OFFESE IN UN GRUPPO WHATSAPP REATO O NO
Tempo di lettura: 4 minuti

In un gruppo di whatsapp, le amiche discutono di quanto accaduto pochi giorni prima: una di loro, dopo aver ricevuto in regalo un cucciolo di cane da un’altra, glie lo aveva restituito perché non era più in grado di accudirlo.

La cosa non andava giù all’amica che aveva fatto il regalo, tanto che aveva pesantemente apostrofato l’altra per averle restituito il cucciolo.

La destinataria delle offese, dopo aver risposto per le rime, aveva poi sporto denunzia contro l’altra donna per il reato di diffamazione.

La questione giudiziaria si era incentrata, sin da subito, sull’inquadramento dei fatti come un’ingiuria, reato ormai depenalizzato, o come una diffamazione, che invece resta punita dal codice penale.

Secondo la tesi della difesa dell’imputata, per i fatti accaduti, avrebbe dovuto parlarsi di un’ingiuria, dal momento che la destinataria aveva replicato nella chat, e quindi era presente nel gruppo in cui erano state diffuse le offese.

Il Tribunale di Ascoli Piceno aveva assolto infatti l’imputata, ritenendo che avesse solo ingiuriato l’amica in chat; la Corte di appello di Ancona, invece, l’aveva riconosciuta colpevole del reato di diffamazione, negando che potesse aver valore la presenza solo “virtuale” della vittima nel gruppo di whatsapp.

L’imputata aveva proposto perciò ricorso per cassazione, avverso la sentenza di secondo grado, sostenendo che, dalla lettura della chat, si poteva rilevare che la persona offesa aveva immediatamente replicato alle offese pronunziate nei suoi confronti, il che significa che ella era presente e che, quindi, non si era trattato di diffamazione, ma di ingiuria.

I giudici della Cassazione hanno definito la vicenda con la sentenza n. 28675 depositata il 20 luglio 2022, traendo ispirazione da una precedente pronuncia (n. 13252 del 4 marzo 2021), che aveva preso in esame una vicenda simile, verificatasi però con l’invio di e-mail offensive a più destinatari, tra cui anche l’offeso.

In quell’occasione la Corte aveva già chiarito che l’offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone, mentre l’offesa diretta a una persona “distante” costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario.

Al contrario, quando la comunicazione “a distanza” è indirizzata ad altre persone oltre all’offeso, si configura il reato di diffamazione, così come l’offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.

Nel sistema dei nuovi mezzi di comunicazione, accanto alla classica presenza fisica, nello stesso momento e luogo, di chi viene offeso, di chi offende, e degli spettatori, si verificano occasioni sostanzialmente equiparabili, realizzate con l’ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call conference, audioconferenza o videoconferenza), grazie ai quali si realizza una presenza virtuale del destinatario delle affermazioni offensive.

Pertanto, se l’offesa viene profferita nel corso di una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorre l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato).

Quando, invece, vengono indirizzate offese (scritte o vocali) al destinatario e ad altre persone che non risultano non contestualmente “presenti” (a distanza o da remoto) ricorrono i presupposti della diffamazione.

I giudici della Cassazione hanno perciò rilevato che la chat di gruppo di whatsapp consente l’invio contestuale di messaggi a più persone, le quali possono riceverli immediatamente o in tempi differiti, a seconda dell’efficienza del collegamento ad internet e del terminale su cui l’applicazione utilizzata.

Dal canto loro, i destinatari possono, poi, leggere i messaggi in tempo reale e, quindi, rispondere con immediatezza ovvero, come accade molto più spesso, possono leggerli, anche a distanza di tempo, quando non sono on line ovvero, pur essendo collegati a whatsapp, si trovino impegnati in altra conversazione virtuale e non consultino immediatamente la conversazione nell’ambito della quale il messaggio è stato inviato.

Quindi la percezione dell’offesa, da parte della vittima, può essere contestuale o differita, a seconda che ella stia consultando proprio quella specifica chat di whatsapp o meno; nel primo caso, vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone (quanti sono i membri della chat), perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente; nel secondo caso si avrà invece diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente.

Nella vicenda che aveva originato il processo, l’amica che aveva restituito il cucciolo, dopo un iniziale botta e risposta con quella che l’aveva epitetata, non aveva più risposto ai messaggi offensivi, neanche quando, una prima volta, l’imputata aveva scritto “e rispondi vigliacca”, reagendo solo un’ora più tardi, dal che si poteva dedurre che, dopo l’atteggiamento partecipativo iniziale per difendersi dalle accuse, la vittima aveva rinunziato al “contraddittorio”, leggendo solo in un secondo momento i messaggi che l’imputata continuava ad inviarle.

Quest’ultima, dal canto suo, aveva percepito come la vittima non fosse più presente, tanto da esortarla a rispondere.

La Cassazione ha pertanto concluso che era stata corretta la configurazione di reato di diffamazione operata dalla Corte di Appello, perché l’accusa aveva provato che la vittima non era rimasta collegata alla chat in tempo reale, leggendo i messaggi successivi a distanza di tempo dal momento in cui erano stati immessi sulla chat, e che quindi non poteva più considerarsi “presente”, neanche virtualmente, quando l’imputata li aveva inviati.



Please follow and like us:
Pin Share
Category
Tags

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Open chat
Salve,
ha bisogno di aiuto?