NOTIFICA A MANI DI UN FAMILIARE NON CONVIVENTE: E’ VALIDA ?

Tempo di lettura: 3 minuti Il postino aveva consegnato ben sette cartelle esattoriali, spedite a mezzo di raccomandata a.r., nelle mani di alcune persone che avevano dichiarato di essere familiari conviventi del destinatario, ed in forza di quegli atti il concessionario dei tributi aveva poi iscritto ipoteca sui beni del contribuente. Il cittadino aveva però proposto azione giudiziaria, chiedendo al Tribunale di Palermo l’annullamento dell’iscrizione ipotecaria, sostenendo la nullità della notifica delle cartelle azionate perché erroneamente consegnate a persone non conviventi con lui. L’opponente aveva corredato l’opposizione con certificati anagrafici da cui si rilevava che i suoi familiari risiedevano altrove, ed aveva chiesto l’ammissione di una prova testimoniale per confermare che coloro che avevano ricevuto le notifiche non vivevano con lui. L’azione giudiziaria non sortiva l’effetto sperato, tant’è che il Tribunale rigettava l’opposizione, e la Corte d’appello di Palermo confermava la decisione di primo grado. Per entrambi i giudici di merito le notifiche erano valide, e la diversa dimora dei destinatari delle notifiche non poteva essere provata con le certificazioni di residenza e nemmeno con i testimoni indicati. Di qui la decisione dell’opponente di ricorrere alla Corte di Cassazione, innanzi alla quale sosteneva la erroneità della decisione di secondo grado, anche per la sostanziale inesistenza della motivazione della sentenza di appello. I giudici di legittimità hanno risolto la controversia con l’ordinanza decisoria n. 4160 del 9.2.2022, con cui hanno rigettato il ricorso proposto dal contribuente, confermando la regolarità delle notifiche delle cartelle esattoriali oggetto del giudizio. Secondo la Cassazione, la cartella esattoriale può essere notificata, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 26, anche direttamente da parte del Concessionario mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Come disposto dal D.M. 9 aprile 2001, artt. 32 e 39 e dal D.M. 1 ottobre 2008, artt. 20 e 26, è sufficiente, per il perfezionamento della notifica, che la spedizione postale sia avvenuta con consegna del plico al domicilio del destinatario, senz’altro adempimento, da parte dell’ufficiale postale, se non quello di curare che la persona da lui individuata come legittimata alla ricezione firmi il registro di consegna della corrispondenza e l’avviso di ricevimento da restituire al mittente. Ma anche se dovessero mancare, nell’avviso di ricevimento, le generalità della persona cui l’atto è stato consegnato (adempimento non previsto da alcuna norma), e la relativa sottoscrizione sia addotta come inintelligibile, l’atto resterebbe comunque valido. Nel costante orientamento interpretativo della Cassazione, la relazione tra il destinatario e la persona a cui è stato consegnato è oggetto di un preliminare accertamento che viene svolto dall’ufficiale postale, quale pubblico ufficiale, che attesta di aver svolto tale verifica nell’avviso di ricevimento, che ha natura di atto pubblico, assistito dall’efficacia probatoria di cui all’art. 2700 c.c. e confutabile solo con la querela di falso. Pertanto, la consegna del piego raccomandato a mani di familiare dichiaratosi convivente con il destinatario determina la presunzione che l’atto sia giunto a conoscenza del primo, mentre il problema dell’identificazione del luogo ove è stata eseguita la notificazione rimane assorbito dalla dichiarazione di convivenza resa dal consegnatario dell’atto, con conseguente onere della prova contraria a carico del destinatario. La prova contraria, peraltro, non potrebbe essere fornita dal destinatario con la produzione di risultanze anagrafiche che indichino una diversa residenza del consegnatario dell’atto, in quanto quelle risultanze hanno un valore meramente dichiarativo, ed offrono a loro volta una mera presunzione, superabile a mezzo di altri elementi idonei ad evidenziare, in concreto, una diversa ubicazione della residenza effettiva del destinatario.

RICHIESTA DI DISTRAZIONE DELLE SPESE E PATROCINIO A SPESE DELLO STATO

Tempo di lettura: 2 minuti In un giudizio civile, l’avvocato che difendeva la parte ammessa al beneficio del patrocinio a spese dello stato aveva concluso il proprio ricorso introduttivo chiedendo la distrazione delle spese di lite, ovvero la condanna della controparte a pagare le spese di giudizio direttamente al difensore. Il Giudice del Tribunale di Santa Maria Capua aveva revocato tuttavia l’ammissione al gratuito patrocinio della parte, ritenendo che la richiesta di distrazione delle spese, avanzata dal difensore, aveva comportato la rinuncia al beneficio. Il provvedimento era stato reclamato però dal difensore (ai sensi dell’art. 170 del DPR 115/2002), ed il Tribunale aveva riformato il decreto, ma sul presupposto che la richiesta di distrazione proposta nel ricorso, non era stata poi successivamente reiterata nel corso del giudizio, sicché essa doveva intendersi come rinunciata, e quindi non più ostativa alla permanenza del beneficio del patrocinio a spese dello stato. A questo punto era stato il Ministero della Giustizia ad impugnare l’ordinanza di riforma, sottoponendo la questione alla Corte di Cassazione civile, la quale ha deciso la questione in camera di consiglio, depositando la sentenza n. 29746 del 12.10.2022. Secondo la tesi sostenuta dal Ministero, l’ammissione determinerebbe l’instaurazione di un rapporto diretto tra l’avvocato e lo Stato e, quindi, l’impossibilità del medesimo difensore di ottenere il pagamento di compensi dal cliente o dalla controparte soccombente, essendo pertanto incompatibile con la richiesta di distrazione, che, nel caso in esame, non sarebbe stata affatto ritirata in corso di giudizio. I giudici di legittimità hanno espresso, invece, il convincimento contrario, negando innanzitutto la possibilità che il contegno processuale del difensore costituito possa causare la decadenza dal beneficio del gratuito patrocinio. Infatti, il patrocinio a spese dello Stato è diretto ad assicurare l’effettività del diritto di difesa costituzionalmente garantito, sicché la parte assistita – formulando la richiesta di ammissione – esercita un diritto proprio, che resta nella sua esclusiva disponibilità e che non è condizionato dalle scelte processuali dell’avvocato. In tal senso, peraltro, si era espressa anche una recente pronuncia della stessa Cassazione a sezioni unite (Cass. S.U. 8561/2021), che aveva chiarito che il beneficiario del provvedimento di ammissione non è il difensore ma la parte non abbiente, che proprio perciò deve proporre personalmente la richiesta, e non è tenuta a reiterarla in caso di revoca del mandato al legale. Il difensore, essendo privo del potere di disporre dei diritti sostanziali della parte, non può rinunciare al diritto soggettivo all’assistenza dello Stato per le spese del processo: tale rinuncia può provenire solo dal titolare del beneficio e non è mai conseguenza della mera richiesta del legale di distrazione delle spese in suo favore. In definitiva, la Corte di Cassazione ha correttamente ribadito che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato costituisce una misura prevista e consentita nelle sole ipotesi tassativamente individuate dall’art. 136 D.P.R. 115/2002 – norma eccezionale, e come tale non applicabile analogicamente – tra cui non è compresa la richiesta di distrazione delle spese.

NOTIFICA PRESSO IL COMUNE: QUANDO E’ NULLA ?

Tempo di lettura: 3 minuti Come è noto, per avviare un giudizio civile è necessario recapitare l’atto introduttivo alla parte convenuta, con la procedura di notifica. Il codice di procedura civile dispone che la notifica vada eseguita nelle mani del destinatario, di un suo familiare o anche del portiere dello stabile, ma può accadere che l’ufficiale giudiziario non rinvenga nessuno all’indirizzo di residenza del convenuto. In tali casi, il notificante deve eseguire le opportune ricerche sul posto ed assume informazioni, e solo se queste hanno esito infruttuoso, può depositare infine l’atto da notificare presso la casa comunale del luogo di ultima residenza nota. In una situazione identica, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 1176 del 17.1.2023, ha preso in esame il caso della cliente a cui il suo ex avvocato aveva notificato un atto di citazione per ottenere la condanna al pagamento di compensi non corrisposti. L’ufficiale giudiziario, recatosi alla residenza anagrafica, non aveva rinvenuto la destinataria, ed anzi aveva appreso che era stata sgomberata da quella abitazione; per questa ragione aveva attestata la sua irreperibilità secondo le “informazioni assunte in loco”, procedendo al deposito dell’atto presso la casa comunale ai sensi dell’art. 143 c.p.c. La cliente era rimasta contumace nel giudizio di primo grado, ed era stata condannata al pagamento delle somme liquidate a favore dell’avvocato, ma poi aveva impugnato la decisione sfavorevole innanzi al tribunale, che tuttavia aveva confermato la decisione di primo grado. Decideva quindi di rivolgere le sue doglianze alla Suprema Corte, protestando, tra l’altro, la nullità della notifica dell’atto introduttivo del primo grado, perché eseguita dall’ufficiale giudiziario sul presupposto della sua irreperibilità, che sarebbe stata ricavata da imprecisate informazioni assunte sul luogo ove era originariamente residente. Dalla relata non risultava alcuna ulteriore indicazione che consentisse di stabilire quali ricerche fossero state in concreto effettuate e da quali fonti informative fosse emersa l’irreperibilità assoluta della destinataria. Per la validità della notifica effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c. occorreva invece che la mancata conoscenza della residenza, del domicilio o della dimora del destinatario non fosse stata superabile attraverso le indagini possibili nel caso concreto, da compiersi ad opera del mittente con l’ordinaria diligenza (Cass. 40467/2021). I giudici della Corte di Cassazione hanno accolto il ricorso con l’ordinanza n. 1176 del 2023, accertando la nullità della notifica dell’atto con cui era iniziato il processo di primo grado. Secondo i magistrati di legittimità, è necessario che, nel luogo di ultima residenza nota, siano compiute effettive ricerche e che di esse l’ufficiale giudiziario dia espresso conto nella relata (Cass. 18385/2003; Cass. 24107/2016; Cass. 8638/2017; Cass. 2530/2022), senza potersi utilizzare formule generiche, quale quelle adottata nel caso in esame (Cass. 24107/2016; Cass. 8638/2017; Cass. 40467/2021). Nel caso concreto, non era possibile evincere dalla relata alcuna indicazione sulle specifiche informazioni assunte e la loro adeguatezza per risalire al nuovo indirizzo della ricorrente. Pertanto il Tribunale aveva sbagliato a ritenere non conoscibile il luogo di destinazione poiché non risultante dai registri anagrafici e a causa dell’intervenuto sgombero della convenuta dalla residenza originaria, senza valutare inoltre se l’ufficiale giudiziario avesse compiuto – con la dovuta diligenza – accertamenti ulteriori, rispetto alla semplice acquisizione della certificazione anagrafica.

Novità Mediazione Civile e Commerciale

Tempo di lettura: 2 minuti A partire dal 30 giugno sono entrate in vigore le nuove regole che ampliano le materie per le quali è obbligatorio esperire il procedimento di mediazione, tali regole, inoltre, incidono sulle modalità procedimentali, all’istituzione del patrocinio a spese dello Stato ed all’ampliamento degli incentivi fiscali. Di seguito le principali novità sulla procedura: Ti invitiamo a prendere visione dello schema di sintesi in formato pdf al link di seguito.

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