EMAIL PUBBLICITARIE NON AUTORIZZATE: E’ DOVUTO UN RISARCIMENTO?
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Capita agli utilizzatori dei servizi di posta elettronica di ricevere messaggi di contenuto pubblicitario, senza aver richiesto tali comunicazioni o aver mai fornito espressa autorizzazione al loro invio.La liceità o meno di una tale pratica commerciale è oggetto da anni di valutazioni contrastanti da parte della magistratura italiana, che da un lato riconosce come abusivo l’invio massivo ed indiscriminato di comunicazioni pubblicitarie, tanto da configurare un danno da spam, e dall’altro mostra resistenza ad accordare il risarcimento alle vittime se non nei casi più gravi.

Per la giurisdizione domestica, la questione principale sembra essere quella dell’entità del danno che l’invio di email non desiderate arreca concretamente al destinatario, piuttosto che la sostanziale ed oggettiva scorrettezza di una pratica commerciale abusiva.

Negli scorsi anni, all’atteggiamento possibilista di alcune corti di merito, che in materia di spamming hanno accordato un risarcimento come diretta conseguenza della sola ricezione di mail indesiderate (Giudice di Pace di Napoli 26.6.2004 e 29.09.2005; Tribunale di Terracina, sentenza n. 252 del 2006), ha fatto eco un orientamento più rigoroso, per il quale, ferma restando la illiceità della condotta commerciale, spetta al destinatario di provare il pregiudizio subito in concreto (Tribunale di Perugia, sentenza 24.2.2015).

La pronuncia più rilevante nel panorama giudiziario italiano resta quella resa l’8.2.2017 (n. 3311) dalla Corte di Cassazione, a definizione di un giudizio avviato da un avvocato che protestava di aver ricevuto una decina di email indesiderate da una società di formazione.I giudici di legittimità avevano rigettato il ricorso del legale, condannandolo al pagamento delle spese di lite, sul presupposto che il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del codice della privacy, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno” (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato).

Secondo la Suprema Corte, anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., ragion per cui determina una lesione ingiustificabile del diritto non la sola violazione delle prescrizioni dell’art. 11 del medesimo codice, ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva.Per quel che appare più emblematico dell’approccio dei giudici italiani, in quell’occasione la Corte di Cassazione aveva finanche condannato l’avvocato ricorrente alla pena pecuniaria da responsabilità aggravata, a norma dell’art. 96 c.p.c., comma 3, “avendo il ricorrente abusato dello strumento processuale e dovendo per questo essere sanzionato. Egli ha percorso tutti i gradi di giudizio per un danno, indicato in Euro 360,00, ipotetico e futile, consistente al più in un modesto disagio o fastidio, senz’altro tollerabile, collegato al fatto, connesso ad un uso ordinario del computer, di avere ricevuto dieci email indesiderate, di contenuto pubblicitario, nell’arco di tre anni”.

Sorprende però quanto l’approccio dei giudici di altri paesi europei sia radicalmente opposto e distante rispetto a quello dei loro colleghi italiani.

In particolare merita di essere segnalata una recentissima sentenza resa il 16.3.2022 dal Tribunale di Heidelberg, che ha adottato un approccio radicalmente diverso, e soprattutto applica correttamente della normativa europea n. 679/2016, contenente il Regolamento Generale sulla Regolamentazione dei Dati (GDPR).La rilevanza della pronuncia è ancor maggiore, se si tiene conto del fatto che, per una singolare coincidenza, essa è stata resa sul ricorso di un professionista che aveva ricevuto due sole email pubblicitarie non autorizzate, relative – come nel caso italiano appena citato – ad un corso di formazione.

A differenza di quanto accaduto nel nostro paese, a definizione del secondo grado di giudizio, il Tribunale Regionale tedesco ha condannato il mittente delle email indesiderate al pagamento, in favore dell’attore, di 25,00 euro, oltre interessi e spese legali.

La somma di condanna è stata quantificata come congruo risarcimento del dolore e della sofferenza, determinato secondo il prudente apprezzamento del giudice, non essendo necessaria ulteriore prova, ed in mancanza della dimostrazione di un danno maggiore.I giudici tedeschi hanno evidenziato la violazione, da parte del convenuto, dell’art. 6 GDPR attraverso il trattamento inammissibile dei dati personali dell’attore, motivando la condanna con il richiamo alla disciplina dell’art. 82 del GDPR, secondo cui ha “diritto al risarcimento” chiunque abbia subito “danni materiali o immateriali” in conseguenza di una violazione della presente disciplina.

Per il Tribunale regionale di Heidelberg, l’attore ha subito un danno perché ha dovuto occuparsi delle e-mail pubblicitarie indesiderate del convenuto, determinarne l’origine, chiedere informazioni al convenuto per mezzo di una lettera e cancellare le e-mail indesiderate, circostanze che non era necessario provare, essendo di comune esperienza.

Di converso l’attore non aveva dato prova di un qualche effetto esterno della violazione a suo carico, comportante un rischio di danno all’immagine o alla professione o di effetto discriminatorio nei confronti dei terzi.


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