L’autonomia differenziata, prevista dall’articolo 116, terzo comma, della Costituzione italiana, rappresenta uno dei temi più controversi nel dibattito istituzionale contemporaneo. La proposta di attribuire ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario solleva interrogativi cruciali sul bilanciamento tra pluralismo territoriale e unità nazionale, nonché sulle garanzie di equità sociale e coesione economica. Questo articolo analizza le radici costituzionali del principio, le recenti iniziative legislative, i nodi giuridici emersi nella prassi e le implicazioni sistematiche di un’eventuale attuazione, con particolare attenzione ai profili di costituzionalità e agli impatti sulla cittadinanza.
Quadro costituzionale e evoluzione storica dell’autonomia regionale
Le basi giuridiche nell’ordinamento repubblicano
L’autonomia regionale trova il suo fondamento nell’articolo 5 della Costituzione, che riconosce e promuove le autonomie locali nel contesto dell’unità indivisibile della Repubblica. Il terzo comma dell’articolo 116, introdotto dalla riforma del 2001 (legge costituzionale n. 3), consente alle Regioni a statuto ordinario di richiedere ulteriori competenze legislative, previo accordo con lo Stato e approvazione parlamentare. Tale disposizione è stata a lungo inapplicata, fino alla riscoperta politica degli ultimi anni, alimentata dalle richieste di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna.
La riforma del Titolo V del 2001 ha segnato una svolta nel riparto di competenze, ampliando la potestà legislativa regionale nelle materie concorrenti e residuali. Tuttavia, l’assenza di un chiaro quadro attuativo per l’autonomia differenziata ha generato un vuoto interpretativo, oggi al centro del dibattito sul disegno di legge Calderoli (AS 615).
Gli sviluppi giurisprudenziali della Corte Costituzionale
La giurisprudenza costituzionale ha progressivamente delineato i limiti all’autonomia regionale, affermando il primato dei principi di unità nazionale e solidarietà interterritoriale. Nella sentenza n. 118 del 2015, la Corte ha sottolineato come le competenze aggiuntive non possano ledere i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) né compromettere l’esercizio dei diritti civili e sociali su base uniforme. Successivamente, la sentenza n. 50 del 2022 ha precisato che l’autonomia differenziata deve rispettare il principio di leale collaborazione, evitando contrasti con gli interessi generali dello Stato.
La sentenza n. 192/2024: un freno costituzionale alla legge Calderoli
Con la pronuncia n. 192 del 2024, la Corte Costituzionale ha affrontato direttamente i profili critici del disegno di legge Calderoli, dichiarandone parzialmente l’illegittimità. La Corte ha evidenziato come il meccanismo previsto per l’attribuzione delle competenze violi l’articolo 116, terzo comma, nella parte in cui non garantisce preventivamente la definizione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), condizione indispensabile per assicurare l’uniformità dei diritti su tutto il territorio nazionale.
Inoltre, la sentenza ha censurato il modello di autonomia fiscale integrale, ritenendolo incompatibile con l’articolo 119 della Costituzione, che subordina l’autonomia impositiva regionale al rispetto della perequazione finanziaria. La Corte ha sottolineato che consentire alle Regioni di trattenere la quasi totalità del gettito tributario, senza meccanismi compensativi per le aree svantaggiate, lede il principio di solidarietà ex articolo 2 Cost.
Infine, è stata dichiarata incostituzionale la clausola di silenzio-assenso nel procedimento di approvazione degli accordi Stato-Regione, poiché priva il Parlamento del suo ruolo decisorio, violando il principio democratico di cui all’articolo 1.
Le proposte attuali e il contesto politico-istituzionale
Le richieste delle Regioni e il disegno di legge Calderoli
Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna hanno avanzato richieste per l’attribuzione di competenze esclusive in materie quali istruzione, ambiente, salute e infrastrutture. Il disegno di legge governativo, noto come “Calderoli”, mira a disciplinare i procedimenti di attuazione dell’articolo 116, terzo comma, attraverso un meccanismo di intesa Stato-Regione seguito da un voto parlamentare a maggioranza semplice. Il testo prevede una fase negoziale della durata massima di 12 mesi, con la possibilità di ricorrere alla Corte costituzionale in caso di disaccordo.
Critici segnalano l’assenza di una previa definizione dei LEP, rischiando di consentire alle Regioni più ricche di svincolarsi dagli obblighi di perequazione fiscale. Il Parlamento europeo, in una risoluzione del 2024, ha espresso preoccupazione per le possibili violazioni del principio di coesione territoriale sancito dall’articolo 174 TFUE.
Il ruolo del Parlamento e le divisioni partitiche
L’iter legislativo, già complesso per le divisioni politiche, è stato ulteriormente complicato dalla sentenza n. 192/2024. La Corte ha imposto al legislatore di ridefinire il testo in cinque punti chiave:
- Predisporre una legge quadro nazionale sui LEP prima di qualsiasi trasferimento di competenze;
- Introdurre un meccanismo automatico di perequazione fiscale;
- Escludere materie sensibili (come istruzione e sanità) dall’autonomia differenziata fino alla definizione degli standard nazionali;
- Rafforzare il ruolo del Parlamento nella ratifica degli accordi;
- Garantire la partecipazione delle Regioni meno sviluppate al processo negoziale.
La sentenza ha quindi ridisegnato i termini del dibattito, spostando l’attenzione sulla necessità di un federalismo cooperativo anziché competitivo.
Profili di costituzionalità e criticità applicative
Il bilanciamento tra autonomia e unità nazionale
L’articolo 5 della Costituzione impone di contemperare l’autonomia regionale con l’indivisibilità della Repubblica. La dottrina costituzionalistica sottolinea come il terzo comma dell’articolo 116 non possa essere interpretato nel senso di una “secessione dei ricchi”, ma debba garantire forme di differenziazione funzionale al miglioramento dei servizi. La mancata definizione dei LEP prima dell’attribuzione delle competenze rappresenta un vulnus costituzionale, poiché rischia di privare lo Stato degli strumenti per assicurare l’uniformità dei diritti.
I rischi per la solidarietà interregionale
Uno studio della Banca d’Italia (2024) stima che l’autonomia fiscale integrale comporterebbe una riduzione del 18% delle risorse per le Regioni del Sud, aggravando il divario Nord-Sud. L’articolo 119 della Costituzione, che impone la perequazione finanziaria, entrerebbe in tensione con le rivendicazioni di trattenere il gettito fiscale locale. Inoltre, la differenziazione nell’istruzione e nella sanità potrebbe ledere il diritto alla mobilità dei cittadini, creando disparità di trattamento su base territoriale.
La lezione della sentenza 192/2024: verso un regionalismo costituzionalmente orientato
La pronuncia della Corte costituisce un chiaro indirizzo per il legislatore: ogni forma di autonomia differenziata deve essere funzionale alla valorizzazione delle peculiarità territoriali, non alla creazione di disparità strutturali. La mancata attuazione dei LEP, come evidenziato nella sentenza, comporterebbe una violazione dell’articolo 3 (eguaglianza sostanziale) e dell’articolo 117, secondo comma (tutela della concorrenza e dell’unità giuridica ed economica).
Prospettive future e raccomandazioni
La mediazione istituzionale e il ruolo della Corte
Per evitare un conflitto permanente tra Stato e Regioni, è essenziale prevedere meccanismi di mediazione amministrativa prima del ricorso alla Corte costituzionale. L’esperienza tedesca del Bundesrat dimostra come forme di partecipazione regionale al processo legislativo statale possano prevenire contrasti. La definizione preliminare dei LEP, attraverso una legge quadro, costituirebbe un prerequisito per qualsiasi devoluzione di competenze.
Verso un federalismo solidale
Il modello svizzero di federalismo fiscale, basato su trasferimenti compensativi tra Cantoni, offre spunti per coniugare autonomia e solidarietà. In Italia, l’introduzione di un fondo perequativo vincolato alla crescita del PIL nazionale potrebbe attenuare gli squilibri, purché associato a clausole di salvaguardia per i territori svantaggiati.
L’impatto della sentenza 192/2024 sul futuro legislativo
La Corte ha indicato la strada per un regionalismo sostenibile:
- Priorità alla definizione dei LEP con legge statale;
- Clausole di salvaguardia per le Regioni in ritardo di sviluppo;
- Maggiori poteri di indirizzo e controllo da parte dello Stato.
Il legislatore è ora chiamato a tradurre questi principi in norme attuative, evitando il rischio di un “mercato delle competenze” che trasformi l’autonomia in un privilegio per pochi.
Conclusione
L’autonomia differenziata costituisce una sfida complessa per l’equilibrio costituzionale italiano, richiedendo un approccio prudenziale che eviti derive disgregative. La sentenza n. 192/2024 ha segnato una svolta, imponendo rigidi paletti costituzionali al processo di devoluzione. La priorità resta la definizione di standard nazionali essenziali, garantendo che le competenze aggiuntive alle Regioni non si traducano in privilegi per i territori più prosperi. Come evidenziato dalla Corte, il regionalismo differenziato può funzionare solo nel solco dei principi di unità, solidarietà e eguaglianza sostanziale sanciti dalla Carta fondamentale. Il legislatore è chiamato a tradurre queste istanze in un quadro normativo chiaro, preservando il carattere unitario dello Stato sociale repubblicano.