VERANDA ED INFISSI POSSONO DANNEGGIARE L’ESTETICA DEL CONDOMINIO
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Un condomino realizza, nella parte posteriore del fabbricato, una veranda chiusa in alluminio preverniciato bianco con pannelli in laminato plastico e vetri, per rendere il vano abitabile, sostituendo poi gli infissi originariamente in Douglas con infissi in alluminio bianco. Il condominio lo cita in giudizio chiedendo la rimozione delle opere, sul presupposto che quegli interventi non erano stati autorizzati dal condominio, ed avevano arrecato un danno estetico per l’utilizzo di materiali diversi da quelli costruttivi, oltre ad aver ampliato le superfici.

Il condomino si difende opponendo che sugli infissi in alluminio anodizzato erano state applicate delle strisce adesive riproducenti il colore del legno, che le finestre non erano visibili dalla strada, e che altri condomini avevano già effettuato, negli anni, interventi del tutto analoghi, e che quindi non sussisteva alcuna lesione del decoro architettonico, essendo già stata alterata l’estetica del fabbricato.

Il tema oggetto del giudizio è di notevole interesse, perché una delle questioni più dibattute nella materia condominiale è proprio la individuazione della definizione e della rilevanza del decoro architettonico di un fabbricato comune al fine di porre un limite ai poteri di intervento dei singoli condomini sulla loro proprietà esclusive.

In un complesso costituito da più unità immobiliari sono individuabili parti degli immobili che ricadono nella proprietà individuale dei condomini ed altre che, per la loro funzione, sono al servizio di tutti i proprietari per garantire loro il miglior utilizzo delle parti esclusive. E’ agevole ritenere zone di proprietà singolare le superfici degli appartamenti e delle loro pertinenze, compresi i balconi aggettanti, e zone condominiali i beni di uso comune come le scale di accesso, gli impianti ed il tetto di copertura.

Quando si passa però a considerare l’aspetto esteriore e complessivo del fabbricato comune può diventare più difficoltoso tracciare la demarcazione tra il diritto dei singoli e quello della collettività dei condomini.

Per legge è fatto divieto di apportare modificazioni delle destinazioni d’uso delle parti comuni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o che, quanto al caso di specie, ne alterano il decoro architettonico (art. 1117 ter cod. civ.).

La giurisprudenza ha poi ribadito negli anni l’importanza dell’estetica del complesso immobiliare in cui coesistono più proprietà esclusive, confermando la sua natura di bene comune – ancorché immateriale – e come tale sottratto alla disponibilità dei singoli condomini. Resta da definire quale sia il decoro architettonico degno di tutela: se esso presupponga un particolare pregio artistico complessivo dell’immobile, o se si riferisca semplicemente alla integrità della sagoma progettata originariamente dal costruttore.

Per tale ragione, sulla incertezza del canone estetico da assumere come riferimento, si sono consumati decenni di contenziosi giudiziari. Da alcuni anni la giurisprudenza di legittimità ha tuttavia assunto una linea interpretativa sufficientemente chiara, che è stata raccolta e ribadita anche dall’ordinanza decisoria emessa nella vicenda in esame, depositata dalla Corte di Cassazione il 1.12.2021 (n. 37732).

Secondo i giudici di legittimità, è vietato ogni intervento che si rifletta negativamente sull’aspetto armonico del bene comune, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio, a nulla rilevando il grado di visibilità delle innovazioni contestate, in relazione ai diversi punti di osservazione dell’edificio, e nemmeno la presenza di altre pregresse modifiche non autorizzate.

Per la Corte di Cassazione, ai fini della tutela del decoro architettonico dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale fisionomia sia stata già gravemente ed evidentemente compromessa da precedenti interventi sull’immobile.

Su tali presupposti, la Corte ha confermato perciò la condanna alla rimozione delle opere resa in appello, rigettando il ricorso del condomino e condannandolo al pagamento delle spese di causa.


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