Matrimoni same-sex celebrati all’estero: l’Europa impone il riconoscimento, ma l’Italia è pronta?

La Corte di Giustizia UE, con la sentenza C-713/23, sancisce l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere i matrimoni omosessuali contratti in altro Paese dell’Unione. Il sistema italiano del downgrading rischia di entrare in conflitto con il diritto europeo

Il 25 novembre 2025 resterà una data significativa nel panorama del diritto di famiglia europeo. La Grande Sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha pronunciato, nella causa C-713/23 (Wojewoda Mazowiecki), una decisione destinata a ridefinire i rapporti tra libertà di circolazione e riconoscimento degli status familiari all’interno dell’Unione.

Il principio affermato è chiaro: uno Stato membro non può negare il riconoscimento di un matrimonio tra due cittadini europei dello stesso sesso, legalmente contratto in altro Stato membro in cui essi abbiano esercitato la libertà di circolazione e di soggiorno.

La vicenda all’origine della pronuncia

La questione pregiudiziale traeva origine dal caso di due cittadini polacchi, unitisi in matrimonio in Germania nel giugno 2018. La coppia, desiderando rientrare in Polonia e ottenere il riconoscimento del proprio status coniugale, aveva presentato domanda di trascrizione dell’atto matrimoniale tedesco nei registri dello stato civile polacco. Le autorità nazionali avevano opposto un diniego, argomentando che l’ordinamento interno non contempla il matrimonio tra persone dello stesso sesso e che tale trascrizione avrebbe violato i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale. Il giudice del rinvio si era quindi rivolto alla Corte di Lussemburgo per chiarire se tale rifiuto fosse compatibile con il diritto dell’Unione.

Il ragionamento giuridico della Corte

La Corte ha fondato la propria decisione su una lettura sistematica degli artt. 20 e 21, par. 1, TFUE, interpretati alla luce dell’art. 7 (rispetto della vita privata e familiare) e dell’art. 21, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione (divieto di discriminazione). Il nucleo argomentativo si articola attorno a tre passaggi fondamentali che meritano attenta considerazione.

In primo luogo, la Corte ha ribadito che il diritto alla libera circolazione e al soggiorno dei cittadini dell’Unione comprende il diritto di condurre una “normale vita familiare” sia durante l’esercizio di tale libertà, sia al momento del ritorno nello Stato membro d’origine. Quando due cittadini dell’Unione costruiscono una vita familiare in uno Stato membro ospitante, in particolare per effetto del matrimonio, “devono essere certi di poterla proseguire al ritorno nel loro Stato d’origine”. Questo principio costituisce il fondamento logico dell’intera costruzione giuridica elaborata dalla Corte.

In secondo luogo, i giudici di Lussemburgo hanno evidenziato come il rifiuto di riconoscere un matrimonio legalmente contratto in altro Stato membro violi tanto la libertà di circolazione quanto il diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare. Tale rifiuto, infatti, “può provocare seri inconvenienti amministrativi, professionali e privati, costringendo i coniugi a vivere come non coniugati nello Stato membro di cui sono originari”. Si tratta di una considerazione pragmatica che tiene conto delle conseguenze concrete che derivano dal mancato riconoscimento dello status matrimoniale.

Infine, la Corte ha precisato che il riconoscimento non pregiudica l’identità nazionale né minaccia l’ordine pubblico dello Stato membro d’origine, poiché non implica che detto Stato debba introdurre il matrimonio tra persone dello stesso sesso nel proprio ordinamento interno. Si tratta di una distinzione cruciale tra obbligo di introduzione e obbligo di riconoscimento, che preserva il margine di discrezionalità degli Stati membri in materia di definizione interna dell’istituto matrimoniale.

I limiti dell’obbligo: il riconoscimento “funzionale”

Un aspetto cruciale della pronuncia risiede nella delimitazione del suo ambito operativo. La Corte ha chiarito che l’obbligo imposto agli Stati membri è circoscritto al riconoscimento dello status matrimoniale ai soli fini dell’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione. Gli Stati membri conservano pertanto un margine di discrezionalità nella scelta delle modalità di riconoscimento di tale matrimonio, e la trascrizione dell’atto matrimoniale straniero rappresenta solo una delle possibilità.

Tuttavia, la Corte ha imposto tre condizioni fondamentali che le modalità prescelte devono rispettare: non rendere il riconoscimento impossibile o eccessivamente difficile; non discriminare le coppie dello stesso sesso a causa del loro orientamento sessuale; garantire una tutela equivalente a quella concessa alle coppie di sesso opposto. Se uno Stato membro prevede un’unica modalità di riconoscimento dei matrimoni contratti all’estero, quale la trascrizione, è tenuto ad applicarla indistintamente sia ai matrimoni tra persone dello stesso sesso sia a quelli tra persone di sesso opposto.

Il contesto giurisprudenziale europeo

La pronuncia si inserisce in una linea evolutiva inaugurata dalla sentenza Coman del 5 giugno 2018 (C-673/16), ove la Corte aveva stabilito che il termine “coniuge” nella direttiva 2004/38/CE è gender-neutral, obbligando gli Stati membri a riconoscere i diritti di soggiorno derivati anche al coniuge dello stesso sesso di un cittadino dell’Unione. Rispetto a Coman, la sentenza del 2025 compie un passo ulteriore: mentre la pronuncia del 2018 concerneva il riconoscimento del matrimonio ai fini del diritto di soggiorno di un cittadino di Paese terzo coniuge di un cittadino UE, il caso in esame riguarda due cittadini dell’Unione che chiedono il riconoscimento pieno del loro status matrimoniale al rientro nel Paese d’origine.

La Corte ha inoltre richiamato la giurisprudenza della Corte EDU, in particolare la sentenza Przybyszewska e altri c. Polonia del 12 dicembre 2023, in cui Strasburgo aveva dichiarato che la Polonia aveva violato l’obbligo positivo di istituire un quadro giuridico che consentisse il riconoscimento e la tutela delle coppie di persone dello stesso sesso.

Implicazioni per l’Italia: il problema del downgrading

La questione dell’impatto della sentenza sull’ordinamento italiano merita particolare attenzione. L’Italia, con la legge n. 76/2016 (c.d. Legge Cirinnà), ha introdotto l’istituto dell’unione civile riservato alle coppie dello stesso sesso. Contestualmente, l’art. 32-bis della legge n. 218/1995, introdotto dai decreti attuativi della Cirinnà, stabilisce che “il matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani con persona dello stesso sesso produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana”.

Tale meccanismo, denominato downgrade recognition (o downgrading), comporta che un matrimonio same-sex legalmente celebrato all’estero venga trascritto nei registri italiani ma produca esclusivamente gli effetti dell’unione civile, non quelli del matrimonio. La Corte di Cassazione ha confermato tale principio con la sentenza n. 11696/2018.

Non si tratta di una distinzione meramente nominalistica. L’unione civile presenta differenze sostanziali rispetto al matrimonio: l’assenza dell’obbligo di fedeltà espressamente previsto, la mancata previsione dell’adozione congiunta (ammessa solo la stepchild adoption in casi specifici), l’impossibilità di ricorrere al giudice per disaccordo sull’indirizzo della vita familiare, l’assenza delle pubblicazioni e una procedura di scioglimento semplificata rispetto a quella matrimoniale.

Il potenziale conflitto con il diritto dell’Unione

La dottrina ha sollevato il dubbio circa la compatibilità dell’art. 32-bis con i principi affermati dalla sentenza C-713/23. Se la Corte di Giustizia impone che il riconoscimento non sia discriminatorio e garantisca una “tutela equivalente” a quella assicurata alle coppie eterosessuali, il downgrading italiano potrebbe risultare in contrasto con il diritto dell’Unione.

Tuttavia, l’interpretazione non è univoca. La sentenza precisa che gli Stati dispongono di un margine di discrezionalità sulle “modalità” di riconoscimento. Il problema si pone quando tale discrezionalità si traduce in una disparità di trattamento sostanziale. Come osservato dalla dottrina più attenta, “la Corte intende bilanciare il principio della sovranità nazionale in materia di stato civile con la necessità di garantire l’effettività della cittadinanza europea”. L’Italia garantisce già un riconoscimento mediante l’unione civile, ma occorrerà valutare se tale riconoscimento sia sufficientemente equivalente al matrimonio ai fini dell’esercizio dei diritti UE, o se invece i coniugi same-sex siano costretti a subire “seri inconvenienti amministrativi, professionali e privati” per il solo fatto del loro orientamento sessuale.

Considerazioni conclusive

La sentenza C-713/23 rappresenta una pietra miliare nel diritto dell’Unione Europea in materia di riconoscimento delle famiglie omosessuali. Il principio enunciato è inequivocabile: uno Stato membro non può negare il riconoscimento di un matrimonio same-sex legalmente contratto in altro Stato membro quando ciò ostacoli la libera circolazione e il diritto alla vita familiare dei cittadini europei.

Al contempo, la Corte ha sapientemente preservato le prerogative degli Stati membri in materia di definizione interna del matrimonio, distinguendo tra obbligo di introduzione e obbligo di riconoscimento. Non è imposto agli Stati di legalizzare il matrimonio omosessuale nel proprio ordinamento, ma di riconoscere quello validamente celebrato altrove.

Per l’Italia, la sentenza solleva interrogativi sulla tenuta del sistema attuale fondato sul downgrading. Sebbene un intervento legislativo non appaia strettamente necessario nel breve periodo, è plausibile che contenziosi individuali possano condurre i giudici nazionali a sollevare nuove questioni pregiudiziali sulla compatibilità dell’art. 32-bis con i principi ora consolidati dalla giurisprudenza di Lussemburgo. La “rivoluzione silenziosa” evocata da alcuni commentatori potrebbe dunque tradursi in un progressivo adeguamento interpretativo, prima ancora che normativo, dell’ordinamento italiano agli standard europei di tutela delle coppie omosessuali.

* * *

Se desideri approfondire le implicazioni di questa pronuncia sulla tua situazione personale o familiare, lo Studio TMC Avvocati Associati è a disposizione per un confronto riservato e qualificato.

Share the Post:

Related Posts