La Cassazione ribadisce i principi sulla responsabilità dei soci dopo l’estinzione societaria: quando e come il creditore può agire
Cosa accade ai debiti di una società quando questa viene cancellata dal registro delle imprese? I soci possono essere chiamati a rispondere delle obbligazioni rimaste inevase? E soprattutto, quali sono i limiti della loro responsabilità? Si tratta di questioni di fondamentale importanza sia per i creditori che intendono tutelare le proprie ragioni, sia per i soci che vogliono comprendere la portata delle conseguenze derivanti dall’estinzione della società.
La Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30166 depositata il 15 novembre 2025, ha fornito importanti chiarimenti su questi temi, richiamando e consolidando i principi già affermati dalle Sezioni Unite con la recentissima sentenza n. 3625/2025. La vicenda trae origine da un sinistro stradale avvenuto nel 2013, quando una persona subì lesioni gravi cadendo su un marciapiede comunale a causa di una buca parzialmente nascosta da foglie. Il Comune venne citato in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni.

Nel corso del procedimento, il Comune eccepì il proprio difetto di legittimazione passiva, avendo affidato la manutenzione del tratto stradale a una società a responsabilità limitata. La vicenda processuale si complicò ulteriormente quando, durante il giudizio di appello, la società manutentrice venne cancellata dal registro delle imprese. Fu così necessario chiamare in causa il socio unico della società estinta, che però non si costituì in giudizio. La Corte d’Appello condannò il socio a manlevare il Comune di tutte le somme che quest’ultimo avrebbe dovuto versare alla danneggiata, oltre al pagamento delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio.
Il socio propose ricorso per cassazione, sollevando essenzialmente due questioni. In primo luogo, contestò la propria legittimazione passiva, sostenendo che, secondo l’articolo 2495 del codice civile, la responsabilità del socio di una società cancellata presuppone necessariamente la dimostrazione che egli abbia effettivamente riscosso somme in sede di riparto finale, sulla base del bilancio finale di liquidazione. In secondo luogo, anche qualora si fosse ritenuta sussistente la sua legittimazione, il socio eccepì che la condanna alle spese processuali avrebbe dovuto essere limitata, come per la condanna principale, alle somme eventualmente percepite dalla liquidazione.
Per comprendere la portata della decisione della Cassazione, è necessario richiamare il quadro normativo di riferimento. L’articolo 2495 del codice civile, nella sua attuale formulazione modificata dal decreto legge n. 76 del 2020, stabilisce che dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione. La norma prevede inoltre che i creditori possono agire anche nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi.
Il tema degli effetti della cancellazione di una società dal registro delle imprese sui rapporti giuridici pendenti ha conosciuto un’evoluzione significativa nella giurisprudenza di legittimità. La svolta decisiva si è avuta con la sentenza delle Sezioni Unite n. 6070 del 2013, che ha abbandonato il precedente orientamento secondo cui la cancellazione determinava l’estinzione definitiva di ogni rapporto giuridico facente capo alla società. Le Sezioni Unite hanno invece affermato che, quando all’estinzione della società conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese non corrisponde il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio.
In base a questo principio, l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione oppure illimitatamente, a seconda che durante la vita della società fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali. Parallelamente, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa. Sul piano processuale, la cancellazione della società dal registro delle imprese priva la società stessa della capacità di stare in giudizio, determinando un evento interruttivo del processo che può proseguire o essere riassunto nei confronti dei soci, quali successori della società.
Nonostante la chiarezza del principio affermato nel 2013, nella giurisprudenza successiva erano emerse alcune incertezze interpretative, in particolare sulla natura della percezione di somme dal bilancio finale di liquidazione. Alcuni orientamenti avevano ricondotto questa circostanza alla sfera dell’interesse ad agire, altri alla legittimazione processuale del socio. Inoltre, erano emersi criteri opposti nella ripartizione dell’onere probatorio su tale circostanza.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 3625 del 2025, sono intervenute per risolvere queste discrasie interpretative. Il Supremo Collegio ha affermato con forza che il socio è successore della società estinta per il solo fatto di essere tale, e non perché abbia ricevuto quote di liquidazione. Il carattere universale della successione non è contraddetto dal fatto che il socio risponda solo nei limiti di quanto percepito. La successione del socio alla società estinta presenta infatti caratteristiche peculiari che la distinguono dalla successione alla persona fisica defunta, giustificando l’adozione di un paradigma successorio sui generis.
La radice della responsabilità del socio risiede nell’originario contratto sociale, nella sussistenza iniziale di un regime di responsabilità limitata come nelle società di capitali, e nella volontarietà dell’evento estintivo. Tutti questi elementi rappresentano emergenze tipiche del fenomeno societario che giustificano un modello successorio particolare. A differenza dell’erede di una persona fisica, che può evitare di esporre il proprio patrimonio personale alla responsabilità per i debiti del defunto non accettando l’eredità oppure accettandola con beneficio d’inventario, il socio di una società estinta risponderà in ogni caso appunto perché socio, sebbene nei limiti di quanto percepito nella liquidazione.
La percezione di somme rinvenienti dal bilancio finale di liquidazione non funge quindi come condizione della legittimazione processuale del socio, ma attiene esclusivamente all’interesse ad agire del creditore e rappresenta il limite massimo dell’esposizione debitoria del socio. Come affermato dalla giurisprudenza consolidata, il socio è sempre successore della società estinta in quanto tale, e non in quanto percettore di somme. L’interesse ad agire del creditore, peraltro, non è escluso per il solo fatto della mancata riscossione di somme da parte del socio in base al bilancio finale di liquidazione.
Il creditore può infatti avere interesse all’accertamento del proprio diritto nei confronti del socio anche in assenza di riparto di liquidazione a suo favore, come nei casi di escussione di garanzie di terzi, oppure di diritti e beni che, per quanto non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, siano attribuiti ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa. La possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio non consentono di escludere l’interesse del creditore a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, in considerazione della natura dinamica dell’interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche basate sullo stato degli atti al momento dell’azione.
Applicando questi principi al caso concreto, la Cassazione ha rigettato il primo motivo di ricorso del socio. La Corte ha rilevato che la Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto sussistente la legittimazione passiva del socio, in perfetta conformità con la giurisprudenza di legittimità. Il socio era subentrato alla società nel processo non perché avesse percepito utili, ma per il solo fatto di essere socio unico della società estinta. La percezione di utili rileva esclusivamente come limite massimo dell’esposizione debitoria personale, ma non come condizione della legittimazione processuale.
Quanto alla doglianza relativa alla mancata dimostrazione dell’interesse ad agire sotto il profilo della mancata dimostrazione di percezione di utili, la Cassazione l’ha ritenuta priva di fondamento. L’interesse del creditore a ottenere un titolo nei confronti del socio sussiste infatti indipendentemente dalla dimostrazione dell’avvenuta percezione di somme dal bilancio finale di liquidazione, potendo radicarsi in altre evenienze quali la sussistenza di sopravvenienze attive o l’escussione di garanzie.
Particolarmente significativa è la soluzione fornita dalla Cassazione in merito alla condanna alle spese processuali, che ha costituito oggetto dei restanti quattro motivi di ricorso. Il socio aveva sostenuto che, avendo la Corte d’Appello condannato il socio a manlevare il Comune nei limiti previsti dall’articolo 2495 del codice civile, anche la condanna alle spese avrebbe dovuto essere sottoposta allo stesso limite. La Cassazione ha disatteso questa tesi, affermando un principio di grande rilevanza pratica.
Il Supremo Collegio ha chiarito che il socio della società estinta che sia stato convenuto ab origine o che sia stato chiamato in giudizio in vece della società a seguito dell’estinzione di quest’ultima nel corso del giudizio, qualora venga riconosciuta l’esistenza del diritto nei confronti della società, risulta soccombente quanto a tale riconoscimento e viene quindi correttamente condannato alle spese processuali senza che rilevi l’avere o non avere percepito utili ed indipendentemente dalla somma eventualmente percepita. Rispetto alla posizione di legittimato passivo all’accertamento del diritto verso la società, tali circostanze sono infatti irrilevanti.
La limitazione della condanna entro i limiti delle somme percepite dal bilancio finale di liquidazione riguarda esclusivamente la condanna al pagamento del credito accertato, ma non si estende alla condanna alle spese processuali. Il socio, in quanto successore della società nel processo, partecipa al giudizio di accertamento del credito vantato verso la società indipendentemente dall’aver percepito utili. Se il socio contesta a torto la propria legittimazione adducendo di non aver percepito utili o di averne percepito in misura limitata, la sua soggezione totale al carico delle spese è giustificata proprio da quella partecipazione processuale, che sussiste a prescindere dalla percezione di somme dalla liquidazione.
Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche per tutti i soggetti coinvolti. Per i creditori di società cancellate dal registro delle imprese, la sentenza conferma la possibilità di agire sempre nei confronti dei soci, senza dover preliminarmente dimostrare che questi abbiano effettivamente percepito somme dal bilancio finale di liquidazione. La prova della percezione di utili dovrà essere fornita solo nella fase esecutiva, ai fini della determinazione del limite massimo di responsabilità patrimoniale del socio.
I creditori possono quindi ottenere con maggiore facilità un titolo esecutivo nei confronti dei soci, tutelando così in modo più efficace i propri diritti anche quando la società si è estinta. L’interesse del creditore a procurarsi tale titolo sussiste infatti sempre, considerando la possibile esistenza di sopravvenienze attive, di beni non contemplati nel bilancio di liquidazione, o di garanzie escutibili.
Per i soci di società di capitali, la sentenza costituisce un richiamo alla necessità di gestire con grande attenzione la fase di liquidazione e di chiusura della società. La mera cancellazione dal registro delle imprese non determina l’automatica liberazione da ogni obbligazione societaria rimasta inevasa. I soci subentrano infatti universalmente nelle posizioni giuridiche della società estinta, rispondendo dei debiti sociali nei limiti di quanto effettivamente percepito dalla liquidazione, ma dovendo comunque partecipare ai giudizi di accertamento di tali debiti.
La sentenza chiarisce inoltre che i soci non possono sottrarsi alla condanna alle spese processuali adducendo di non aver percepito utili dalla liquidazione. Tale circostanza rileva esclusivamente per la misura della condanna al pagamento del credito accertato, ma non esonera il socio dalle conseguenze processuali della propria soccombenza nell’accertamento dell’esistenza del diritto.
Un aspetto di particolare rilievo riguarda la posizione dei liquidatori. L’articolo 2495 del codice civile prevede che i creditori sociali possano agire anche nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi ultimi. La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che la responsabilità dei liquidatori si configura quando questi non abbiano correttamente adempiuto ai doveri loro imposti dalla legge nella fase di liquidazione, come ad esempio il dovere di redigere un bilancio finale che comprenda tutti i debiti sociali conosciuti o conoscibili con l’ordinaria diligenza.
Per i professionisti che assistono società in fase di liquidazione, la sentenza rappresenta un monito a curare con la massima attenzione ogni fase del procedimento estintivo. È essenziale assicurarsi che tutti i debiti sociali vengano correttamente identificati e, per quanto possibile, soddisfatti prima della chiusura della liquidazione. In caso contrario, i soci dovranno affrontare azioni giudiziarie anche dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, con tutte le conseguenze processuali ed economiche che ne derivano.
La decisione della Cassazione si inserisce in un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, che mira a bilanciare le diverse esigenze in gioco. Da un lato, viene tutelato il diritto dei creditori sociali a veder soddisfatte le proprie ragioni anche dopo l’estinzione della società, evitando che la cancellazione dal registro delle imprese diventi uno strumento per eludere il pagamento dei debiti. Dall’altro lato, viene preservato il regime di responsabilità limitata di cui godevano i soci durante la vita della società, circoscrivendo la loro esposizione patrimoniale entro il limite delle somme effettivamente percepite dalla liquidazione.
Il principio affermato dalla Cassazione trova applicazione non solo nei rapporti tra creditori privati e soci di società estinte, ma anche in ambito tributario. Anche l’Amministrazione finanziaria può infatti agire nei confronti dei soci per la riscossione di tributi dovuti dalla società cancellata, nei limiti delle somme da questi percepite. La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che l’interesse dell’erario a procurarsi un titolo nei confronti dei soci sussiste sempre, considerando la natura dinamica dell’interesse ad agire e la possibilità di sopravvenienze attive o di beni non contemplati nel bilancio di liquidazione.
Un ultimo aspetto meritevole di attenzione riguarda le modalità di chiamata in causa dei soci nel processo già pendente contro la società. L’articolo 2495 del codice civile prevede che, se la domanda viene proposta entro un anno dalla cancellazione, essa può essere notificata presso l’ultima sede della società. Questo meccanismo semplificato consente al creditore di individuare agevolmente i soggetti nei cui confronti proseguire o riassumere il giudizio, senza dover effettuare ricerche complesse per rintracciare i singoli soci.
In conclusione, la sentenza n. 30166 del 2025 rappresenta un importante tassello nel percorso di definizione del regime giuridico applicabile alle società estinte per cancellazione dal registro delle imprese. I principi affermati dalla Cassazione, in linea con il recente intervento delle Sezioni Unite, forniscono certezza e prevedibilità in un ambito delicato che coinvolge molteplici interessi meritevoli di tutela. Creditori, soci e professionisti possono ora contare su un quadro interpretativo chiaro e consolidato, che consente di orientare in modo consapevole le proprie scelte e di gestire con maggiore sicurezza le complesse vicende che seguono all’estinzione di una società.
Se sei socio di una società in liquidazione o se vanti crediti nei confronti di una società cancellata dal registro delle imprese, è fondamentale comprendere appieno le implicazioni di questa importante evoluzione giurisprudenziale. Il nostro studio è a disposizione per fornire assistenza qualificata e per valutare insieme la strategia più adeguata alla tutela dei tuoi interessi.