Quando il contratto non specifica correttamente il parametro di riferimento, interviene la legge con criteri precisi. Analisi dell’ordinanza n. 26532/2025
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26532 depositata il 1° ottobre 2025, è tornata a pronunciarsi su una questione di fondamentale importanza per migliaia di mutuatari italiani: cosa accade quando un contratto di mutuo bancario prevede un tasso di interesse variabile indeterminato o indeterminabile?
La risposta della Suprema Corte fornisce un quadro chiaro dei criteri da applicare e chiarisce alcuni dubbi interpretativi ricorrenti.

La vicenda giudiziaria
La controversia trae origine da un contratto di mutuo ipotecario stipulato nel 1995 tra una mutuataria e un istituto di credito. La cliente, dopo aver cessato i pagamenti nel 2003, aveva proposto un’azione giudiziaria per ottenere la rideterminazione del saldo dovuto, contestando l’applicazione di interessi usurari e la validità stessa del contratto. Il Tribunale di Grosseto aveva condannato la mutuataria al pagamento di oltre 84.000 euro, eliminando dal computo solo gli interessi usurari. La Corte d’Appello di Firenze aveva poi riformato parzialmente la sentenza, riducendo il saldo a circa 29.800 euro, riconoscendo che il tasso di interesse originario era effettivamente indeterminato e indeterminabile, quindi nullo.
Il nodo della determinazione del tasso di interesse
Il cuore della questione riguarda l’articolo 117, comma 7, lettera a) del Testo Unico Bancario nella formulazione vigente tra il 1995 e il 2005. Questa norma stabilisce che, quando il contratto di mutuo non prevede un tasso di interesse determinato o determinabile, si applica un tasso sostitutivo pari al tasso nominale minimo dei Buoni Ordinari del Tesoro emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto. Si tratta di una disposizione fondamentale che tutela sia il mutuatario sia la banca, sostituendo un elemento contrattuale nullo con un parametro oggettivo e verificabile.
La ricorrente aveva sostenuto che, trattandosi di un mutuo a tasso variabile, il concetto di “conclusione del contratto” dovesse essere interpretato in modo estensivo, facendo riferimento non alla data di stipulazione ma alla scadenza di ciascuna rata o, in alternativa, alla scadenza finale del mutuo. Secondo questa tesi, il contratto di mutuo a tasso variabile sarebbe un contratto a “formazione progressiva”, che si perfeziona gradualmente nel tempo. La Cassazione ha respinto nettamente questa interpretazione, affermando che l’espressione legislativa “conclusione del contratto” è inequivoca e si riferisce univocamente al momento della stipulazione dell’accordo tra le parti.
La questione della nullità del contratto per mancata erogazione
Un altro profilo interessante della decisione riguarda la dedotta nullità del contratto per mancata effettiva erogazione della somma mutuata. La mutuataria aveva sostenuto che il denaro non le fosse mai stato realmente consegnato, ma che fosse stato immediatamente costituito in pegno a favore della banca per garantire un precedente debito. La Corte territoriale aveva respinto questa tesi sia nel merito sia per ragioni processuali, ritenendo che la pretesa nullità dovesse emergere da fatti e documenti già allegati entro i termini delle preclusioni assertive e probatorie.
La Cassazione ha confermato questo orientamento, precisando che, se è vero che l’eccezione di nullità non soffre i limiti temporali delle preclusioni assertive e istruttorie e può essere rilevata d’ufficio dal giudice, è altrettanto vero che la nullità deve emergere dagli atti e dai documenti già presenti nel fascicolo processuale. Una volta scaduti i termini per le allegazioni e le richieste istruttorie, deve ritenersi definito una volta per tutte il perimetro della controversia. In questo caso, la Corte ha ritenuto che la clausola contrattuale che prevedeva il pegno sulla somma erogata regolasse semplicemente il periodo transitorio tra l’erogazione e l’iscrizione dell’ipoteca, senza che ciò implicasse una mancata effettiva consegna del denaro.
Gli interessi di mora e la mora automatica
La sentenza affronta anche la delicata questione degli interessi moratori. Il contratto prevedeva interessi di mora allo stesso tasso di quelli convenzionali. La Corte d’Appello aveva ritenuto che il vizio di indeterminatezza degli interessi convenzionali si estendesse anche agli interessi moratori. Tuttavia, aveva escluso l’applicazione del tasso sostitutivo previsto dall’articolo 117, comma 7, del TUB ai ritardi nell’esecuzione del contratto, applicando invece gli interessi legali a partire dalla scadenza dell’ultima rata prevista dal piano di ammortamento.
Questo ragionamento si fonda sull’articolo 1219, comma 2, numero 3, del codice civile, che prevede la cosiddetta “mora automatica” o “mora ex re”. Secondo questa disposizione, il debitore è costituito automaticamente in mora quando non esegue una prestazione che doveva essere effettuata al domicilio del creditore. La Cassazione ha confermato l’applicabilità di questa forma di mora automatica alla fattispecie, respingendo le obiezioni della ricorrente secondo cui la prestazione non sarebbe stata certa, liquida ed esigibile. I giudici di legittimità hanno ribadito il principio consolidato per cui, agli effetti della mora automatica, la liquidità dell’obbligazione ricorre non solo quando il titolo ne determina l’ammontare, ma anche quando indica i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di valutazione discrezionale.
La legittimità della segnalazione alla Centrale Rischi
L’ultima questione affrontata dalla Cassazione riguarda la segnalazione della mutuataria inadempiente alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. La ricorrente aveva sostenuto che la segnalazione fosse illegittima perché il mancato pagamento delle rate era frutto della contestazione della loro debenza, e che l’intermediario avrebbe dovuto effettuare una valutazione complessiva della situazione finanziaria del cliente prima di procedere alla segnalazione.
La Corte ha respinto anche questa censura, ritenendo che sussistesse una conclamata situazione di inadempimento. La cliente aveva infatti cessato ogni pagamento dal settembre 2003, e persisteva un debito consistente anche nell’ipotesi ricostruttiva più favorevole alla mutuataria. La Suprema Corte ha chiarito che la mera contestazione della debenza non è sufficiente a impedire la segnalazione quando l’inadempimento è oggettivo e non è in discussione l’andamento di altri rapporti obbligatori. Si tratta di un principio importante che bilancia il diritto alla protezione dei dati personali con le esigenze di trasparenza del sistema creditizio.
Le implicazioni pratiche per i mutuatari
Questa pronuncia della Cassazione offre importanti indicazioni pratiche per chiunque abbia stipulato o stia per stipulare un contratto di mutuo. Innanzitutto, conferma che i contratti bancari devono contenere elementi chiari e determinabili, in particolare per quanto riguarda il tasso di interesse. Quando questo requisito manca, la legge interviene automaticamente con un meccanismo sostitutivo che protegge il consumatore dall’arbitrio dell’istituto di credito.
In secondo luogo, la sentenza chiarisce che il momento rilevante per determinare il tasso sostitutivo è univocamente quello della stipulazione del contratto, indipendentemente dalla durata dello stesso e dalle modalità di rimborso. Questo fornisce certezza nei rapporti e consente ai mutuatari di verificare facilmente quale sarebbe il tasso applicabile in caso di nullità della clausola contrattuale relativa agli interessi.
Inoltre, la decisione evidenzia l’importanza di contestare tempestivamente eventuali irregolarità contrattuali e di allegare tutti i fatti e i documenti rilevanti entro i termini processuali stabiliti. Anche se la nullità del contratto può essere rilevata in ogni momento, i fatti a sostegno di tale nullità devono essere provati attraverso elementi già presenti agli atti.
Infine, la sentenza conferma che la segnalazione alla Centrale dei Rischi è legittima quando sussiste un inadempimento oggettivo e prolungato, indipendentemente dal fatto che il debitore contesti la validità del credito. Questo aspetto è particolarmente rilevante per la reputazione creditizia del mutuatario e per la sua capacità di accedere a nuovi finanziamenti in futuro.
Conclusioni
L’ordinanza n. 26532/2025 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione rappresenta un contributo significativo alla giurisprudenza in materia di contratti bancari. Confermando l’applicazione rigorosa dell’articolo 117, comma 7, lettera a), del Testo Unico Bancario, la Suprema Corte ribadisce che la tutela del mutuatario passa attraverso criteri oggettivi e predeterminati, non attraverso interpretazioni estensive che potrebbero generare incertezza.
La decisione evidenzia anche l’importanza del rispetto delle preclusioni processuali e della necessità di una difesa tempestiva e documentata dei propri diritti. Per i mutuatari che si trovano in situazioni analoghe, è fondamentale verificare con attenzione i termini contrattuali, in particolare quelli relativi alla determinazione del tasso di interesse, e affidarsi a una consulenza legale qualificata per far valere eventuali vizi del contratto nei tempi e nei modi corretti.
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