Al culmine di una animata discussione si era impossessato del telefono cellulare della partner, sottraendolo con violenza, per leggere i messaggi che lei aveva ricevuto. La donna però non aveva subito passivamente l’atto di forza, denunziandolo all’autorità giudiziaria.
L’uomo veniva così condannato in primo grado dal Tribunale di Bologna per i reati di rapina impropria, lesioni aggravate e violenza privata, tutti commessi ai danni della propria compagna.
L’imputato impugnava la decisione dinanzi alla Corte di Appello, sostenendo che non poteva configurarsi il reato di rapina poiché l’impossessamento del telefono, seppur forzoso, non era finalizzato ad acquisire un vantaggio economico.
L’appellante evidenziava infatti che il solo vantaggio conseguito con la sottrazione del telefono era consistito nella possibilità di visionare i numeri e le comunicazioni contenute nel cellulare. La Corte di Appello di Bologna rigettava però il ricorso, confermava la sentenza di primo grado: secondo i giudici del secondo grado era infatti del tutto irrilevante che l’imputato non perseguisse, con l’impossessamento violento del telefono, uno scopo di lucro. L’uomo proponeva perciò ricorso innanzi la Corte di Cassazione, ritenendo errata la attribuzione a suo carico del reato di rapina a danno della partner.
I giudici di legittimità, con la sentenza n. 45557 del 10 dicembre 2021, rigettavano infine il ricorso del proponente, confermando la decisione dei giudici di merito, e precisando definitivamente che “integra il reato di rapina la condotta di chi sottrae con violenza al proprio partner il telefono cellulare al fine di poter accedere alla rubrica e poterne leggere i messaggi, ciò in quanto nel delitto di rapina, l’ingiusto profitto non deve necessariamente concretarsi in un’utilità materiale, potendo consistere anche in un vantaggio di natura morale o sentimentale che l’agente si riproponga di conseguire, sia pure in via mediata, dalla condotta di sottrazione ed impossessamento, con violenza o minaccia, della cosa mobile altrui”.
La motivazione resa dalla Corte di Cassazione si pone nel solco del più recente orientamento seguito dalla giurisprudenza, che da alcuni anni tende a sottolineare come il profitto tipico del reato di rapina non deve avere necessariamente una natura economica, potendo consistere anche in qualsiasi piacere, vantaggio, soddisfazione, anche di natura non patrimoniale, morale o sentimentale (Cass. pen. sez. II, 14/05/2021, n. 18977; Cass. pen. sez. II, 27/05/2019, n. 23177; Cass. pen. sez. II, 09/02/2017, n. 6265).
In conclusione, secondo l’attuale interpretazione della giurisprudenza di legittimità, il delitto di rapina si realizza anche nel caso in cui non vi sia nell’agente l’intenzione di trarre un profitto diretto e immediato dalla condotta, essendo sufficiente lo scopo di trarre un’utilità indiretta o non strettamente economica dall’impossessamento della cosa altrui mediante la violenza o la minaccia.
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