DETENZIONE DI STUPEFACENTI: QUANDO È REATO E QUANDO È ILLECITO AMMINISTRATIVO

Il confine tra l’illecito penale e quello amministrativo in materia di stupefacenti rappresenta una questione cruciale nel diritto penale italiano, con implicazioni significative per i soggetti coinvolti. Una recente sentenza della Corte di Cassazione offre l’occasione per analizzare questo discrimine con particolare attenzione all’onere probatorio e ai criteri normativi utilizzati dai tribunali. Il quadro normativo di riferimento Il discrimine tra il reato (art. 73 del DPR n. 309/1990) e l’illecito amministrativo (art. 75 dello stesso DPR) in presenza di condotte “neutre” – ossia non “autoevidentemente” dimostrative della destinazione “a terzi” – quale è tipicamente la mera detenzione, passa attraverso la corretta lettura dell’art. 75, comma 1 bis, lett. a), del DPR n. 309 del 1990. Questa disposizione “normativizza” i criteri da utilizzare per determinare se la detenzione di sostanze stupefacenti configuri un reato penale o un mero illecito amministrativo, introducendo parametri oggettivi per tale valutazione. La disposizione è stata introdotta dal decreto legge 20 marzo 2014, convertito con modificazioni dalla legge 16 maggio 2014 n. 79 e riproduce, con alcune modifiche, il contenuto dell’art. 73, comma 1 bis, lett. a), dello stesso DPR n. 309 del 1990, caducato per effetto della sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale. I criteri distintivi per valutare la destinazione della sostanza Il parametro fondamentale riguarda: la “quantità” della sostanza nonché le “modalità di presentazione”, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato ovvero ad altre circostanze dell’azione. 1. Il criterio quantitativo Quanto al parametro della quantità, la necessità di un apprezzamento congiunto con l’altro parametro delle modalità di presentazione delle sostanze, consente di ritenere che il mero superamento della soglia, specie se modesto, non accredita da solo, sempre e comunque, la rilevanza penale del fatto, occorrendo una disamina complessiva della vicenda. È importante sottolineare che: È evidente, peraltro, che tanto più elevato è il quantitativo della sostanza, tanto più è accreditabile la destinazione anche solo parziale al mercato. Viceversa: Un quantitativo “sotto soglia” può non escludere la rilevanza penale della condotta, alla luce delle altre circostanze della vicenda, conducenti a ritenere dimostrata la destinazione illecita (si pensi, al confezionamento frazionato in un luogo destinato allo spaccio e alla disponibilità di denaro in contanti dimostrativa di un pregresso “spaccio”). 2. Le modalità di presentazione Dalla formulazione della norma si desume che il peso lordo complessivo, il confezionamento frazionato e le altre circostanze dell’azione rilevano non come criteri autonomi, bensì come “sottocriteri” diretti a dare concretezza al parametro delle modalità di presentazione delle sostanze stupefacenti. Molto utile, tra gli elementi di specificazione, è quello basato sul “confezionamento frazionato”: non ne è dubitabile la rilevanza indiziaria, giacché detto frazionamento può far fondatamente ritenere che trattasi di sostanza stupefacente destinata ad essere venduta al dettaglio sul mercato illecito. 3. Altre circostanze dell’azione Quanto poi alle “altre circostanze dell’azione”, nella relativa nozione (estremamente ampia) rientrano tutte le circostanze “oggettive” diverse dalle altre espressamente codificate (quantitativo di principio attivo, peso lordo, frazionamento della sostanza) idonee a supportare logicamente il giudizio sulla destinazione della sostanza: per esempio, vi rientrano le modalità di custodia della droga, le modalità spazio-temporali in cui è stato eseguito il sequestro della medesima; il ritrovamento di quantitativi di sostanza da taglio, ecc. L’onere della prova: un aspetto fondamentale Un principio cardine da tenere presente è che: Per cogliere la portata e l’importanza della disposizione contenuta nell’articolo 75, comma 1 bis, lettera a), bisogna partire dal rilievo indubitabile che, nella ricostruzione del reato di cui all’articolo 73, la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente non ha natura giuridica di causa di non punibilità, poiché, al contrario, la destinazione della sostanza allo “spaccio” è l’elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale, deve essere provata dalla pubblica accusa. In altri termini: Non spetta, cioè, all’imputato dimostrare la destinazione all’uso personale della sostanza stupefacente di cui sia stato trovato in possesso. L’onere di allegazione dell’imputato Pur non gravando sull’imputato l’onere della prova, vi è comunque un onere di allegazione: Rispetto all’onere probatorio della destinazione illecita posto a carico dell’accusa, vale piuttosto evidenziare che l’interessato ha semmai un “onere di allegazione” di segno contrario, nel senso che può controdedurre elementi probatori a proprio favore, dimostrativi della destinazione della sostanza all’uso esclusivo proprio, sì da poterne fare discendere, con l’insussistenza del fatto incriminato, solo l’applicabilità delle sanzioni amministrative. Esempi pratici dalla giurisprudenza La Cassazione ha ritenuto logicamente motivata la destinazione della sostanza allo spaccio in presenza di elementi come: Le modalità di confezionamento della sostanza stupefacente, suddivisa in bustine di cellophane, della diversa tipologia di sostanze rinvenute, del quantitativo, del denaro contante nella disponibilità dell’imputato, dell’assenza di certificazione rilasciata in suo favore come assuntore. Altrettanto significativi sono: Il notevole quantitativo della droga, il rinvenimento dello strumentario che lo spacciatore tipicamente utilizza per il confezionamento delle dosi e le modalità di detenzione della droga. Il caso della tossicodipendenza certificata In questa prospettiva, essendo “interesse” dell’imputato “allegare” elementi che possano utilmente contrastare l’ipotesi accusatoria, accreditando in particolare la destinazione all’uso personale, pur essendo possibile e conosciuta la figura del consumatore che sia anche spacciatore, è fin troppo evidente che, in assenza di elementi conducenti per un’attività anche di spaccio, la certificazione dello stato di tossicodipendente, specie in presenza di quantitativi non esorbitanti, è elemento fattuale significativo per accreditare l’insussistenza dell’illecito penale. Conclusioni: una valutazione complessiva del caso concreto L’elemento chiave che emerge dalla giurisprudenza più recente è che la valutazione deve essere sempre globale e contestualizzata: Il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalità di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalità meramente personale della detenzione. Per i cittadini, è fondamentale comprendere che non è il solo quantitativo a determinare l’applicazione della sanzione penale, ma un complesso di elementi che