EMAIL TAROCCATA E CONTO IN BANCA SVUOTATO: CHI PAGA ?
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Il messaggio di posta elettronica, firmato da “Intesa Security Department” aveva un tono perentorio: il tuo account è in attesa ed hai quarantotto ore per confermare le informazioni del tuo account; clicca qui per convalidare il tuo account.

Preoccupato, aveva risposto al messaggio ed avviato la procedura richiesta nella e-mail; aveva poi inserito il codice cliente e la password personale, quindi il codice del dispositivo “token”, ed infine il secondo codice ricevuto con un sms dalla banca.

Dopo poco, l’amara sorpresa: dal conto erano stati eseguiti due distinti bonifici verso conti di ignoti, mandando in fumo poco meno di venticinquemila euro.

Il correntista, un avvocato, era andato su tutte le furie quando gli era stato negato il riaccredito delle somme sottratte dal conto, e perciò aveva citato in giudizio la banca innanzi il Tribunale di Napoli per ottenere la restituzione del maltolto.

La banca, per parte sua, si era difesa sostenendo di aver predisposto ogni possibile precauzione per evitare i fenomeni di truffa informatica (phishing), che però erano stati resi vani dalla disattenzione del correntista, il quale non si era reso conto del fatto che il messaggio e-mail era stato spedito da un indirizzo chiaramente non riferibile alla banca (test@surendonk.net).

La vertenza è giunta così alla decisione sulla base della documentazione depositata dalle parti.

A parere del tribunale, è principio accertato quello che pone a carico della banca l’onere di dimostrare di aver predisposto tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio di internet banking, utilizzando tutti gli strumenti tecnici adeguati ad assicurare la riconducibilità alla volontà del cliente delle operazioni bancarie eseguite telematicamente.

In questa prospettiva, e nel rispetto della rigorosa normativa europea in materia di servizi di pagamento, resta a carico della banca il difficilissimo compito di provare la oggettiva invalicabilità dei sistemi di sicurezza predisposti, o comunque di dimostrare l’intento fraudolento o la colpa grave dello stesso cliente.

E proprio la grave disattenzione del correntista, nel caso di specie, ha indotto il Tribunale di Napoli a rigettare la pretesa dell’attore, al quale i giudici hanno contestato, nella sentenza n. 1074 del 1 dicembre 2022, di aver prestato scarsa attenzione alla provenienza ed al contenuto della e-mail che lo aveva indotto a cedere i codici identificativi del suo conto.

Era pacifico, infatti, che l’accesso al sito fasullo era avvenuto da un link inviato da un indirizzo palesemente non riconducibile alla banca, con una estensione sospetta, con un testo privo del logo o di riferimenti della banca, e per buona parte sgrammaticato.

Un insieme di circostanze, questo, particolarmente rilevante per un professionista dotato, per definizione, di un livello di comprensione e di elaborazione superiore alla media, e per questo ancora più idoneo a comprovare la gravità della distrazione.

I giudici partenopei hanno così deciso la vertenza sentenziando il rigetto della domanda di restituzione delle somme sottratte, e condannando il legale che aveva agito in giudizio al pagamento delle spese di causa.



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