Il rapporto di affidamento nei reati sessuali con minorenni: l’allenatore risponde anche per gli abusi fuori dalla palestra

La Cassazione ribadisce che il vincolo fiduciario tra maestro e allievo minorenne sussiste indipendentemente dal luogo e dall’orario in cui vengono commessi gli abusi

Quando un maestro o un allenatore sportivo abusa della fiducia che i giovani allievi ripongono in lui per compiere atti sessuali, risponde del reato aggravato anche se tali atti avvengono al di fuori dell’ambiente sportivo e degli orari di allenamento.

È questo il principio cardine ribadito dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 39397/25, depositata il 5 dicembre 2025, che segna un punto fermo nella tutela dei minori dalle condotte abusanti poste in essere da figure di riferimento educativo.

La vicenda giudiziaria

Il caso trae origine dalla condanna di un istruttore di ginnastica artistica per una serie di reati di atti sessuali con minorenne, previsti e puniti dall’articolo 609-quater del codice penale. Le condotte contestate si riferivano a episodi verificatisi in un arco temporale particolarmente esteso, dal 2012 al 2019, e coinvolgevano due giovani allievi che all’epoca dei fatti erano infraquattordicenni o comunque infrasedicenni.

Il Tribunale di Roma aveva riconosciuto l’imputato colpevole dei reati contestati e lo aveva condannato a otto anni di reclusione. La Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto l’imputato da uno dei capi di imputazione perché il fatto non sussisteva e aveva rideterminato la pena in quattro anni e otto mesi di reclusione, riconoscendo le attenuanti generiche. L’imputato aveva quindi proposto ricorso per cassazione contestando, tra l’altro, la sussistenza del rapporto qualificato di affidamento richiesto dalla fattispecie incriminatrice.

La tesi difensiva sosteneva che gli atti sessuali fossero avvenuti al di fuori del contesto e dell’orario delle lezioni di ginnastica artistica, e quindi in un ambito in cui i minori non potevano più ritenersi affidati all’istruttore. Secondo la difesa, le relazioni con i minori si sarebbero incardinate in un contesto spazio-temporale diverso da quello dell’attività sportiva, e dunque mancherebbe l’elemento essenziale dell’affidamento per ragioni di istruzione richiesto dalla norma incriminatrice.

Il quadro normativo di riferimento

L’articolo 609-quater del codice penale punisce chiunque compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto, non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di convivenza.

Si tratta di una norma di particolare rigore, che mira a tutelare i minori infraedicenni dalle condotte abusanti poste in essere da soggetti che, in ragione del loro ruolo, si trovano in una posizione di preminenza e autorevolezza idonea a condizionare la volontà del minore. La ratio della norma risiede nella protezione della libera formazione della personalità sessuale dei minori, che potrebbero essere indotti a prestare un consenso agli atti sessuali non pienamente libero e consapevole, ma influenzato dalla relazione fiduciaria esistente con l’adulto di riferimento.

La disposizione prevede una cornice edittale particolarmente severa, con la reclusione da cinque a dieci anni nella formulazione vigente all’epoca dei fatti. Il legislatore ha inoltre previsto, al comma 5 dello stesso articolo, un’ipotesi attenuata per i casi di minore gravità, quando cioè l’offesa alla libertà sessuale della vittima risulti complessivamente meno grave in considerazione dei mezzi, delle modalità esecutive e delle circostanze dell’azione.

L’articolo 609-quater si inserisce nel più ampio sistema di tutela della libertà sessuale previsto dal Titolo XII del codice penale, che comprende anche la violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis e gli altri reati sessuali. La peculiarità della fattispecie in esame rispetto alla violenza sessuale ordinaria sta proprio nel fatto che non è necessaria la violenza o la minaccia, né l’abuso di autorità: è sufficiente che esista il rapporto qualificato di affidamento e che vengano compiuti atti sessuali con il minore infrasedicenne.

Il principio affermato dalla Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato dichiarandolo inammissibile e ribadendo un principio di fondamentale importanza per la tutela dei minori. Il rapporto di affidamento per ragioni di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, che assume rilevanza in tema di reati sessuali relativi a minorenni, attiene a qualunque rapporto fiduciario, anche temporaneo od occasionale, che si instaura tra affidante e affidatario mediante una relazione biunivoca. Tale rapporto comprende sia l’ipotesi in cui il minore si fidi dell’adulto, sia quella in cui il minore sia affidato all’adulto da un altro adulto per specifiche ragioni.

La Corte ha chiarito con fermezza che ciò che rileva non è il luogo fisico in cui vengono consumati gli atti sessuali, ma la relazione che sussiste fra i due soggetti. Il rapporto di affidamento non può essere ritenuto escluso per il fatto che gli atti illeciti si svolgano fuori dall’ambiente e dall’orario in cui tale rapporto è nato e si manifesta principalmente. La relazione fiduciaria, infatti, non è circoscrivibile al solo contesto spaziale o temporale in cui nasce, ma permea l’intera dimensione del rapporto tra maestro e allievo.

Nel caso specifico dell’istruttore sportivo, i giudici di legittimità hanno evidenziato che il rapporto di affidamento sussisteva non solo in ragione dell’attività di allenamento in palestra, ma anche perché l’imputato aveva assunto un ruolo che andava ben oltre quello del semplice maestro di ginnastica. Si era creata una relazione fiduciaria più ampia, che coinvolgeva anche le famiglie dei ragazzi e che si estendeva ad ambiti diversi dalla mera attività sportiva, come l’interesse comune per le arti audiovisive nel caso di uno dei minori coinvolti.

La Corte ha inoltre sottolineato un aspetto di particolare rilevanza: il rapporto di affidamento determina l’instaurazione di un rapporto fiduciario che pone l’agente in una condizione di preminenza e di autorevolezza idonea a indurre il minore a prestare un consenso agli atti sessuali. Proprio perché si tratta sempre di adolescenti che non hanno ancora raggiunto la piena capacità di autodeterminazione nella sfera sessuale, certi tipi di rapporto non sono compatibili con il compimento di atti sessuali. Vi è infatti il rischio concreto di una strumentalizzazione della fiducia riposta dal minore in ragione della peculiare relazione esistente, della soggezione anche morale in cui si trova il minore nei confronti di determinate persone e dell’influenza che le stesse possono esercitare su di lui.

La motivazione non può essere generica

Un altro profilo di particolare interesse affrontato dalla sentenza riguarda i limiti del sindacato di legittimità sulle decisioni in materia di reati sessuali con minorenni. La Cassazione ha precisato che l’accertamento del fatto e l’apprezzamento della sua rilevanza ai fini della concreta individuazione delle condotte costituenti illecito penale non possono essere oggetto del controllo di legittimità, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza della motivazione.

Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva svolto un’accurata analisi dell’attendibilità delle dichiarazioni rese dalle persone offese, valorizzando la coerenza e la precisione dei loro racconti, anche quanto alla contestualizzazione spazio-temporale degli abusi. I giudici di merito avevano inoltre individuato plurimi riscontri estrinseci alle dichiarazioni delle vittime, compresa la sostanziale ammissione dei fatti da parte dello stesso imputato, che aveva riconosciuto l’esistenza di rapporti sessuali con i minori, pur contestando alcuni dettagli temporali e di modalità.

La motivazione della sentenza impugnata aveva dato conto delle modalità con cui il disvelamento degli abusi era avvenuto in maniera progressiva, compatibilmente con la giovane età delle vittime, la percezione del disvalore dell’accaduto influenzata dalla loro inesperienza, il senso di colpa e il fraintendimento del dovere di lealtà verso l’istruttore, nonché il timore per le conseguenze della rivelazione nell’ambiente sportivo che costituiva per loro un punto di riferimento importante.

L’ipotesi attenuata della minore gravità

La sentenza affronta anche il tema del riconoscimento o meno dell’ipotesi attenuata del fatto di minore gravità prevista dall’articolo 609-quater, comma 5, del codice penale. La difesa aveva contestato il diniego di tale circostanza attenuante invocando, tra l’altro, l’esistenza di una relazione sentimentale tra l’imputato e uno dei minori coinvolti, elemento che secondo la difesa avrebbe dovuto essere valorizzato per delineare la scarsa intensità del dolo.

La Cassazione ha respinto anche questa doglianza, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini del riconoscimento dell’attenuante di minore gravità, è necessaria una valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età. Per il diniego dell’attenuante è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità.

Nel caso esaminato, la Corte territoriale aveva individuato plurimi elementi ostativi al riconoscimento dell’ipotesi attenuata: la pluralità degli episodi criminosi, il numero delle vittime coinvolte (due), il particolare grado di affidamento esistente tra le parti, la reiterazione delle condotte invasive della sfera sessuale dei minori e il lungo arco temporale in cui tali condotte si erano protratte (dal 2012 al 2019). Questi elementi, considerati nel loro complesso, delineavano un quadro di oggettiva gravità delle condotte tenute dall’imputato, incompatibile con il riconoscimento dell’ipotesi lieve.

La Suprema Corte ha precisato che l’attenuante della minore gravità non risponde a esigenze di adeguamento del fatto alla colpevolezza del reo, ma concerne la minore lesività del fatto in concreto, rapportata al bene giuridico tutelato. Assume particolare rilevanza la qualità dell’atto compiuto, più che la quantità di violenza fisica eventualmente esercitata, così come assumono rilievo il grado di coartazione esercitato sulla vittima, il danno arrecatole anche in termini psichici e l’entità della compressione della libertà sessuale.

Implicazioni pratiche per maestri, allenatori e educatori

Questa pronuncia della Cassazione riveste un’importanza fondamentale per tutte le figure che, a vario titolo, svolgono funzioni educative, di istruzione, di vigilanza o di custodia nei confronti di minori. Il principio affermato impone a maestri, allenatori sportivi, istruttori e educatori in generale una particolare consapevolezza del fatto che il rapporto fiduciario che si instaura con i giovani allievi non si esaurisce nei confini temporali e spaziali dell’attività per la quale il minore è stato affidato.

Il vincolo che si crea tra un allenatore e il suo giovane allievo, tra un maestro e il suo studente, tra un educatore e il minore che gli è affidato, non si spegne quando suona la campanella della fine della lezione o quando il ragazzo esce dalla palestra. Quel rapporto fiduciario, quella posizione di autorevolezza e quella capacità di influenzare le scelte del minore permangono anche fuori dal contesto istituzionale in cui sono nati, e ne permangono anche le conseguenze sul piano della responsabilità penale in caso di abusi.

La sentenza chiarisce che non è possibile per un educatore o un istruttore invocare la separazione tra la dimensione professionale e quella privata del rapporto per sottrarsi alle responsabilità derivanti dagli abusi commessi. Se il rapporto sessuale con il minore trae origine e si sviluppa sulla base della relazione fiduciaria instaurata nell’ambito dell’attività educativa o sportiva, il reato conserva la sua qualificazione aggravata anche quando gli atti sessuali vengono consumati in luoghi e orari diversi da quelli dell’attività istituzionale.

Dal punto di vista pratico, questa pronuncia impone a tutte le figure educative una rigorosa attenzione al mantenimento di confini appropriati nella relazione con i minori affidati. È essenziale che maestri, allenatori e istruttori siano consapevoli che qualsiasi evoluzione della relazione in senso affettivo o sessuale con un allievo minorenne costituisce un grave abuso della posizione di fiducia e comporta responsabilità penali particolarmente severe, indipendentemente dalla circostanza che il minore possa apparire consenziente o addirittura “innamorato”.

Un ulteriore aspetto di rilevanza pratica riguarda le famiglie dei minori. La sentenza evidenzia come spesso i rapporti tra istruttore e allievo si sviluppino anche in ragione di legami amichevoli instauratisi tra l’educatore e i genitori del minore. Le famiglie devono essere consapevoli che una frequentazione troppo intensa e personalizzata tra il maestro o l’allenatore e il proprio figlio minorenne, che vada oltre i normali rapporti connessi all’attività educativa o sportiva, può essere un campanello d’allarme che merita attenzione e verifica.

Per le associazioni sportive, le scuole e in generale tutte le organizzazioni che si occupano di minori, questa pronuncia sottolinea l’importanza di dotarsi di protocolli chiari per prevenire situazioni di abuso. È fondamentale che esistano regole precise sui limiti dei rapporti tra educatori e allievi, che vengano evitate situazioni di eccessiva personalizzazione della relazione, e che vi siano meccanismi di supervisione e controllo efficaci. La formazione degli educatori e degli istruttori sulla corretta gestione dei rapporti con i minori affidati deve essere una priorità.

I criteri di valutazione dell’attendibilità delle vittime

Un ulteriore profilo di interesse della sentenza riguarda i criteri utilizzati dai giudici di merito per valutare l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalle persone offese minorenni. La Corte d’Appello aveva svolto un’accurata disamina delle propalazioni dei minori, attestando la coerenza e la precisione delle loro dichiarazioni e valorizzando le modalità e le tempistiche del disvelamento degli abusi.

I giudici di merito avevano ritenuto compatibile con l’id quod plerumque accidit in situazioni del genere la progressione con cui la rivelazione degli abusi era avvenuta, tenendo conto della giovanissima età dei ragazzi, della percezione del disvalore dell’accaduto influenzata dalla loro inesperienza, del senso di colpa e del fraintendimento del dovere di lealtà verso l’istruttore, nonché del timore per le conseguenze della rivelazione nell’ambiente sportivo che costituiva per loro un punto di riferimento fondamentale.

Questo approccio metodologico è particolarmente importante perché tiene conto delle peculiarità psicologiche delle vittime minorenni di abusi sessuali. È ormai acquisito che il disvelamento degli abusi da parte di minori raramente avviene in modo immediato e lineare, ma segue percorsi più complessi, caratterizzati da ambivalenze, reticenze, graduali aperture e talvolta anche parziali ritrattazioni, senza che questo debba necessariamente inficiare la credibilità complessiva del racconto.

La Cassazione ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello fosse immune da vizi logici proprio perché aveva dato conto di tutti questi aspetti, spiegando in modo ragionevole e coerente le ragioni per cui le dichiarazioni delle persone offese dovevano considerarsi attendibili nonostante alcune incertezze temporali e progressive specificazioni del racconto. Questo insegnamento è prezioso per tutti i professionisti che si trovano a dover valutare dichiarazioni di minori vittime di abusi sessuali.

Riflessioni conclusive

La sentenza n. 39397/25 della Terza Sezione Penale della Cassazione rappresenta un contributo significativo alla giurisprudenza in materia di tutela dei minori dagli abusi sessuali perpetrati da figure educative. Il principio secondo cui il rapporto di affidamento non si esaurisce nei confini spaziali e temporali dell’attività istituzionale per cui il minore è stato affidato costituisce un baluardo essenziale per la protezione dei giovani dalle condotte abusanti.

La pronuncia ribadisce che la fiducia che un minore ripone nel proprio maestro, allenatore o educatore crea un vincolo che trascende i luoghi e gli orari dell’attività educativa o sportiva. Questo vincolo comporta per l’adulto una responsabilità particolare, che non può essere elusa sostenendo che gli atti sessuali sono avvenuti in un contesto diverso da quello in cui è nato il rapporto di affidamento.

Il messaggio che emerge dalla sentenza è chiaro: chi assume un ruolo educativo nei confronti di minori deve essere pienamente consapevole della responsabilità che tale ruolo comporta. Il tradimento della fiducia riposta dal minore e dalla sua famiglia attraverso il compimento di atti sessuali è sempre e comunque un abuso grave, che il diritto penale sanziona con particolare severità proprio in considerazione della posizione di preminenza dell’adulto e della vulnerabilità del minore.

Per le famiglie, la sentenza rappresenta un importante richiamo alla necessità di vigilare con attenzione sulle relazioni che i propri figli intrattengono con figure educative, prestando particolare attenzione a eventuali segnali di una personalizzazione eccessiva del rapporto che vada oltre i normali confini dell’attività di istruzione o allenamento.

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