decreto di omologazione dell’apparecchio, ragion per cui la opponente avrebbe potuto – e dovuto – esercitare il proprio diritto di accesso agli atti amministrativi (ai sensi della legge n. 241 del 1990) per verificare e comprovare l’esattezza dei propri assunti. La società destinataria delle contravvenzioni aveva perciò deciso di impugnare la decisione del tribunale innanzi la Corte di Cassazione, sulla base di ben sei motivi di violazione di legge. I giudici di legittimità, con l’ordinanza n. 29635 del 12 ottobre 2022, hanno ritenuto di decidere la fattispecie sul solo motivo riferito alla omologazione ed alla taratura dell’apparecchio utilizzato dagli agenti accertatori, ritenendo assorbiti tutti gli altri argomenti di impugnazione. Ebbene, secondo la Corte di Cassazione, non può porsi a carico all’opponente l’onere di provare il cattivo funzionamento o la omessa manutenzione del sistema tecnico di utilizzato dagli accertatori, spettando semmai alla prefettura l’obbligo di produrre in giudizio il certificato di taratura del dispositivo. La Corte ha ricordato che, secondo un principio più volte affermato, e recentemente ribadito (Cass. n. 22015/2022), a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 45, comma 6, del Codice della Strada, tutte le apparecchiature di misurazione della velocità devono essere sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura, e che, in caso di contestazioni circa l’affidabilità dell’apparecchio, il giudice è tenuto ad accertare se tali verifiche siano state o meno effettuate. Per contro è irrilevante che l’apparecchiatura operi in presenza di operatorio in automatico, senza la presenza degli operatori, ovvero, ancora, tramite sistemi di autodiagnosi, a fronte della necessità di dimostrare o attestare, con apposite certificazioni di omologazione e conformità, il loro corretto funzionamento (Cass. n. 24757/2019 – Cass. n. 29093/2020). Inoltre, dovendo le apparecchiature di misurazione della velocità essere periodicamente tarate e verificate, in presenza di contestazione da parte del soggetto sanzionato, spetta alla pubblica amministrazione di dare la prova positiva della omologazione iniziale e della taratura periodica dello strumento (Cass. n. 14597/2021), che può essere fornita solo con la produzione in giudizio delle certificazioni di conformità e di omologazione (Cass. n. 14597/2021 – Cass. n. 18022/2018 – Cass. n. 9645/2016). Per la Cassazione non è sufficiente, per assolvere l’onere della prova in questione, la sola menzione della avvenuta omologazione e taratura dell’apparecchio che può essere contenuta nel verbale di contestazione delle infrazioni, poiché la circostanza del corretto funzionamento della strumentazione – nel momento in cui è stata rilevata la velocità contestata – non può ritenersi coperta dalla fede privilegiata di cui all’art. 2700 c.c., sfuggendo alla diretta percezione del pubblico ufficiale verbalizzante.