Interest Rate Swap: La Corte d’Appello di Catanzaro Conferma la Nullità per Difetto di Causa – Sentenza Rivoluzionaria sui Derivati Bancari

Segnalazione a cura dell’Avv. Renato Scarlato e del dott. Alfredo Montefusco, che ringraziamo per aver portato all’attenzione questo importante precedente giurisprudenziale. La Corte d’Appello di Catanzaro, Prima Sezione Civile, con sentenza n. 437/2018 R.G. dell’8 aprile 2025, ha affrontato una controversia di particolare rilevanza in materia di contratti derivati, specificamente riguardante un interest rate swap stipulato tra un istituto bancario e una società cliente. La vicenda trae origine da un finanziamento chirografario del 2005 a tasso variabile, successivamente “coperto” nel 2006 da un contratto derivato IRS. La società, dopo aver subito perdite per oltre 257.000 euro a causa dei differenziali negativi, aveva convenuto in giudizio la banca chiedendo la declaratoria di nullità del contratto e la restituzione delle somme versate. Il Doppio Grado di Giudizio: Dalla Forma alla Sostanza La Decisione di Primo Grado Il Tribunale di Cosenza aveva accolto la domanda dichiarando la nullità del contratto ex art. 23 T.U.F. per mancanza di sottoscrizione da parte della banca del contratto quadro, condannando l’istituto alla restituzione di € 257.149,03. L’Appello e il Ribaltamento Motivazionale La banca appellante contestava la decisione richiamando il principio delle Sezioni Unite della Cassazione n. 898/2018, secondo cui il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento è rispettato quando sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, essendo sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore. I Principi Giuridici Consolidati dalla Corte d’Appello Superamento del Vizio di Forma La Corte ha accolto il primo motivo di appello, confermando l’orientamento delle Sezioni Unite Cass. n. 898/2018 e successivi arresti di Cass. Sez. I, Ord. n. 9187/2021 e Cass. Sez. I, Ord. n. 17288/2023. Il principio consolidato stabilisce che il requisito della forma scritta del contratto-quadro va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma. La Rivoluzionaria Affermazione sulla Causa nei Contratti IRS Elemento di assoluta novità è rappresentato dalla declaratoria di nullità per difetto di causa. La Corte, richiamando la giurisprudenza più recente delle Cass. S.U. n. 8770/2020, Cass. n. 24654/2022 e Cass. n. 4076/2025, ha stabilito che non è sufficiente la mera funzione di copertura del rischio per giustificare la causa del contratto IRS. È necessario che sussistano condizioni specifiche per la validità dell’accordo sull’alea contrattuale. Il Mark to Market come Requisito Essenziale di Validità Il principio cardine affermato dalla Corte stabilisce che gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del mark to market devono essere resi preventivamente conoscibili da parte dell’investitore, ai fini della formazione dell’accordo in ordine alla misura dell’alea. In assenza di tale predeterminazione, la causa del contratto resta sostanzialmente indeterminabile, determinando una nullità strutturale ex art. 1418, comma 2, c.c. quando manca l’accordo sulla determinazione dell’alea, diversamente dalla nullità virtuale per violazione degli obblighi informativi. L’Accertamento Tecnico e le Criticità Emerse La Consulenza Tecnica d’Ufficio Il CTU nominato dalla Corte ha evidenziato una lacuna fondamentale, dichiarando espressamente che il contratto derivato del 7 dicembre 2006 non prevedeva l’indicazione di nessun Mark to Market e di conseguenza non indicava né la modalità di calcolo del Mark to Market né le formule necessarie per calcolarlo. Le Divergenze nei Metodi di Calcolo L’assenza di criteri contrattuali ha generato risultati completamente differenti a seconda della metodologia utilizzata. Il sistema Datastream (Thomson Reuters) ha prodotto un risultato di € 22.443,72 positivo per il cliente, mentre la piattaforma Bloomberg ha generato valutazioni completamente diverse: € 146.647,77 negativo per il cliente secondo i calcoli della società e € 24.591,00 negativo per il cliente secondo i calcoli della banca. Questa difformità di risultati dimostra l’impossibilità di determinare l’alea senza criteri predefiniti e la necessità di esplicitare preventivamente la formula matematica di riferimento. Le Implicazioni Pratiche per gli Operatori del Settore Conseguenze per le Banche La sentenza impone agli intermediari finanziari di rivedere completamente le proprie prassi contrattuali. In particolare, diventa indispensabile esplicitare preventivamente i criteri di calcolo del mark to market, indicare chiaramente le formule matematiche di riferimento e garantire la trasparenza sugli scenari probabilistici e sui costi impliciti. Senza questi elementi essenziali, il contratto risulta strutturalmente nullo per difetto di causa. Opportunità per la Clientela I soggetti che hanno sottoscritto contratti IRS privi di tali specifiche tecniche acquisiscono importanti strumenti di tutela. Possono infatti eccepire la nullità strutturale per difetto di causa, richiedere la restituzione delle somme versate a titolo di indebito oggettivo e invocare l’effetto retroattivo della declaratoria di nullità per ottenere il rimborso integrale dei differenziali negativi versati. La Valutazione Ex Ante dell’Alea Contrattuale La Corte ha inoltre ribadito un principio fondamentale già consolidato dalla giurisprudenza di legittimità: la meritevolezza di tutela del contratto va apprezzata ex ante e non già ex post, non potendosi far dipendere la liceità del contratto dal risultato economico concretamente conseguito dall’investitore. Questo significa che la validità del contratto deve essere valutata al momento della stipulazione, in base alla chiarezza e alla predeterminazione dei criteri di calcolo dell’alea, indipendentemente dalle successive performance economiche del derivato. Conclusioni: Un Precedente Destinato a Fare Scuola La pronuncia della Corte d’Appello di Catanzaro segna un punto di svolta nella giurisprudenza sui derivati finanziari. Superando la questione meramente formale della sottoscrizione del contratto quadro, la Corte ha posto l’accento sulla sostanza dell’accordo negoziale e sulla necessità di garantire una reale trasparenza nella determinazione dell’alea contrattuale. La nullità per difetto di causa quando manca la predeterminazione dei criteri di calcolo del mark to market rappresenta un principio destinato a riverberarsi su migliaia di contratti derivati stipulati nel corso degli anni. Questa innovativa interpretazione giurisprudenziale potrebbe infatti essere invocata in numerose controversie analoghe, aprendo la strada a una revisione generale dei rapporti contrattuali tra banche e clientela in materia di strumenti finanziari derivati. Gli operatori del settore dovranno necessariamente rivedere le proprie prassi contrattuali, assicurando la massima trasparenza nella definizione dei parametri di calcolo dell’alea. Solo attraverso una completa predeterminazione delle metodologie di calcolo sarà possibile garantire la validità e l’efficacia dei contratti derivati nel rispetto dei principi di protezione dell’investitore e trasparenza informativa che costituiscono il fondamento della normativa

Interest Rate Swap e Alea Contrattuale: Il Tribunale di Napoli Rafforza i Principi sulla Nullità Strutturale

Segnalazione a cura dell’Avv. Renato Scarlato e del dott. Alfredo Montefusco, che ringraziamo per aver portato all’attenzione questo significativo contributo giurisprudenziale. Il Quadro Normativo e l’Evoluzione Giurisprudenziale Il Tribunale di Napoli, con pronuncia del 29 aprile 2025, ha fornito un importante contributo al consolidamento dei principi giurisprudenziali in materia di contratti derivati, specificamente per quanto concerne gli Interest Rate Swap. La decisione si inserisce nel solco tracciato dalle Sezioni Unite della Cassazione n. 8770 del 12 maggio 2020 e dalla successiva giurisprudenza di legittimità, tra cui spiccano Cass. Civ. Sez. I, n. 32705/2022 e Cass. Civ. Sez. I, n. 24654/2022. Per comprendere appieno la portata innovativa di questa pronuncia, è necessario partire da un concetto fondamentale: l’alea contrattuale negli strumenti finanziari derivati non può essere lasciata all’incertezza o alla discrezionalità dell’intermediario, ma deve essere chiaramente predeterminata e condivisa tra le parti contraenti. Il Principio dell’Alea Sussistente Ab Origine La Natura Aleatoria dei Contratti Derivati Il Tribunale napoletano ha chiarito che la validità di un contratto di Interest Rate Swap presuppone necessariamente che l’alea sussista ab origine e sia calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi. Questo principio rappresenta il cuore della questione, poiché distingue nettamente tra una legittima operazione di copertura finanziaria e una mera scommessa mascherata da strumento di investimento. La Corte ha evidenziato come, per essere meritevole di tutela giuridica, l’alea del contratto derivato debba essere riconoscibile fin dal momento della stipulazione. In altre parole, il rischio che entrambe le parti si assumono deve essere quantificabile e comprensibile secondo parametri oggettivi, non lasciato alla casualità o alle valutazioni unilaterali dell’intermediario finanziario. L’Importanza degli Strumenti di Indagine e Previsione Il giudice ha posto particolare enfasi sulla necessità che l’intermediario fornisca al cliente tutti gli elementi essenziali per comprendere la natura dell’operazione. Questi elementi comprendono non soltanto il valore iniziale del derivato, ma anche i criteri di calcolo, gli scenari probabilistici e i parametri di riferimento che influenzeranno l’evoluzione del contratto nel tempo. La Nullità per Indeterminabilità dell’Oggetto Il Vizio Strutturale del Contratto La pronuncia del Tribunale di Napoli ha individuato nella mancata indicazione della formula matematica per il calcolo del mark to market un vizio che comporta la nullità strutturale del contratto per indeterminabilità dell’oggetto. Questo aspetto tecnico riveste una importanza cruciale che merita di essere spiegata in termini comprensibili anche ai non addetti ai lavori. Il mark to market rappresenta il valore corrente del contratto derivato in un determinato momento, calcolato sulla base delle condizioni di mercato vigenti. Quando il contratto non specifica chiaramente come questo valore debba essere determinato, si crea una situazione di incertezza che rende impossibile per il cliente comprendere realmente a cosa si sta obbligando. La Differenza tra Nullità Virtuale e Nullità Strutturale Il Tribunale ha operato una distinzione fondamentale tra due tipologie di nullità che possono colpire i contratti derivati. La nullità virtuale, già oggetto di precedenti pronunce delle Sezioni Unite, si verifica quando l’intermediario viola i propri obblighi informativi, ma il contratto rimane strutturalmente valido. La nullità strutturale, invece, colpisce l’essenza stessa del contratto quando mancano elementi essenziali come la determinabilità dell’oggetto. Questa distinzione non è meramente accademica, ma comporta conseguenze pratiche significative. Mentre la nullità virtuale può essere sanata attraverso il comportamento delle parti o il decorso del tempo, la nullità strutturale è insanabile e comporta l’inefficacia ab origine del contratto. L’Accordo Preventivo sulla Misura dell’Alea La Necessità di Criteri Oggettivi Uno degli aspetti più innovativi della pronuncia riguarda l’affermazione secondo cui deve sussistere un accordo preventivo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea. Questo accordo non può limitarsi a generiche dichiarazioni di accettazione del rischio, ma deve fondarsi su criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi. Il giudice ha chiarito che l’accordo delle parti non può riguardare soltanto il mark to market inteso come costo di chiusura anticipata del contratto, ma deve investire anche gli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa dell’alea e dei costi, inclusi quelli impliciti. In sostanza, il cliente deve essere messo nelle condizioni di comprendere non soltanto quanto potrebbe perdere, ma anche le probabilità che ciò accada e i fattori che potrebbero influenzare l’evoluzione del contratto. I Parametri di Calcolo delle Obbligazioni Pecuniarie La sentenza ha posto l’accento sulla necessità che siano chiaramente definiti i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dal contratto, determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo. Questa precisazione tecnica assume particolare rilevanza pratica, poiché molti contratti di Interest Rate Swap stipulati in passato presentavano formule generiche o rinvii a parametri non meglio specificati. Le Conseguenze Pratiche della Pronuncia Per gli Intermediari Finanziari La decisione del Tribunale di Napoli impone agli operatori del settore una revisione sostanziale delle proprie prassi contrattuali. Non è più sufficiente inserire clausole generiche di accettazione del rischio o formule matematiche complesse incomprensibili al cliente medio. È necessario invece predisporre una documentazione che illustri chiaramente i criteri di calcolo, gli scenari probabilistici e tutti gli elementi che concorrono alla determinazione dell’alea contrattuale. Per la Clientela Dal punto di vista della tutela del cliente, la pronuncia apre prospettive significative per tutti coloro che abbiano sottoscritto contratti derivati caratterizzati da vizi nella determinazione dell’alea. La possibilità di eccepire la nullità strutturale per indeterminabilità dell’oggetto rappresenta uno strumento di difesa particolarmente efficace, poiché non soggetto ai termini di prescrizione che potrebbero invece precludere altre forme di tutela. L’Approccio Pedagogico della Giurisprudenza La Funzione Educativa delle Pronunce Giudiziarie Ciò che rende particolarmente apprezzabile la pronuncia del Tribunale di Napoli è l’approccio pedagogico con cui affronta la materia. Il giudice non si limita a enunciare principi astratti, ma fornisce indicazioni concrete su come debba essere strutturato un contratto derivato per essere considerato valido. Questa metodologia contribuisce a creare maggiore chiarezza in un settore tradizionalmente caratterizzato da complessità tecniche spesso utilizzate per oscurare piuttosto che per illuminare. La Costruzione di un Sistema di Tutele Efficaci La sentenza si inserisce in un più ampio processo di costruzione di un sistema di tutele efficaci per gli investitori. Partendo dal principio che l’informazione deve essere non soltanto fornita, ma

Decreto Ingiuntivo: la banca può chiederlo solo con l’estratto conto analitico

Tempo di lettura: 2 minuti Art. 50 del T.U.B. Indice articolo L’art. 50 del T.U.B. dispone che la banca può richiedere l’emissione del decreto ingiuntivo nei confronti del proprio correntista con la produzione dell’estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti. Tuttavia è ancora diffusa la prassi delle banche di depositare, nel procedimento monitorio, il solo attestato di “saldaconto”, cioè una attestazione con cui il dirigente dichiara l’ammontare del valore numerico finale risultante a credito della banca, senza alcun dettaglio delle operazioni registrate in dare ed avere nel rapporto di conto corrente. Intervento Corte di Cassazione La Corte di Cassazione è intervenuta di recente sull’argomento (ordinanza n. 29577 del 24 dicembre 2020), precisando che l’estratto conto richiesto dall’art. 50 T.U.B., per la emissione del decreto ingiuntivo a richiesta della banca, consiste in una elencazione analitica dei movimenti registrati in dato arco di tempo, che determinano il saldo finale per il quale viene chiesta l’ingiunzione. Giurisprudenza Resta discusso, in giurisprudenza, se vada allegato alla richiesta di ingiunzione di pagamento un estratto conto completo, a far data dall’inizio del rapporto bancario (Cass. n. 9695 del 2011), o se piuttosto l’espressione al singolare adottata dall’art. 50 del T.U.B. consenta una ragionevole semplificazione probatoria e quindi la produzione dei soli estratti conto dell’ultima fase di movimentazione del conto (Cass. n. 18541 del 2013). Conclusioni L’ultima pronuncia, nel ribadire il primo orientamento, certamente più rigoroso, sottolinea la necessità, per la banca che agisca in sede monitoria, di depositare tutti gli estratti conto dai quali sia possibile ricostruire, nel lasso di tempo rilevante, l’insorgere del credito per il quale è chiesta l’ingiunzione.

Risanamento danni all’amministratore condominiale revocato anzitempo

Tempo di lettura: < 1 minuti Con l’interessante ordinanza n. 7874 del 19 marzo 2021 la Corte di Cassazione si è espressa sulle conseguenze economiche, a carico del condominio, in ipotesi di revoca dell’amministratore prima della scadenza dell’incarico. A rivolgersi alla suprema corte era stato l’amministratore di un condominio palermitano che si era visto revocare l’incarico anzitempo, e che pertanto aveva richiesto il risarcimento del danno per la cessazione anticipata del rapporto, ai sensi dell’art. 1725 del codice civile. I giudici di merito avevano rigettato la domanda dell’amministratore revocato, sul presupposto della natura libero-professionale dell’incarico di amministratore, e della sua conseguente ordinaria revocabilità senza conseguenze. L’ordinanza della Cassazione ha invece ribaltato tale interpretazione, affermando che il contratto tra il condominio e l’amministratore non è assimilabile a quello di opera intellettuale, quanto invece a quello tipico del mandato oneroso. Conseguentemente, secondo la Corte, in ipotesi di revoca deliberata dall’assemblea prima della scadenza prevista nell’atto di nomina, l’amministratore condominiale ha diritto al risarcimento dei danni in applicazione dell’art. 1725 del codice civile.

L’AMMORTAMENTO ALLA FRANCESE E’ ONERE OCCULTO DEL MUTUO

Tempo di lettura: 2 minuti Con la recentissima pronuncia n. 2188 dell’ 8.2.2021 il Tribunale di Roma è tornato ad esprimersi sull’ammortamento dei mutui con il sistema di calcolo “alla francese”, condannando l’istituto di credito mutuante alla restituzione della somma di circa 13.000 euro, pari agli interessi illegittimamente pagati dai mutuatari. I mutuatari avevano convenuto in giudizio la banca chiedendo la restituzione dell’indebito, determinato dall’indebita applicazione di tassi anatocistici, lamentando la non corrispondenza tra il tasso effettivamente applicato e il tasso nominale, tra il TAEG effettivo e quello convenzionalmente pattuito, ed infine il superamento del tasso soglia da parte del TEG (tasso globale annuo), che definisce i limiti oltre i quali il mutuo viene definito usurario. Secondo il Tribunale capitolino, e con riferimento all’ammortamento “alla francese”, ai fini della valutazione di usurarietà di un finanziamento occorre considerare, nel calcolo del costo complessivo, anche il costo “occulto” insito nell’utilizzo del regime composto. Il Consulente Tecnico d’Ufficio nominato dal giudice ha confermato la sussistenza di tale onere occulto, individuandolo nella differenza tra la rata contrattuale che il mutuante ha adottato e quella risultante dall’applicazione del regime finanziario della capitalizzazione semplice. Ai fini della determinazione del TEG, tale onere nascosto è stato sommato agli altri costi del finanziamento, facendo così emergere che il tasso effettivamente applicato al rapporto risultava superiore al tasso soglia, e conseguentemente la sussistenza dell’usura. Il Tribunale di Roma ha precisato che, ai fini del calcolo del TEG, così come sancito dall’art. 644, IV, co. c.p., per la determinazione del tasso di interesse usurario si deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito. Tra i costi e le spese direttamente collegati all’erogazione del finanziamento va incluso anche quello occulto a carico del mutuatario. Tale maggiore onere va comunque calcolato “ai fini del calcolo del tasso effettivo globale annuo (TEG) al pari di tutti gli altri costi, spese e remunerazioni collegate al finanziamento, incluso il vero e proprio effetto anatocistico di cui all’art. 1283 c.c.” a prescindere dall’accettazione, esplicita o tacita, del regime di capitalizzazione composta da parte del mutuatario. In sintesi, secondo la tesi esposta nella sentenza n. 2188/2021, quando l’ammortamento di un finanziamento è stato progettato secondo il regime composto, si deve procedere alla disapplicazione di tale regime e all’applicazione del regime semplice, ottenendo, a parità di tasso, durata e somma prestata, un valore della rata semplice più bassa di quella che si ottiene in regime composto. Tale maggiore onere va inserito nel calcolo TEG in quanto costituisce un “costo occulto” che incide sulla determinazione del tasso reale ed affettivo del mutuo. All’esito del ragionamento svolto, il Tribunale di Roma ha dichiarato, ai sensi dell’art. 1815, co.2, c.c. (“ Se sono convenuti interessi usurari la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”), la nullità della clausola relativa alla pattuizione degli interessi corrispettivi e la conseguente gratuità del finanziamento.

PAGAMENTI NON CONTABILIZZATI: ORDINE DI RIPRISTINO DELL’EROGAZIONE DI ENERGIA ELETTRICA

Tempo di lettura: 2 minuti Mentre le temperature di questa estate rovente raggiungevano i quaranta gradi all’ombra, una famiglia beneventana doveva subire la riduzione di potenza dell’erogazione dell’energia elettrica da parte del proprio gestore. L’incredibile decisione veniva presa per effetto della segnalazione di mancato pagamento, emessa dal precedente fornitore Enel Energia ad Optima Italia, per poche centinaia di euro. Ma la intestataria dell’utenza, pur se da tempo in difficoltà economiche, aveva estinto il debito sin dal mese di marzo, con un pagamento che il precedente gestore aveva omesso di contabilizzare correttamente; di qui la ingiusta segnalazione di insoluto e la conseguente riduzione della erogazione di elettricità, proprio nel bel mezzo della eccezionale calura estiva. Dopo aver invano chiesto la riattivazione della fornitura, l’intestataria dell’utenza ha conferito il mandato difensivo all’avvocato Tarricone dello studio TMC Avvocati Associati, con il cui ausilio ha formalizzato immediatamente una denunzia penale. Il 30 luglio è stato poi proposto un ricorso d’urgenza, ai sensi dell’art. 700 c.p.c. per ottenere la riattivazione del servizio. Il 2 agosto il Tribunale di Benevento, preso atto della documentazione allegata dalla ricorrente, e della grave esposizione al rischio di incolumità fisica dei componenti del nucleo familiare, con decreto reso fuori udienza, ha ordinato quindi ad Enel energia ed Optima Italia di ripristinare immediatamente l’erogazione elettrica, cosa che è avvenuta poche ore dopo la notifica del provvedimento. Il giudice dott.ssa Floriana Consolante, investita della questione nel periodo feriale, ha evidenziato la “sussistenza dei presupposti per provvedere inaudita altera parte alla luce della documentazione allegata al ricorso e considerata l’urgenza di assicurare la piena abitabilità all’immobile”. Il contegno illegittimo delle società fornitrici ha causato intuibili danni e disagi ai componenti del nucleo familiare, i quali hanno già conferito mandato allo studio TMC Avvocati Associati perché, una volta ottenuta la conferma del decreto inaudita altera parte, si agisca in sede giudiziaria per ottenere il giusto risarcimento, tanto in sede civile che innanzi al giudice penale.

COMPENSO AL LEGALE: SUL VALORE DELLA DOMANDA O DELLA TRANSAZIONE

Tempo di lettura: 2 minuti Una delle questioni che animano di frequente il dibattito della pratica giudiziaria, e che spesso determina contrasti interpretativi e controversie, è quella del criterio da seguire per la liquidazione del compenso del legale che abbia assistito il cliente in una vertenza proposta con una richiesta di valore imprecisato, ma conclusasi con un esito di valore contenuto. In tali casi il cliente può ritenere che il valore dell’accordo raggiunto fotografi il valore della vertenza, mentre l’avvocato sarebbe esposto al paradosso di vedersi liquidare un compenso inferiore rispetto a quello dovuto in base alla domanda, a causa della bontà della propria opera. Le diatribe sul punto spesso giungono all’attenzione dei giudici, che però esprimono spesso vedute differenti ed applicano principi contrastanti, risolvendo le controversie con esiti opposti. Capita così di leggere di un avvocato siciliano che aveva difeso una società nei confronti di una serie di lavoratori, che avevano proposto ricorsi giudiziari di valore non precisato, e pertanto di valore indeterminato. Dopo il fallimento della cliente, l’avvocato aveva chiesto che venissero ammessi al passivo, in via privilegiata, i crediti professionali da lui maturati, calcolati secondo il valore indeterminato delle domande avanzate dai lavoratori. Insoddisfatto per la decisione del Giudice Delegato, il legale aveva proposto opposizione allo stato passivo, ma il Tribunale di Palermo prima, e la Corte di Appello dopo, l’avevano rigettata sul presupposto che gli accordi raggiunti con i singoli lavoratori avevano accertato importi precisi e che quindi i compensi dovuti andavano parametrati a tali somme, e non già al tenore indeterminato delle domande. Il professionista ha impugnato perciò il provvedimento di secondo grado innanzi la Corte di Cassazione la quale, con l’ordinanza n. 28830 del 16 dicembre 2020, ha accolto il ricorso del legale, affermando il principio per cui, per la liquidazione dei compensi giudiziali in favore dell’avvocato, va assunto a valore del giudizio quanto è stato dichiarato nella domanda, e non già la somma che risulta all’esito del giudizio, o in un successivo atto di transazione della lite.

MUTUO FONDIARIO: PUNTO FERMO DELLE SEZIONI UNITE SUL LIMITE DI FINANZIABILITA’

Tempo di lettura: 3 minuti Il mutuo “fondiario” è il contratto caratterizzato dal prestito, da parte della banca, di un finanziamento a medio o lungo termine garantito da un’ipoteca di primo grado su beni immobili. La natura “fondiaria” agevola l’operazione e consente alla banca – tra l’altro – di essere preferita agli altri creditori del cliente che dovesse essere eventualmente insolvente, e ciò anche in ipotesi di fallimento del debitore. L’articolo 38 del Testo Unico Bancario (D. Lgs. 385/1993) fissa un limite di finanziabilità per le operazioni di mutuo fondiario, che la Banca d’Italia ed il CICR (Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio), alcuni anni orsono, hanno fissato nella misura dell’ottanta per cento del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sugli stessi. (A tal proposito vi invitiamo a leggere l’articolo “limite di finanziabilità mutuo“) Spesso è avvenuto, però, che le banche abbiano concesso ai propri clienti mutui fondiari per somme superiori a quel limite prudenziale, e ciò ha generato molti giudizi tra banche e mutuatari, nei quali la giurisprudenza si è pronunciata più volte sugli effetti di questa condotta, giungendo a conclusioni contrastanti. Il contrasto tra le opposte interpretazioni della questione è giunto, nel corso degli anni, fino a contrapporre le opinioni di diverse sezioni della Corte di Cassazione. In alcune pronunce veniva sostenuto, infatti, che il superamento del limite di finanziabilità determinerebbe la nullità del contratto di mutuo, in quanto esso rappresenterebbe un elemento essenziale del contenuto del contratto e, quindi, un limite inderogabile all’autonomia privata, in ragione della natura pubblica dell’interesse tutelato, con la conseguenza estrema dell’azzeramento degli interessi pattuiti e della perdita della garanzia ipotecaria. La nullità del mutuo per violazione del limite di finanziabilità, secondo altre pronunce, avrebbe determinato la sua conversione – laddove possibile – nel contratto di mutuo ipotecario ordinario. In altre decisioni era stato invece affermato che la violazione dei limiti di finanziabilità del mutuo fondiario non è sanzionabile con la nullità del contratto, sia perché non si tratterebbe di norma imperativa (articolo 38, secondo comma, t.u.b.) la cui violazione possa dare luogo a un’ipotesi di nullità virtuale, perché la stessa disposizione non è ricompresa nella previsione di cui all’articolo 117, comma 8, t.u.b. che stabilisce la nullità dei contratti che abbiano un contenuto difforme da quello tipico determinato dalla Banca d’Italia. La Prima sezione civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 4117 del 2022, ha perciò investito le Sezioni Unite della questione riguardante le conseguenze derivanti dal superamento, nel mutuo fondiario, dei limiti di finanziabilità previsti dall’articolo 38, secondo comma, t.u.b., al fine di comporre la divergenza di interpretazioni esistente sul punto. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno quindi risolto il contrasto interpretativo con la sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022, con cui hanno negato che la violazione del limite di finanziabilità possa causare la nullità del contratto di mutuo fondiario o la sua qualificazione in una diversa fattispecie contrattuale. I giudici del plenum hanno affermato che il limite di finanziabilità di cui all’articolo 38, secondo comma, del d.lgs. n. 385 del 1993 non è elemento essenziale del contenuto del contratto, non trattandosi di norma determinativa del contenuto del contratto o posta a presidio della validità dello stesso, ma di un elemento meramente specificativo o integrativo dell’oggetto del contratto. Le Sezioni Unite hanno chiarito inoltre che il giudice investito della controversia non può riqualificare d’ufficio il contratto di mutuo fondiario nel diverso contratto di mutuo ipotecario ordinario. Ciò perché, nel caso in cui venga stipulato un mutuo fondiario corrispondente al modello legale (finanziamento a medio o lungo termine concesso da una banca garantito da ipoteca di primo grado su immobili), essendo la loro volontà comune in tal senso incontestata (o, quando contestata, accertata dal giudice di merito), non è consentito al giudice riqualificare d’ufficio il contratto, al fine di neutralizzarne gli effetti legali propri del tipo o sottotipo negoziale validamente prescelto dai contraenti per ricondurlo al tipo generale di appartenenza (mutuo ordinario) o a tipi contrattuali diversi, pure in presenza di una contestazione della validità sotto il profilo del superamento del limite di finanziabilità, la quale implicitamente postula la corretta qualificazione del contratto in termini di mutuo fondiario.

EMAIL TAROCCATA E CONTO IN BANCA SVUOTATO: CHI PAGA ?

Tempo di lettura: 2 minuti Il messaggio di posta elettronica, firmato da “Intesa Security Department” aveva un tono perentorio: il tuo account è in attesa ed hai quarantotto ore per confermare le informazioni del tuo account; clicca qui per convalidare il tuo account. Preoccupato, aveva risposto al messaggio ed avviato la procedura richiesta nella e-mail; aveva poi inserito il codice cliente e la password personale, quindi il codice del dispositivo “token”, ed infine il secondo codice ricevuto con un sms dalla banca. Dopo poco, l’amara sorpresa: dal conto erano stati eseguiti due distinti bonifici verso conti di ignoti, mandando in fumo poco meno di venticinquemila euro. Il correntista, un avvocato, era andato su tutte le furie quando gli era stato negato il riaccredito delle somme sottratte dal conto, e perciò aveva citato in giudizio la banca innanzi il Tribunale di Napoli per ottenere la restituzione del maltolto. La banca, per parte sua, si era difesa sostenendo di aver predisposto ogni possibile precauzione per evitare i fenomeni di truffa informatica (phishing), che però erano stati resi vani dalla disattenzione del correntista, il quale non si era reso conto del fatto che il messaggio e-mail era stato spedito da un indirizzo chiaramente non riferibile alla banca (test@surendonk.net). La vertenza è giunta così alla decisione sulla base della documentazione depositata dalle parti. A parere del tribunale, è principio accertato quello che pone a carico della banca l’onere di dimostrare di aver predisposto tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio di internet banking, utilizzando tutti gli strumenti tecnici adeguati ad assicurare la riconducibilità alla volontà del cliente delle operazioni bancarie eseguite telematicamente. In questa prospettiva, e nel rispetto della rigorosa normativa europea in materia di servizi di pagamento, resta a carico della banca il difficilissimo compito di provare la oggettiva invalicabilità dei sistemi di sicurezza predisposti, o comunque di dimostrare l’intento fraudolento o la colpa grave dello stesso cliente. E proprio la grave disattenzione del correntista, nel caso di specie, ha indotto il Tribunale di Napoli a rigettare la pretesa dell’attore, al quale i giudici hanno contestato, nella sentenza n. 1074 del 1 dicembre 2022, di aver prestato scarsa attenzione alla provenienza ed al contenuto della e-mail che lo aveva indotto a cedere i codici identificativi del suo conto. Era pacifico, infatti, che l’accesso al sito fasullo era avvenuto da un link inviato da un indirizzo palesemente non riconducibile alla banca, con una estensione sospetta, con un testo privo del logo o di riferimenti della banca, e per buona parte sgrammaticato. Un insieme di circostanze, questo, particolarmente rilevante per un professionista dotato, per definizione, di un livello di comprensione e di elaborazione superiore alla media, e per questo ancora più idoneo a comprovare la gravità della distrazione. I giudici partenopei hanno così deciso la vertenza sentenziando il rigetto della domanda di restituzione delle somme sottratte, e condannando il legale che aveva agito in giudizio al pagamento delle spese di causa.

IL MECCANICO SPROVVISTO DI PARTITA IVA HA DIRITTO AD ESSERE PAGATO?

Tempo di lettura: 3 minuti È raro che, prima di consegnare l’autovettura all’autoriparatore, gli si chieda se sia in possesso o meno di partita I.V.A., e quindi se potrà emettere, al termine dei lavori, la regolare fattura. Quella volta, però, il cliente, una volta scoperto che il meccanico a cui si era rivolto perché riparasse due veicoli di sua proprietà ed uno del figlio, aveva negato il pagamento della somma di € 4.772, 24, a titolo di compenso per le lavorazioni ed € 3.598,54 per quanto anticipato per il costo dei ricambi acquistati. L’autoriparatore si era rivolto perciò al Tribunale di Lecce per ottenere la condanna al pagamento del cliente, che si era difeso sostenendo che l’attività lavorativa era stata realizzata contra legem, perché svolta in dispregio, oltre che dell’art. 5 della L. 122/92, anche della normativa di settore contenuta nella norma di cui all’art. 5 della legge quadro per l’artigianato n. 443 del 08.08.1985. Con sentenza n. 3214/2018, il Tribunale di Lecce rigettava la domanda del meccanico, che però proponeva impugnazione innanzi la Corte di appello, la quale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava il cliente al pagamento della somma di € 2.800,00, ritenendo che non vi fosse la prova dell’ulteriore importo richiesto. A questo punto era il cliente a proporre ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando che il giudice di secondo grado non avrebbe considerato che tra le parti non si era concluso un valido contratto, poiché non sarebbe stata considerata la illiceità del contratto derivante dal fatto che il meccanico titolare era sprovvisto di qualifica professionale per lo svolgimento di quell’attività. I giudici della legittimità, nell’esaminare la questione, hanno chiarito preliminarmente che, nel caso di lavoratore autonomo, nella specie meccanico, ciò che rileva al fine del riconoscimento del corrispettivo per il lavoro prestato, è la conclusione del contratto di lavoro autonomo, anche nella forma tacita. La nullità del contratto prevista dall’art. 2231 c.c. – nel caso di mancanza di iscrizione agli elenchi professionali – ricorre soltanto quando la prestazione espletata dal professionista rientri tra quelle riservate in via esclusiva ad una determinata categoria professionale, il cui esercizio sia subordinato per legge all’iscrizione in apposito albo o ad abilitazione. Al di fuori di tali attività, vige, infatti, il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione. (v. Cass., n. 13342/2018). Per chiarire la differenza normativa tra il professionista iscritto all’albo rispetto al lavoratore che presta attività manuale, la Corte ha precisato che la disposizione contenuta nell’art. 2231 del c.c., che regola la mancata iscrizione in albi o elenchi, si applica solo a chi svolge le professioni intellettuali. La nullità prevista dall’art. 2231 c.c. ricorre, pertanto, soltanto quando la prestazione espletata dal professionista rientri tra quelle riservate in via esclusiva ad una determinata categoria professionale, il cui esercizio sia subordinato per legge alla iscrizione ad apposito albo o ad una abilitazione (Cass. n. 13342 /2018 e Cass. n. 14085/2010). Al di fuori di tale attività vige invece il principio generale di libertà del lavoro autonomo o libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione. Nel caso dell’autoriparatore, trattandosi di un’opera artigiana, non vi è norma di legge che subordina il diritto al compenso all’iscrizione in albi, e conseguentemente il lavoratore autonomo ha diritto di richiedere il pagamento per l’opera svolta, anche se privo di partita I.V.A., in quanto le eventuali violazioni di carattere tributario non incidono sugli aspetti civilistici. I giudici della Suprema Corte, con l’ordinanza n. 8453 del 24.3.2023, ha rigettato perciò il ricorso proposto dal cliente, condannandolo al pagamento delle spese legali a favore del meccanico.

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