La Cassazione chiarisce i criteri per il calcolo del mantenimento quando i figli si trasferiscono da un genitore all’altro
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30244/2025 pubblicata il 17 novembre 2025, interviene su una questione delicata e ricorrente nelle controversie familiari: cosa accade al contributo per il mantenimento dei figli quando la loro collocazione cambia nel tempo e uno di essi, divenuto maggiorenne, sceglie di trasferirsi stabilmente presso il genitore non convivente?
La vicenda offre l’occasione alla Prima Sezione Civile per ribadire principi fondamentali e fornire indicazioni precise ai giudici di merito.

Il caso: una figlia maggiorenne che cambia residenza
La controversia nasce da una separazione tra due coniugi con due figli. In primo grado, il Tribunale aveva disposto l’affidamento condiviso dei minori con collocazione prevalente presso la madre, assegnando a quest’ultima anche la casa familiare. Il padre era stato condannato a versare un contributo mensile di 400 euro per il mantenimento della figlia maggiore, oltre agli importi per il figlio minore ancora collocato presso la madre.
La situazione, tuttavia, si era progressivamente modificata. La figlia maggiorenne aveva scelto di trasferirsi stabilmente dal padre, recidendo ogni legame con l’abitazione materna. Il padre, ritenendo venuti meno i presupposti dell’assegnazione della casa coniugale e dell’obbligo di versare il contributo per la figlia ormai convivente con lui, proponeva appello.
La Corte d’Appello dell’Aquila, con sentenza n. 442/2024, accoglieva parzialmente il gravame: revocava il contributo per la figlia maggiorenne con decorrenza dalla proposizione dell’appello, confermava invece l’assegnazione della casa coniugale alla madre in quanto ancora collocataria del figlio minore. Il padre, insoddisfatto, ricorreva in Cassazione.
La decisione della Cassazione: un’occasione per ribadire i principi fondamentali
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sui tre motivi di ricorso, offre una lettura sistematica della disciplina sul mantenimento dei figli dopo la separazione, con particolare attenzione alla tutela dell’equilibrio economico tra i genitori.
Il primo motivo di ricorso, relativo alla conferma dell’assegnazione della casa coniugale, viene dichiarato inammissibile. La Corte chiarisce che il ricorrente, nella sostanza, contestava la valutazione delle prove operata dai giudici di merito. Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto. L’esame dei documenti, la valutazione delle prove testimoniali e la scelta tra le varie risultanze probatorie costituiscono apprezzamenti riservati al giudice di merito, il quale incontra come unico limite quello di indicare le ragioni del proprio convincimento.
Il nodo centrale: il principio di proporzionalità nel mantenimento
È sul secondo motivo che la Cassazione interviene con un’importante precisazione. Il ricorrente lamentava che, pur essendo stata revocata la quota parte del contributo versata per la figlia maggiorenne trasferitasi presso di lui, la Corte territoriale non avesse regolamentato il contributo che la madre, quale genitore non convivente con la figlia, avrebbe dovuto corrispondere.
La Suprema Corte accoglie il motivo e cassa la sentenza d’appello, richiamando il quadro normativo di riferimento. L’art. 337-ter, comma 4, c.c., introdotto dal decreto legislativo n. 154 del 2013, stabilisce un principio cardine: salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito.
Questo principio di proporzionalità si fonda su una duplice dimensione dell’obbligo di mantenimento. Da una parte vi è il rapporto tra genitori e figlio: tutti i figli, che siano nati da genitori coniugati, separati, divorziati o mai uniti in matrimonio, hanno uguale diritto di essere mantenuti, istruiti, educati e assistiti moralmente, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, come sancito dall’art. 315-bis, comma 1, c.c. Dall’altra parte vi è il rapporto tra i genitori obbligati, nei cui confronti vige appunto il criterio della proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno.
I parametri per determinare il contributo al mantenimento
L’art. 337-ter c.c. indica con precisione i parametri che il giudice deve considerare nella determinazione del contributo al mantenimento. In primo luogo, devono essere valutate le attuali esigenze del figlio e il tenore di vita goduto durante la convivenza con entrambi i genitori. Questi elementi assicurano che i diritti dei figli di genitori che non vivono insieme non siano diversi da quelli dei figli di genitori ancora conviventi. I genitori non possono imporre privazioni ai figli per il solo fatto di aver deciso di non vivere insieme.
Nei rapporti interni tra genitori, il criterio guida resta la proporzionalità rispetto al reddito di ciascuno. L’art. 316-bis, comma 1, c.c. stabilisce che i genitori, anche quelli non sposati, devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Questo stesso criterio deve essere seguito dal giudice quando è chiamato a determinare la misura del contributo al mantenimento da porre a carico di uno dei genitori.
Il giudice, inoltre, deve considerare i tempi di permanenza del figlio presso ciascun genitore e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascuno. Queste modalità di adempimento in via diretta dell’obbligo di mantenimento incidono sulla necessità e sull’entità del contributo al mantenimento in termini monetari.
L’errore della Corte d’Appello: manca la determinazione del contributo materno
Nella fattispecie esaminata, la Cassazione rileva che la Corte d’Appello, pur avendo correttamente revocato il contributo originariamente posto a carico del padre quale genitore non convivente con la figlia, ha omesso di regolare la quota parte spettante al genitore non convivente, ossia la madre. La figlia maggiorenne, pur trasferitasi dal padre, rimaneva non ancora indipendente economicamente e quindi titolare del diritto al mantenimento da parte di entrambi i genitori.
La sentenza impugnata, pertanto, si è limitata a eliminare un obbligo senza sostituirlo con la corrispondente obbligazione a carico dell’altro genitore, violando così il principio di proporzionalità e l’equilibrio che deve caratterizzare la ripartizione degli oneri di mantenimento tra i genitori. Il giudice del rinvio, incaricato dalla Cassazione, dovrà quindi accertare, sulla scorta delle disponibilità economiche della madre e alla luce dei criteri normativi, la misura del contributo che questa dovrà versare al padre per il mantenimento della figlia.
La questione della decorrenza: quando inizia a produrre effetti la revoca?
Il terzo motivo di ricorso riguardava la decorrenza della revoca del contributo. Il ricorrente contestava la scelta della Corte d’Appello di far decorrere gli effetti della revoca dalla data di proposizione dell’appello, anziché da un momento antecedente.
La Cassazione rigetta questo motivo, ritenendo corretta la valutazione del giudice territoriale. La Corte d’Appello aveva motivato la propria scelta osservando che la condizione di fatto, ossia la convivenza stabile tra padre e figlia, si era cristallizzata proprio in sede di gravame. L’appellata, costituendosi, aveva contestato la richiesta di revoca rappresentando che la momentanea convivenza della figlia con il padre aveva carattere deleterio. Lo stesso appellante aveva dato atto dell’intervento dei servizi sociali per raccogliere la volontà della figlia di abitare stabilmente col padre.
In sostanza, è stato in sede di appello che si è accertata in via definitiva quella condizione fattuale che ha giustificato la revoca del contributo. La decorrenza dalla proposizione dell’appello, quindi, risulta coerente con il momento in cui la situazione si è stabilizzata e consolidata, evitando incertezze e tutelare nel contempo l’affidamento della parte che, fino a quel momento, riceveva il contributo in base a un provvedimento giudiziale efficace.
Implicazioni pratiche: cosa devono sapere i genitori separati
Questa pronuncia della Cassazione offre indicazioni di grande rilievo pratico per tutti i genitori separati o divorziati che si trovano ad affrontare cambiamenti nella collocazione dei figli.
Il primo insegnamento è che l’obbligo di mantenimento non si esaurisce con il semplice allontanamento del figlio dalla casa del genitore collocatario. Il principio di proporzionalità impone che entrambi i genitori contribuiscano al mantenimento in base alle rispettive capacità economiche, indipendentemente da chi conviva materialmente con il figlio. Quando un figlio maggiorenne, ma ancora non autosufficiente, si trasferisce presso il genitore non convivente, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore di contribuire economicamente. Cambia semplicemente il verso del contributo: sarà ora il genitore che non convive con il figlio a dover versare la propria quota proporzionale.
Il secondo aspetto rilevante riguarda la necessità di agire tempestivamente quando si verificano cambiamenti significativi nella situazione di fatto. La Corte ha confermato che gli effetti delle modifiche decorrono dalla data in cui si accerta giudizialmente la nuova situazione, non da quando questa si è verificata materialmente. Chi attende troppo a lungo prima di richiedere la revisione dei provvedimenti rischia di dover continuare a corrispondere importi non più dovuti per un periodo prolungato.
In terzo luogo, la pronuncia ribadisce l’importanza di dimostrare in modo adeguato i mutamenti intervenuti. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo con cui si contestava la valutazione delle prove operata dalla Corte d’Appello sulla stabilità dell’assegnazione della casa coniugale alla madre. Il ricorrente non può limitarsi a proporre una lettura alternativa delle prove, ma deve dimostrare vizi logici o giuridici nella motivazione del giudice di merito. La raccolta e la presentazione di prove documentali solide, come attestazioni dei servizi sociali, dichiarazioni delle istituzioni scolastiche, certificati di residenza, risulta quindi essenziale per sostenere le proprie richieste.
Per professionisti e consulenti: un monito sulla completezza delle decisioni
La sentenza richiama l’attenzione dei professionisti legali sulla necessità di formulare domande complete e tecnicamente corrette. Il ricorso in appello deve non solo chiedere la revoca del contributo versato dal proprio assistito, ma anche domandare espressamente la regolamentazione del contributo a carico dell’ex coniuge, qualora il figlio si trasferisca presso il cliente. L’omessa richiesta di questo secondo aspetto potrebbe determinare una pronuncia incompleta, come è avvenuto nel caso in esame, con conseguente necessità di ulteriori contenziosi.
I giudici di merito, dal canto loro, sono tenuti a regolare in modo completo la situazione economica tra le parti, assicurando il rispetto del principio di proporzionalità. Una pronuncia che si limiti a eliminare un obbligo senza contestualmente individuare l’obbligo corrispondente dell’altro genitore risulta incompleta e soggetta a cassazione, come è accaduto nella vicenda in commento.
L’assegnazione della casa coniugale: confermata quando vi è un figlio minore collocato
Quanto all’assegnazione della casa familiare, la Cassazione ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui la presenza di un figlio minore collocato presso un genitore giustifica l’assegnazione dell’immobile a quest’ultimo, anche quando altri figli maggiorenni abbiano cessato di abitarvi. L’interesse del minore alla conservazione del proprio habitat domestico e delle proprie abitudini di vita prevale sulle esigenze patrimoniali del genitore non assegnatario. L’allontanamento volontario di un figlio maggiorenne non incide su questo equilibrio, che resta fondato sulla tutela del minore ancora presente nell’abitazione.
La circostanza che il genitore assegnatario si trasferisca temporaneamente altrove per esigenze legate alla frequentazione scolastica del figlio minore, purché si tratti di spostamenti legati a scelte condivise da entrambi i genitori e non comporti l’abbandono stabile dell’immobile, non determina automaticamente la revoca dell’assegnazione. Sarà onere di chi richiede la revoca dimostrare che l’allontanamento non è temporaneo ma definitivo, superando le valutazioni di merito operate dai giudici territoriali sulla base delle prove acquisite.
Una tutela equilibrata dei diritti di tutti i membri della famiglia
La pronuncia in commento si inserisce in un filone giurisprudenziale consolidato che mira a garantire un equilibrio tra i diversi interessi coinvolti nelle vicende familiari. Da un lato, viene assicurata la piena tutela dei diritti dei figli, sia minorenni che maggiorenni non autosufficienti, al mantenimento secondo lo stesso tenore di vita di cui godevano durante la convivenza tra i genitori. Dall’altro, si garantisce che nessuno dei genitori sopporti un carico economico sproporzionato rispetto alle proprie disponibilità e che il contributo sia equamente ripartito tra entrambi in ragione delle rispettive capacità economiche.
L’applicazione rigorosa del criterio di proporzionalità impedisce che il figlio subisca un abbassamento del proprio tenore di vita a causa della separazione dei genitori e, al contempo, evita che uno dei genitori si trovi gravato di oneri che dovrebbero essere condivisi. La sentenza, cassando la pronuncia d’appello per non aver determinato il contributo dovuto dalla madre, ribadisce che il giudice deve sempre completare la regolamentazione economica, assicurando che entrambi i genitori contribuiscano secondo le proprie possibilità.
Quando rivolgersi a un professionista
Le vicende familiari comportano spesso modifiche nel tempo delle condizioni di fatto e delle esigenze dei figli. È essenziale che i genitori separati o divorziati siano consapevoli della possibilità di richiedere la revisione dei provvedimenti quando intervengano cambiamenti significativi, come il trasferimento di un figlio presso l’altro genitore, il raggiungimento della maggiore età, l’inizio o la perdita di un’attività lavorativa, variazioni sostanziali del reddito.
La complessità della normativa e la necessità di formulare domande tecnicamente corrette, oltre all’importanza di raccogliere prove adeguate a sostegno delle proprie richieste, rendono indispensabile l’assistenza di un legale esperto in diritto di famiglia. Una consulenza tempestiva può evitare il protrarsi di situazioni economiche squilibrate e garantire che i diritti di tutti i membri della famiglia siano adeguatamente tutelati.
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